Cronache dal nichilismo - VII

Lo shock di fronte al mistero

Alberto Burri «Sacco» (1953, particolare)
07 aprile 2020

Sul significato della parola “realtà”


A che cosa pensiamo veramente quando parliamo di “realtà”? Non mi riferisco in prima battuta alle teorie che stanno dietro o che influenzano — consapevolmente o inconsapevolmente — i nostri discorsi quotidiani. Vorrei partire invece proprio da questi discorsi e da una constatazione tanto evidente quanto spiazzante: il fatto che un virus invisibile e incontrollabile abbia fatto irruzione silenziosamente ma implacabilmente nelle nostre vite, scardinando da cima a fondo l’ordine su cui bene o male si reggeva la nostra società, spalancando davanti ai nostri occhi una voragine minacciosa, come se all’improvviso si aprisse ai nostri piedi un burrone di cui non vediamo il fondo. E noi stiamo sul ciglio, perplessi e impauriti, cercando di prendere tutte le misure per non cadervi dentro, ma anche incerti su come poterlo superare e procedere nella nostra vita “normale”. Il caos sembra essersi impadronito del mondo consueto facendo saltare abitudini, relazioni, progetti e strategie, e ci costringe a chiederci se quello che finora abbiamo vissuto — e come lo abbiamo vissuto — fosse vero, fosse reale, o fosse solo una convenzione instabile, o peggio ancora una fragile illusione.

Al fondo di ogni rassicurazione che ci affrettiamo a darci vicendevolmente, nella chiacchiera invadente di questi giorni, resta come una sensazione di impotenza di fronte all’imponderabile. Perché è vero che, prima o poi, ne verremo a capo; ma qualcosa di simile potrebbe ritornare ancora, ogni momento, quando meno ce l’aspettiamo, come una minaccia permanente all’orizzonte. Il fatto è che non si tratta solo di una reazione ansiosa o di un’insicurezza psicologica, ma di un vero e proprio shock di fronte al mistero.

Per capire il significato della parola “realtà” siamo costretti oggi a riconoscere che la realtà implica per sua natura il “mistero”. E quest’ultima parola, dopo tanto tempo, torna a risuonare nella nostra percezione del mondo e dice che il reale è altro da noi, più grande di noi, imprevedibile rispetto al nostro controllo. Oggi sembra un’evidenza incontestabile perché questa alterità ci tocca all’improvviso, e duramente, senza che ne fossimo preparati. Ma per tanto tempo — il tempo del nichilismo, appunto — mistero è stata una parola marginale e sempre più marginalizzata nel vocabolario delle società avanzate.

Certo ciascuno di noi, sin dal primo emergere della coscienza, ha portato e continua a portare dentro di sé una qualche percezione del mistero, di fronte alle esperienze fondamentali della vita: la dolce sorpresa di un innamoramento, la gioia immeritata della nascita di un figlio, il dramma amaro della morte di una persona cara. Momenti misteriosi che aprono delle crepe profonde sulla superficie apparentemente compatta della vita, facendo percepire d’un tratto la sua insondabile profondità. Suscitando stupore, ma anche sgomento; meraviglia e insieme paura. Ce lo ricordano le immagini indimenticabili di alcuni grandi pittori contemporanei, come i “tagli” sulla tela rossa di Lucio Fontana o i sacchi bruciati e i “cretti” di Alberto Burri. Fenditure, screpolature, varchi, ferite che mostrano la dimensione misteriosa della realtà e insieme la natura reale del mistero. Lì dove il visibile rimanda all’invisibile e l’invisibile ci fa scoprire tutta la portata del visibile.

Per molto tempo il mistero è stato confinato nella casella dell’irrazionale, o di ciò che semplicemente non riusciamo a spiegarci. Un territorio oscuro ed enigmatico in cui le nostre deduzioni mentali non riescono a penetrare. Il razionalismo moderno aveva cercato in vari modi di neutralizzare ciò che eccede la nostra capacità di misurare il mondo, ossia ciò che non rientra nelle conoscenze a priori della nostra ragione, fino alla grande pretesa del Positivismo di dichiarare il mistero nient’altro che una superstizione che la scienza, progredendo, avrebbe inevitabilmente polverizzato.

La reazione a questa pretesa illusoria ha portato poi, in alcuni momenti del pensiero novecentesco, a riabilitare il mistero come puro caos, come l’ingovernabile irrazionale, come il nulla che è sempre pronto a divorarci o anche solo come il sigillo della nostra incapacità esistenziale. Così il mistero o viene estromesso dalla potenza della ragione che misura tutto, o viene confinato come segno dell’impotenza della nostra ragione.

Ma la crisi dei nostri giorni — che è anche crisi del nichilismo — ci sfida a mettere a fuoco questa presenza del mistero nella nostra vita e per la nostra conoscenza. Solo che il mistero è scabroso, non è affatto edificante o sentimentale: esso ci mette alle strette nel capire la consistenza del mondo e di noi stessi e nello scoprire che vi è una logica del mistero, senza la quale la nostra stessa comprensione razionale del mondo funzionerebbe molto di meno. Non è forse un’esperienza che tutti facciamo, almeno qualche volta, quando nell’affrontare le cose riconosciamo che la realtà ha un senso infinitamente più grande delle nostre misurazioni? E non è vero che quando questo accade si conosce di più, più profondamente ma anche più estesamente il mondo?

Ma la questione non sarà mai pacificata o risolta una volta per tutte. Quando la ragione arriva a riconoscere il mistero si produce sempre una lotta drammatica tra le nostre pur giuste pretese di avere in mano la soluzione della vita e l’ostinata provocazione della realtà. E quindi ci sarà sempre qualcuno — non solo fuori, ma dentro di noi — che continuerà a ridurre il mistero a un «dolce sogno» (per usare l’espressione del filosofo della mente Daniel C. Dennett, uno dei campioni del riduzionismo), frutto delle nostre emozioni e di aspettative illusorie, a cui non corrisponde nessuna realtà.

Ma resta un punto irrisolto che ci inquieta: ed è la nostra stessa coscienza. È il nostro “io” il mistero più inevitabile per noi stessi. E difatti oggi la contesa si è spostata dalla metafisica alle scienze cognitive. Per molti la mente è un mistero perché ancora non sappiamo come i nostri atti di coscienza, razionali e liberi, siano causati dai processi bio-chimici del nostro cervello. Perché in fondo, come ha scritto John R. Searle, «la coscienza fa parte della nostra natura biologica, tanto quanto la digestione, la secrezione di bile, la mitosi o la meiosi» (da Il mistero della realtà, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2019, pagine 324, euro 26).

Anche in questo caso, però, non riusciamo a ridurre il problema alle nostre misurazioni: dobbiamo implicare ragionevolmente il mistero per comprendere in che modo la natura biologica diventi coscienza e libertà. E soprattutto perché lo diventi. Insomma, il mistero permane anche in tutte le nostre spiegazioni riguardo al “come” funziona la realtà. Anzi, proprio capendo il come delle cose, ci assale uno stupore per il fatto che esse ci siano. Come ha scritto Ludwig Wittgenstein alla fine del suo Tractatus logico-philosophicus (1921): «Non come il mondo è, è il mistico [cioè il mistero], ma che esso è» (6.44).

di Costantino Esposito