· Città del Vaticano ·

I giardini degli Ordini religiosi in un volume a cura di Carla Benocci

Secondo natura e a immagine del creato

La certosa di Trisulti
25 aprile 2020

All’inizio «il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato» (Genesi 2, 8). Non è per caso che l’evangelista Giovanni dia inizio e compimento alla Passione del Signore proprio in un giardino: dopo aver celebrato la cena, infatti, Gesù si recò «al di là del torrente Cedron, dove c’era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli» (Giovanni 18, 1); nel giorno della Parascève, all’ora nona, il Signore spirò: «Nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto» (Giovanni 19, 41); là fu sepolto. Nel giardino l’umanità, a causa del primo Adamo, era piombata nel caos; in un giardino, in forza della redenzione operata dal secondo Adamo, essa fu riconciliata con Dio.

Il giardino diventa così non solo uno strumento di riposo e ri-creazione, ma qualcosa di più, direi quasi un’anticipazione delle realtà future, perché Dio, che ha creato l’universo come un giardino, vorrebbe che la terra, guastata dal peccato, tornasse ad essere quel giardino che era in origine. Emblematica, in tal senso, la rilettura che una tradizione costante ha dato di un celebre versetto del Cantico dei cantici, nel quale lo sposo dice all’amata: «Giardino chiuso tu sei, / sorella mia, mia sposa, / sorgente chiusa, fontana sigillata» (Ct 4, 12). È Maria quel giardino paradisiaco, il quale — lavorato e custodito da Cristo — anticipa nella sua condizione la sorte di tutti gli eletti.

Giardino di Dio diventano anche le famiglie religiose: come riferisce il cronista cappuccino Bernardino da Colpetrazzo, secondo Francesco da Jesi «lo Spirito Santo fa come il bono ortolano, che sempre purga l’orto dall’erbe cattive; cosí lo Spirito Santo purga il giardino di Dio, la santa religione che, insinché la se mantiene nella austerità della vita, non vi lascia per longo tempo star omini che col mal esempio e con la vita larga la distrugano».

Da qui la spinta interiore per tanti Ordini religiosi a una cura attenta dei giardini, anticipazione di quel luogo di delizie nel quale l’uomo potrà contemplare Dio faccia a faccia, così com’Egli è (1 Giovanni 3, 3). Provvidenziale si rivela perciò la colossale ricerca di Carla Benocci nota studiosa di storia dell’arte, funzionaria della Sovrintendenza del Comune di Roma per le ville storiche (cfr. «L’Osservatore Romano», 12 luglio 2014) —, in un volume che è coronamento e sintesi di decenni di ricerche, A ciascuno il suo paradiso. I giardini dei cappuccini, dei minimi, dei gesuiti, degli oratoriani, dei camaldolesi e dei certosini in età moderna (Roma, Bibliotheca seraphivo-capuccina, 2020, pagine 778, euro 65): la studiosa indaga sul rapporto dei religiosi con la natura e sulla cura che hanno sempre posto ai giardini delle loro dimore, in alcuni casi essi stessi vere opere d’arte.

Sin dall’inizio i cappuccini manifestarono un legame a doppio filo con la natura, anche perché l’inclinazione eremitica che prevalse tra loro nei primi anni li spingeva a inoltrarsi in luoghi isolati: sensibilissimi a una scelta di povertà, non rifiutarono però il bosco, che pur costituiva un notevole capitale, perché in esso colsero lo strumento — come annota ancora Bernardino da Colpetrazzo riferendo parole di Giambattista da Norcia — «per un poco di spasso spirituale e per fare orazione». Il convento cappuccino di Frascati vedrà poi, per impulso di Gregorio XIII, lo sviluppo di uno straordinario giardino che, dal punto di vista compositivo, fu un vero modello d’innovazione; uno sviluppo ulteriore si avrà quindi con l’opera di fra Michele Bergamasco († 1641), uno dei collaboratori principali di Papa Urbano VIII Barberini.

Decisiva influenza sugli altri insediamenti dell’Ordine dei minimi avrà il primo convento sorto a Paola, il quale ispirerà soluzioni via via diverse, capaci, anche grazie all’operato di frati botanici di straordinario spessore, di adeguarsi alla diversa morfologia dei luoghi. Una varietà che Benocci mette bene in luce, illustrando con precisione i giardini dei conventi dei minini della Penisola soprattutto sulla base della Relazione del 1650, redatta in risposta a disposizioni emanate da Innocenzo x sul finire dell’anno precedente e conservata negli archivi vaticani.

Per i gesuiti, l’equilibrato rapporto con il mondo naturale aveva una funzione rigeneratrice sul piano, fisico, psichico e spirituale: i loro giardini intendevano inoltre riportare l’attenzione — soprattutto dei novizi — sul mistero della creazione, quando Dio fece cose buone e le consegnò all’uomo perché se ne servisse in bene, ma finivano pure per ridurre le distanze tra vecchio e nuovo mondo, in particolare attraverso la presenza di piante provenienti da diverse latitudini. L’organizzazione compatta dei gesuiti (Ignazio di Loyola era un militare e ai suoi dette un’organizzazione ispirata a quel modello) prevedeva una triplice modalità di ricreazione in tre distinte tipologie di luoghi, ciascuno con i propri spazi aperti: il collegio, la “villetta”, non lontana dai collegi, dove ci si poteva ricreare in periodi specifici, e la villa, in campagna, dove recarsi per i tempi di villeggiatura, come nel caso di villa Rufinella-Sacchetti a Frascati.

Dal proprio canto, san Filippo Neri conduceva spesso le sue schiere nelle vigne, dove — tra musica, gioco e meditazione — si organizzava l’oratorio e pure gli oratoriani, come i gesuiti, conducevano i loro discepoli in ville di campagna; un ruolo di primo piano giocherà, tra le loro file, padre Virgilio Spada, la cui collaborazione con Borromini produrrà in più occasioni soluzioni davvero geniali.

Ordini monastici più antichi, quali camaldolesi e certosini, da secoli avvezzi a misurarsi con la natura, seppero trovare in epoca moderna soluzioni nuove, adeguate ai tempi. Il codice forestale camaldolese, che gettò le fondamenta delle scienze forestali, scrupolosamente applicato nell’eremo di Camaldoli, è prova di questa resilienza, ma anche altri insediamenti rivelano un’attenzione vigile agli spazi verdi. I certosini, da parte loro, si può dire che abbiano prevenuto le soluzioni poi applicate nei giardini laici moderni, come rivelano le soluzioni adottate nella certosa di Firenze, in quella di Trisulti (Frosinone) o in quella di Santa Maria degli Angeli a Roma.

Quella di Carla Benocci è dunque una ricerca assai attenta, documentatissima, come mostrano le ricche appendici documentarie al termine di ogni singola parte del libro. Una fatica che merita, oltre al plauso, la più ampia diffusione.

di Felice Accrocca