I sacerdoti nelle diocesi italiane in un Giovedì santo senza messa crismale

Spogliati ma più ricchi di carità

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08 aprile 2020

Raccontare come le diocesi italiane vivono il Giovedì santo al tempo della pandemia è un esercizio doloroso ma necessario. Doloroso, perché nel giorno in cui si fa memoria dell’istituzione dell’eucaristia e del ministero ordinato celebrando la giornata sacerdotale, si prende piena coscienza che la messa crismale, nella quale l’intera Chiesa locale e i presbiteri si stringono intorno al proprio vescovo, è stata rinviata. Forse per la prima volta in assoluto, i pastori non possono condividere un momento di unità così alto con il clero e i fedeli. Ma il racconto diventa anche necessario e utile perché svela come sotto la fitta coltre di rassegnazione e prostrazione si celi una massiccia dose di speranza e ottimismo.

Punto di partenza del viaggio non poteva non essere la diocesi di Bergamo. Tra le zone d’Italia più colpite dal virus, conta tra le sue innumerevoli vittime anche ventiquattro sacerdoti. Un numero enorme. Il vescovo, Francesco Beschi, spiega che, se la celebrazione comunitaria della messa crismale e il rinnovo delle promesse sacerdotali sono stati posticipati a data da destinarsi, la messa in Coena Domini, che dà avvio al triduo pasquale nel tardo pomeriggio proprio del Giovedì santo, si svolge in un luogo dove dolore e speranza si fondono, facendone perdere perfino i contorni: «Ho deciso di celebrarla, insieme ad alcuni sacerdoti, nella chiesa dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, diventato l’emblema della lotta al coronavirus. È qui che celebrerò anche la liturgia del Venerdì santo, per essere davvero vicino a chi soffre».

L’amore per i suoi preti che stanno rischiando la vita per essere conformi al proprio ministero, monsignor Beschi l’ha testimoniato con una lettera pastorale: «Ho espresso gratitudine e ammirazione per ciò che sono stati capaci di fare. E poi ho anche sottolineato la gioia della comunione che ho sperimentato essere più profonda rispetto a prima dello scoppio della pandemia. Ma ho chiesto anche perdono per tutte le volte che questa comunione non si è manifestata nelle nostre relazioni». E l’impossibilità di incontrarsi fisicamente, mitigata dall’uso dei social, non ha impedito alla carità fraterna di crescere e svilupparsi, a tal punto che il vescovo ha chiesto al suo presbiterio di rinunciare a tre mesi di stipendio per devolverlo in un fondo da utilizzare per ogni necessità legata all’emergenza. Nessuno si è tirato indietro.

Anche il patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, presidente della Conferenza episcopale del Triveneto, ha l’anima dolente per il rinvio della messa crismale: «È una grande ferita. Subito prima del triduo pasquale, essa rappresenta una parte fondamentale della vita del presbiterio. Ora siamo in attesa di un’altra data nella quale poterla celebrare, perché è molto importante, non si può cancellare» dice il presule, che cita una frase di santa Teresa di Lisieux per far comprendere come il suo sguardo sugli avvenimenti rimanga comunque positivo: «Tutto è grazia». La vicinanza del patriarca ai preti veneziani si concretizza con dei video e delle conference call. «Il nostro rapporto — spiega — si è fatto più stretto; ognuno di essi conosce il numero del mio cellulare e io non scordo mai di dedicare attenzione soprattutto ai sacerdoti più anziani e più soli. Eppure è proprio l’uso massiccio della tecnologia che, in queste ore, ha fatto capire a Moraglia che esiste una necessità impellente: «Quella di riscoprire l’esistenza di una comunità che ha il bisogno di incontrarsi e di celebrare insieme. Un dono del quale ora tutti sentono la mancanza». Quando la pandemia sarà solo un triste ricordo, il patriarca di Venezia convocherà un incontro diocesano di due giorni per mettere a punto il futuro della pastorale, che non sarà più la stessa.

Lo scenario ora cambia, il viaggio fa tappa nella diocesi di Assisi - Nocera Umbra - Gualdo Tadino, il cui vescovo, Domenico Sorrentino, è convinto che la triste peculiarità nella quale viviamo il Giovedì santo ci può far recuperare i valori fondamentali dell’eucaristia: «Noi sacerdoti, ogni giorno, celebriamo il mistero e talvolta ci siamo abituati, troppo abituati. È paradossale dirlo, ma ora la situazione creata dal virus ci costringe a entrare nell’interiorità di questo mistero, fino a sentirne il desiderio e la nostalgia». La mancanza della messa crismale e la messa in Coena Domini celebrata a porte chiuse, senza nemmeno il rito della lavanda dei piedi, provocano la lacerazione dell’anima ma non gettano nello sconforto. Monsignor Sorrentino lo fa capire parlando del suo presbiterio, che la drammaticità dei momenti ha fatto vacillare ma non ha certamente scalfito: «Il nostro rapporto in un certo senso si è trasformato: è diventato più bello. Ci sentiamo telefonicamente, ci scambiamo le esperienze. Tutti siamo coscienti di condividere le sofferenze del nostro popolo. Stiamo crescendo insieme».

Il dopo pandemia ha già una risposta concreta, ad Assisi: è un progetto già avviato da tempo che riguarda la dimensione della preghiera domestica: «È stato chiamato “Le famiglie del Vangelo”. Nelle case si torna a pregare tutti insieme e la domenica si partecipa alla celebrazione eucaristica rimanendo sempre legati alla propria parrocchia. Tutto in modo strutturato e continuativo. Un progetto che troverà presto nuovo slancio e vitalità».

Il Cristo spogliato e crocifisso è l’immagine che l’arcivescovo di Napoli, cardinale Crescenzio Sepe, presidente della Conferenza episcopale campana, utilizza per dare concretezza al suo dolore per un Giovedì santo che non avrebbe mai pensato di dover vivere: «È la liturgia che si sente spogliata di tutta la ricchezza spirituale e pastorale che avevamo imparato ad amare con intensità. Ma a far da supplente alla liturgia spogliata c’è il dinamismo di molti parroci e movimenti laicali che si stanno dando da fare sul fronte della carità». Non è da meno il cardinale Sepe che nei giorni scorsi ha attivato un meccanismo economico per aiutare i sacerdoti in difficoltà, moltiplicatisi con l’impennata dell’emergenza: «Diamo tutto ciò che chiedono. Finora abbiamo distribuito 50.000 euro. Anche questa è un’occasione per rinsaldare il rapporto tra vescovo e sacerdote». Altro atto di carità sarà la Via Crucis del Venerdì santo che si svolgerà nella cattedrale di Napoli vuota ma con le stazioni scritte dai carcerati: «Due di loro saranno presenti e le leggeranno: un gesto di comunione e di speranza».

Palermo è forse una delle città che soffre maggiormente per la sospensione della messa crismale. «Ogni anno c’è una partecipazione straordinaria del popolo di Dio che ha contezza di essere popolo sacerdotale e per questo guarda al sacerdozio ministeriale con grande affetto e con grande stima», afferma l’arcivescovo Corrado Lorefice. Per la messa in Coena Domini la cattedrale del capoluogo siciliano non sarà completamente vuota: ospiterà alcuni rappresentanti di quel popolo di Dio. «Io però porto con me tutta la diocesi, anzi, il mondo intero. La sensazione che ho avuto nella domenica delle Palme è stata quella di una cattedrale arabo-normanna enorme, svuotata; però ognuno di noi che non era presente lì dentro diventava un chiamato, un amato. Questo è il messaggio che ci arriva anche dal Giovedì santo». Lorefice per stare vicino ai suoi preti utilizza soprattutto il telefono: «Finora ho contattato centocinquanta sacerdoti. Li ho fatti parlare, ho cercato di cogliere ciò che avevano nel cuore accogliendo le loro domande e la loro sofferenza». Poi fa riferimento alla natura per esaltare la speranza pasquale: «Io abito nella suggestiva Conca d’Oro: qui i giardini degli aranci esplodono, la zagara comincia a profumare. Gesù è stato sepolto in primavera nel giardino del Golgota: la primavera della Pasqua è già in atto. Stiamo andando verso il riscatto della storia degli uomini».

di Federico Piana