· Città del Vaticano ·

Nella messa a Santa Marta il Pontefice invita ad avere una coscienza retta e trasparente

Nessuno approfitti della pandemia per fare i propri interessi

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04 aprile 2020

Nessuno approfitti della pandemia per i propri interessi, per guadagnarci sopra: di qui la preghiera «perché il Signore ci dia a tutti una coscienza retta, una coscienza trasparente, che possa farsi vedere da Dio senza vergognarsi». Nella celebrazione mattutina della messa — trasmessa in diretta streaming — nella cappella di Casa Santa Marta, il vescovo di Roma sta abbracciando davvero, a uno a uno, tutti gli aspetti di questo tempo di crisi. Affrontandoli con «le armi» della preghiera, dell’adorazione eucaristica e dell’affidamento alla Madre di Dio.

E così sabato 4 aprile, a braccio, all’inizio della celebrazione, il Papa ha ricordato che «in questi momenti di turbamento, di difficoltà, di dolore, tante volte alla gente viene la possibilità di fare una o l’altra cosa, tante cose buone. Ma anche non manca — ha aggiunto — che a qualcuno venga l’idea di fare qualcosa non tanto buona, approfittare del momento e approfittarne per se stesso, per il proprio guadagno. Preghiamo oggi perché il Signore ci dia a tutti una coscienza retta, una coscienza trasparente, che possa farsi vedere da Dio senza vergognarsi».

Ed è con tutto il vigore spirituale dei versi del salmo 20, letti come antifona d’ingresso, che Francesco ha sostenuto la sua preghiera: «Signore, non stare lontano, affrettati, mia forza, ad aiutarmi, perché io sono un verme e non un uomo, un obbrobrio per tutti, lo scherno della gente».

Per la meditazione nell’omelia il Papa ha preso spunto dal passo liturgico del Vangelo di Giovanni (11, 45-56). Facendo subito notare come fosse «da tempo che i dottori della Legge, anche i sommi sacerdoti, erano inquieti perché passavano cose strane nel paese».

Anzitutto, ha spiegato il Pontefice, «questo Giovanni, che alla fine lo lasciarono stare perché era un profeta, battezzava lì e la gente andava ma non c’erano altre conseguenze». E «poi è venuto questo Gesù, segnalato da Giovanni. Incominciò a fare dei segni, dei miracoli, ma soprattutto a parlare alla gente; e la gente capiva, e la gente lo seguiva, e non sempre osservava la legge e questo inquietava tanto: “Questo è un rivoluzionario, un rivoluzionario pacifico — Questo porta a sé la gente, la gente lo segue”» (cfr. Gv 11, 47-48).

Proprio «queste idee li portarono a parlare fra loro: “Ma guarda, questo a me non piace, quell’altro...”, e così fra loro c’era questo tema di conversazione, di preoccupazione pure» ha fatto notare Francesco. Tanto che «alcuni sono andati da Lui per metterlo alla prova e sempre il Signore aveva una risposta chiara che a loro, dottori della Legge, non era venuta in mente».

Il Pontefice ha suggerito di pensare, ad esempio, «a quella donna sposata sette volte, vedova sette volte: “Ma nel cielo, di quale di questi mariti sarà sposa?” (cfr. Lc 20, 33). Lui rispose chiaramente e loro se ne sono andati un po’ svergognati per la saggezza di Gesù».

Anche in altre occasioni, ha proseguito il Papa, i suoi interlocutori «se ne sono andati umiliati, come quando volevano lapidare quella signora adultera e Gesù disse alla fine: “Chi di voi è senza peccato getti la prima pietra”» (cfr. Gv 8, 7). Oltretutto il Vangelo fa notare che sono andati via «a cominciare dai più anziani, umiliati in quel momento».

«Questo faceva crescere questa conversazione fra loro: dobbiamo fare qualcosa, questo non va» ha spiegato Francesco. Ricordando che «poi hanno mandato i soldati a prenderlo e loro sono tornati dicendo: “Non abbiamo potuto prenderlo perché quest’uomo parla come nessuno” — “Anche voi vi siete lasciati ingannare”» (cfr. Gv 7, 45-49). I dottori della Legge erano «arrabbiati perché neppure i soldati potevano» arrestare Gesù.

Il Papa ha anche ripercorso quanto accaduto dopo «la risurrezione di Lazzaro, questo che abbiamo sentito oggi: tanti giudei andavano lì a vedere le sorelle di Lazzaro, ma alcuni sono andati a vedere bene come stanno le cose per riportarle». Così «alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto», come scrive Giovanni. Ma altri «credettero in Lui» aggiunge con precisione l’evangelista (cfr. Gv 11, 45-46). Neppure in quel momento, ha detto Francesco, sono mancati «i chiacchieroni di sempre, che vivono portando» le chiacchiere, e che «sono andati a dire» ai dottori della Legge.

Insomma, ha rilanciato il Pontefice, ecco che «in questo momento, quel gruppo che si era formato di dottori della Legge ha fatto una riunione formale: questo è molto pericoloso dobbiamo prendere una decisione. “Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni”, riconoscono i miracoli, e “se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in Lui, c’è pericolo, il popolo andrà dietro di lui, si staccherà da noi” — il popolo non era attaccato a loro — e “verranno i romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione”» (cfr. Gv 11, 48).

In questo discorso, ha fatto presente il Papa, «c’era parte della verità ma non tutta: era una giustificazione, perché loro avevano trovato un equilibrio con l’occupatore, ma odiavano l’occupatore romano, ma politicamente avevano trovato un equilibrio. Così parlavano fra loro».

A dare la scossa, ha spiegato Francesco rileggendo il testo di Giovanni, è «“uno di loro, Caifa”, il più radicale, “che era sommo sacerdote”». Egli «disse: “Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!” (cfr. Gv 11, 50). Era il sommo sacerdote e fa la proposta: “Facciamolo fuori”».

Nel Vangelo Giovanni scrive riguardo al discorso di Caifa: «Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo» (cfr. Gv 11, 51-53).

«È stato — ha affermato Francesco — un processo, un processo che incominciò con piccole inquietudini al tempo di Giovanni Battista e poi finì in questa seduta dei dottori della Legge e dei sacerdoti». Si è trattato di «un processo che cresceva, un processo che era più sicuro della decisione che dovevano prendere, ma nessuno l’aveva detta così chiara: questo va fatto fuori».

«Questo modo di procedere dei dottori della Legge — ha insistito il Papa — è proprio una figura di come agisce la tentazione in noi, perché dietro» questo processo «evidentemente era il diavolo che voleva distruggere Gesù e la tentazione in noi generalmente agisce così: incomincia con poca cosa, con un desiderio, un’idea, cresce, contagia altri e alla fine si giustifica».

Proprio «questi sono i tre passi della tentazione del diavolo in noi — ha spiegato il Pontefice — e qui sono i tre passi che ha fatto la tentazione del diavolo nella persona del dottore della Legge: cominciò con poca cosa, ma è cresciuta, è cresciuta, poi ha contagiato gli altri, si è fatta corpo e alla fine si giustifica: “È necessario che muoia uno per il popolo”» (cfr. Gv 11, 50). È «la giustificazione totale».

Al termine di questo processo, ha aggiunto ancora il Papa, «tutti sono andati a casa tranquilli». Tanto ormai «avevano detto: questa è la decisione che dovevamo prendere». Lo stesso avviene anche per «tutti noi: quando siamo vinti dalla tentazione, finiamo tranquilli, perché abbiamo trovato una giustificazione per questo peccato, per questo atteggiamento peccaminoso, per questa vita non secondo la legge di Dio».

«Dovremmo avere l’abitudine di vedere questo processo della tentazione in noi» ha proposto Francesco, riferendosi a «quel processo che ci fa cambiare il cuore da bene in male, che ci porta sulla strada in discesa: una cosa che cresce, cresce, cresce lentamente, poi contagia altri e alla fine si giustifica».

Il Papa ha fatto notare che «difficilmente vengono in noi le tentazioni d’un colpo, il diavolo è astuto e sa prendere questa strada, la stessa l’ha presa per arrivare alla condanna di Gesù».

Per questa ragione, «quando noi ci troviamo in un peccato, in una caduta, sì, dobbiamo andare a chiedere perdono al Signore». È il primo passo «che dobbiamo fare, ma poi» dobbiamo dire: «Come sono venuto a cadere lì? Come è iniziato questo processo nella mia anima? Com’è cresciuto? Chi ho contagiato? E come, alla fine, mi sono giustificato per cadere?».

«La vita di Gesù è sempre un esempio per noi — ha affermato il Pontefice — e le cose che sono accadute a Gesù sono cose che accadranno a noi: le tentazioni, le giustificazioni, la gente buona che è intorno a noi, e forse non la sentiamo, e i cattivi, nel momento della tentazione, cerchiamo di avvicinarci» proprio a loro «per far crescere la tentazione».

Al termine della meditazione, Francesco ha invitato a non dimenticare mai che «sempre, dietro un peccato, dietro una caduta, c’è una tentazione che è incominciata piccola, che è cresciuta, che ha contagiato e alla fine trovo una giustificazione per cadere». Da qui la sua invocazione conclusiva: «Lo Spirito Santo ci illumini in questa conoscenza interiore».

È con la preghiera del cardinale Merry del Val che il Pontefice ha poi invitato «le persone che non possono comunicarsi» a fare la comunione spirituale. Concludendo la celebrazione con l’adorazione e la benedizione eucaristica. E affidando la sua preghiera alla Madre di Dio, davanti all’immagine mariana della cappella di Casa Santa Marta, accompagnato dal canto dell’antifona Ave Regina Caelorum.

Successivamente, a mezzogiorno, nella basilica Vaticana il cardinale arciprete Angelo Comastri ha rilanciato la preghiera del vescovo di Roma guidando l’Angelus e il rosario.