· Città del Vaticano ·

Il dramma dell’hobbit che preferì il buio alla luce

Un povero pipistrello chiamato Smeagol

John Ronald Reuel Tolkien
28 aprile 2020

Il più grande pregio del saggio di Ivano Sassanelli sta già nell’idea fondamentale evidenziata sin dal titolo: aver messo i riflettori della critica e dei lettori tutti incentrati sul personaggio di Gollum, il più straordinario dei personaggi inventati alla fantasia di J.R.R. Tolkien.

Smeagol, questo il suo vero nome, sembra essere uscito dai racconti di Flannery O’Connor, la scrittrice cattolica americana che sosteneva che il lavoro del narratore consiste nel descrivere l’opera della grazia in un territorio occupato per lo più dal male, che potrebbe essere la descrizione dell’avventura di Frodo e Sam, guidati/traditi proprio da Gollum, nella Terra Desolata di Mordor.

La grazia è la protagonista dei racconti della O’Connor (e di Tolkien) ma è una grazia per nulla “graziosa”, ma anzi brusca e violenta, che irrompe nelle vicende umane scompigliandole e aprendo così quel varco in cui la luce divina può penetrare. Un modo di agire che quindi si incarna spesso nelle azioni (spesso violente) di personaggi grotteschi, di veri e propri dis-graziati, ricordandoci che nella dis-grazia la grazia è comunque già presente.

Smeagol-Gollum è un vero dis-graziato, brutto, misero e capace delle azioni più spregevoli.

Proprio come Kichijiro, inquietante e struggente personaggio di  Silenzio, il romanzo dello scrittore giapponese Shusaku Endo che ha ispirato il bel film di Martin Scorsese uscito nel 2018 che, proprio come il romanzo del 1966, non smetterà di turbare la coscienza dei lettori meno superficiali.

Kichijiro sembra un dannato, un miserabile, un uomo debole che di continuo cade e tradisce i suoi amici, i gesuiti missionari perseguitati nel Giappone del XVII secolo. Eppure trova sempre misericordia, proprio da coloro che egli tradisce. Proprio come Gollum.

Ma un efficace ritratto di questo personaggio urticante, paradossale e oscuro lo ha fatto proprio Papa Francesco quando in una recente celebrazione della messa quotidiana a Casa Santa Marta, commentando nell’omelia un passo del Vangelo di Giovanni, ha detto che: «C’è gente  — anche noi, tante volte —  che  non possono vivere nella luce perché sono abituati alle tenebre. La luce li abbaglia, sono incapaci di vedere. Sono dei  pipistrelli umani: soltanto sanno muoversi nella notte. E anche noi, quando siamo nel peccato, siamo in questo stato: non tolleriamo la luce. È più comodo per noi vivere nelle tenebre; la luce  ci  schiaffeggia,  ci fa vedere quello che noi non vogliamo  vedere. Ma il peggio è che gli occhi, gli occhi dell’anima dal  tanto vivere nelle tenebre si abituano a tal punto che finiscono per ignorare cosa sia la luce. Perdere il senso della luce,  perché mi abituo più alle tenebre. E tanti scandali umani, tante corruzioni ci segnalano questo. I  corrotti non sanno cosa sia la luce, non conoscono. Anche noi, quando siamo in stato di peccato, in stato di allontanamento dal Signore, diventiamo ciechi e ci sentiamo meglio nelle tenebre e andiamo così, senza vedere, come i ciechi, muovendoci come possiamo».

Per evitare di fare questa fine il Papa incoraggia tutti noi verso quella «domanda quotidiana che noi possiamo farci: “Io cammino nella luce o cammino nelle tenebre?  Sono figlio di Dio o sono finito per essere un  povero pipistrello?”».

Un povero pipistrello è la perfetta definizione di Gollum, che avrebbe soddisfatto anche J.R.R. Tolkien che così ci presentava il suo straordinario personaggio, e qui ogni parola di commento suonerebbe pleonastica: «Si mise a rubare e prese l’abitudine di borbottare da solo e di gorgogliare con la gola. Fu così che lo soprannominarono Gollum, maledicendolo e cacciandolo via; sua nonna, desiderando vivere in pace, lo espulse dalla famiglia e gli ordinò di non mettere mai più piede nella sua caverna. Egli vagò solitario, versando qualche lacrima sulla cattiveria del mondo, e risalì il Fiume, giungendo così ad un torrente che scorreva giù dalle montagne, del quale seguì il corso. Afferrava i pesci nelle profondità dei flutti con dita invisibili e li mangiava crudi. Un giorno di gran caldo, mentre si chinava sull’acqua per rinfrescarsi, sentì qualcosa bruciargli la nuca e fu abbagliato da una luce fortissima che si rifrangeva sul ruscello affliggendo i suoi occhi bagnati. Si domandò cosa fosse, poiché si era dimenticato dell’esistenza del Sole. Allora, per l’ultima volta, volse la testa verso l’alto e mostrò i pugni. Ma abbassando lo sguardo vide in lontananza le cime delle Montagne Nebbiose, dalle quali nasceva il torrente. Un pensiero gli balenò improvviso alla mente: “Sotto quelle montagne sì che farà fresco! Lì, all’ombra ed al buio, il Sole non potrebbe più guardarmi. Le radici di quelle montagne devono essere veramente profonde e chissà quanti segreti vi sono sepolti, che mai nessuno ha scoperto e svelato”. Ed allora partì di notte per le alture, dove trovò una piccola caverna dalla quale erompeva il torrente oscuro. Strisciò viscido e lento come un baco fin nel cuore del monte, sparendo dalla faccia della terra».

di Andrea Monda