Il 6 aprile 1520 moriva Raffaello

Ottimo universale

Autoritratto di Raffaello («Scuola di Atene», particolare)
04 aprile 2020

Non solo un pittore


In questo tempo di “fermo” di tante attività, di mostre, di convegni, di restauri ed eventi diversi è bene pensare al tempo non come krónos ma nella sua accezione più peculiare di kairós. E quindi anche le molteplici e variegate celebrazioni previste per i cinquecento anni dalla morte di Raffaello Sanzio da Urbino vanno ripensate e rielaborate con un altro passo e in altri modi: con un altro tempo.

Ci auguriamo tutti che la splendida mostra organizzata dalle Scuderie del Quirinale, in collaborazione con le Gallerie degli Uffizi e con la partecipazione della Galleria Borghese, dei Musei Vaticani, del Parco Archeologico del Colosseo e di tanti altri musei possa avere un’auspicata proroga nei prossimi mesi. I pochi privilegiati che sono riusciti a vederla si sono resi conto che è veramente la “mostra ammiraglia” che l’Italia ha voluto dedicare a una figura emblematica della sua storia e della sua cultura, e il catalogo è l’espressione della serietà, dell’impegno e dell’alto calibro dei curatori e dei redattori dei contributi tematici.

L’intera mostra ha voluto raccontate Raffaello “a ritroso”, partendo dai suoi funerali il 7 aprile del 1520, con il bel dipinto dei Musei Vaticani di Pietro Vanni e terminando con l’autoritratto giovanile degli Uffizi, e ha come filo conduttore la grandezza e l’armonia del grande urbinate basata sulla poetica dell’«ottimo universale» di vasariana memoria.

Non sappiamo quanto andremo ancora avanti in questa situazione di pandemia mondiale, ma in questo tempo sospeso vogliamo cogliere l’occasione di ricordare almeno la giornata del 6 aprile, che così significativa fu per Raffaello: la storiografia lo dice, infatti, nato e morto in questo giorno.

Il “Divin pittore” visse nella città pontificia dodici anni, dal 1508 al 1520, durante i due pontificati di Giulio ii della Rovere e di Leone x Medici, in un momento felicissimo per la presenza contemporanea di personalità artistiche raffinatissime e una moltitudine di letterati, filosofi e teologi.

I Palazzi e i Musei Vaticani hanno il privilegio di essere i detentori dei più belli e significativi cicli pittorici di Raffaello. Le Stanze di Giulio ii della Rovere, che hanno acquisito il nome dello stesso Raffaello in considerazione del pregio degli affreschi; e poi ancora gli affreschi di Palazzo legati al cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena (la Stufetta e la Loggetta) e le celeberrime Logge, meta e mito di secoli di grand touristes, dove Raffaello e la sua scuola dipinsero con una particolarissima tecnica fatta di affreschi e stucchi “all’antica” cinquantadue scene tratte dalla Bibbia.

Raffaello in Vaticano significa anche le imponenti e imprescindibili pale della Pinacoteca Vaticana, in quella Sala VIII appositamente concepita da Pio XI per consacrare l’arte dell’Urbinate, attraverso le quali è possibile avere una efficace sintesi delle sue diverse fasi artistiche: la giovanile Pala degli Oddi, la delicata e matura e magnifica Madonna di Foligno e la dirompente Trasfigurazione, ultima opera dell’artista. E poi ancora la predella della Pala Baglioni raffigurante le virtù teologali Fede, Speranza e Carità. Di sua invenzione, sebbene tessuti nella bottega fiamminga di Peter van Aelst, sono i raffinatissimi arazzi con gli Atti degli Apostoli concepiti per completare la catechesi visiva della Cappella Sistina e commissionati da Leone x, il figlio di Lorenzo il Magnifico.

Ma il Vaticano e l’incontro con Leone x significarono per Raffaello anche la nomina ad architetto della Fabbrica di San Pietro e l’incontro con “l’Antico”, che permise di formulare quello stile canonico e “classico” che divenne poi il suo codice.

Raffaello ricevette da Papa Medici anche l’incarico di «Conservatore alle antichità», con la missione di impedire, o almeno arginare, lo spoglio perpetrato sui monumenti e sulle opere antiche dell’Urbe e per rinforzare questa specifica attenzione gli venne commissionata, inoltre, la ricostruzione di una pianta topografica di Roma antica. La sua celebre lettera al Pontefice, scritta a quattro mani con il fraterno amico Baldassarre Castiglione, sancì le prime e importanti regole della tutela e della conservazione delle antichità e, in via più generale, l’attenzione alla nostra eredità storica e culturale.

I Musei Vaticani hanno come missione di preservare e condividere lo straordinario patrimonio artistico, storico e di fede di cui sono detentori. Dalla sensibilità raffaellesca hanno ereditato la straordinaria attenzione alla cura delle opere e sono considerati un’eccellenza riconosciuta a livello internazionale nel campo della conservazione e del restauro.

Una realtà fatta di sette laboratori specializzati per tipologia di materiali, con quasi cento tecnici specialistici che lavorano su tutte le opere delle collezioni dei Musei e della Santa Sede e che sono appunto il frutto di quella tradizione plurisecolare vaticana, affiancati da un Laboratorio di Diagnostica per la Conservazione e il Restauro che supporta ogni intervento con le necessarie indagini scientifiche e da un Ufficio del Conservatore a cui sono affidati il controllo dell’ambiente e i piani programmatici di cura e manutenzione ordinaria delle opere.

Il Laboratorio di Restauro Pitture, il più antico di costituzione, è forse il più rinomato e tanti sono stati i lavori intrapresi sulle opere raffaellesche in questi ultimi decenni, in primis i restauri delle Stanze vaticane.

Durante la direzione di Carlo Pietrangeli è stato affrontato, fra il 1980 e il 1994, il restauro della Stanza dell’Incendio di Borgo (Guidi, Rossi de Gasperis) coordinato dal grande restauratore Gianluigi Colalucci, negli stessi anni dell’impegnativo restauro storico della Cappella Sistina.

Al tempo della direzione di Francesco Buranelli, è stata restaurata la maestosa Stanza della Segnatura, con il coordinamento di Arnold Nesselrath e la supervisione conservativa di Gianluigi Colalucci (1995-1996) e Maurizio De Luca (1996-1999): 1995-1996 Scuola d’Atene (Guidi, Rossi de Gasperis, Violini); 1996-1997 Parnaso (Rossi de Gasperis, Violini); 1997-1998 Disputa del SS. Sacramento (Violini, Baldelli, Piacentini); 1998-1999 Giurisprudenza, volta e basamento (Violini, Baldelli, Piacentini,- Zarelli, Cimino).

All’epoca della direzione di Antonio Paolucci, è stata restaurata la Stanza di Eliodoro, con la supervisione di Maurizio De Luca (2002-2010) e di Maria Putska (2011-2012) e il coordinamento di Paolo VIolini: 2002-2004 volta (Violini, Baldelli, Zarelli); 2005-2006 Liberazione di San Pietro (Violini); 2007–2008 Cacciata di Eliodoro (Violini); 2009-2010 Messa di Bolsena (Violini, Piacentini); 2011-2012 Incontro fra Leone Magno e Attila (Violini, Piacentini).

E infine il Salone di Costantino, avviato sotto Paolucci e proseguito fino a oggi, con la supervisione iniziale di Maria Putska e poi di Francesca Persegati della bella équipe seguita da Fabio Piacentini, con la direzione scientifica di Guido Cornini (Bertelli De Angelis, Resca, Salvatori, Settembri, Vettori, Vinciguerra, Oliva, Moretti, Santoro, Ammendola).

Tutto questo non sarebbe stato possibile senza le alte professionalità dei restauratori vaticani, ma anche senza il generoso supporto dei nostri «Patrons of the Arts in the Vatican Museums»: in particolare i Capitoli di New York, della California, del Michigan, del Texas, del Regno Unito, del Canada, ma anche specifici benefattori come le famiglie D’Urso, Gaisman, Gusmano e Carlson.

Recentemente, Papa Francesco ci ha ricordato come Raffaello è stato un figlio importante di un’epoca, quella del Rinascimento, non priva di difficoltà, ma animata da fiducia e speranza: invitandoci a riscoprire, attraverso questo artista, lo spirito d’apertura che ha reso tutto più bello in storia, arte e cultura.

di Barbara Jatta