· Città del Vaticano ·

Un aspetto poco noto della pedagogia di don Lorenzo Milani

Le ragazze di Barbiana

Scuola di Barbiana, pergolato esterno: una lezione estiva (particolare dalla copertina del libro)
29 aprile 2020

«Il fatto di essere riuscito a mandare la Carla in Inghilterra, accidenti se fu una rivoluzione a Barbiana!». Che dalla minuscola frazione toscana fosse partita una rivoluzione capace di segnare il Novecento, si sapeva. Ma sul suo risvolto anche femminile — in termini di bambine e adulte coinvolte — fa ora chiarezza Sandra Passerotti in un libro che già dice tutto dal titolo: Le ragazze di Barbiana. La scuola femminile di don Milani (Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 2019, pagine 192, euro 12).

Nato per colpa di una foto (cinque bambine sorridenti davanti a quaderni e calamai) e arricchito da molte immagini in bianco e nero che restituiscono il clima dell’epoca, il libro raccoglie le testimonianze di nove donne che ebbero la fortuna di essere formate dal sacerdote fiorentino.

È il 1954 e ha 31 anni don Lorenzo quando arriva “in punizione” per le sue idee troppo progressiste in quel piccolo gruppo di case contadine. Qui riuscirà a mettere su una delle esperienze educative più innovatrici del XX secolo, sebbene quasi insignificante in termini numerici (tra il 1955 e il 1967 a Barbiana passano 45 ragazzi).

Far studiare le femmine, soprattutto le figlie dei contadini, all’epoca è considerato poco meno che inutile e due di loro vengono addirittura mandate fino in Inghilterra per due settimane a perfezionare l’inglese — perché le lingue sono una parte fondamentale, ritiene don Milani, della formazione dello studente. E quindi anche delle studentesse. Il coraggio e l’apertura della sua pedagogia vanno dunque misurate anche alla luce della volontà di restituire dignità alle bambine e di dare loro strumenti concreti.

Rivoluzionaria è infatti l’idea di dare alle femmine un’istruzione teorica e una formazione pratica artigianale capace di renderle coscienti dei propri diritti e di sottrarsi, laddove lo vogliano, al matrimonio — che deve essere una scelta, non una necessità. In nome di un’emancipazione improntata ai valori della Costituzione e del Vangelo, le bambine di don Milani condividono con gli allievi maschi gli insegnamenti e le esperienze. Se imparano la storia e a sciare è perché l’uguaglianza a Barbiana non è mera teoria.

«Cara Giuseppina — scrive don Milani alla Grassi — mi rivolgo a te perché come sai l’unica differenza tra i maschi e le femmine è che le femmine capiscono qualcosa nei fatti altrui mentre i maschi capiscono solo nei loro propri». È il 9 maggio 1966. Oltre cinquant’anni dopo siamo ancora qui, in ascolto.

Quella di don Milani è una pedagogia che arriva molto al di là delle nozioni. I suoi effetti benefici, capaci di segnare intere esistenze (come il libro di Passerotti dimostra con forza e chiarezza) si riverberano infatti non solo in chi siede tra i banchi, ma anche in chi frequenta la chiesa. «Io non ho studiato, perché non ho potuto studiare — racconta Paola Doni — ma grazie a don Milani ho un’apertura mentale».

Le ragazze di Barbiana non sono frutto del caso: il sacerdote, infatti, ha in testa un progetto preciso. «Voglio educarle in tutti i modi — scrive il 23 luglio 1959 a Eugenia Pravettoni — per farne delle figliole intelligenti, furbe, sveglie, capaci di difendersi, di guadagnarsi il pane, di mandare avanti la famiglia».

E le bambine non si lasciano sfuggire l’occasione. «Ci ha insegnato l’indipendenza, a non essere sottomessi, a non sentirsi inferiori a nessuno, anche davanti a chi aveva un ruolo di comando. Lui ci spingeva a studiare anche se si faceva un lavoro manuale, lo studio era per noi stessi. Ci faceva appassionare alle cose. Oggi — dice Giuseppina Donnini — se riesco a difendermi e fare le mie ragioni anche con persone che hanno studiato più di me lo devo a don Lorenzo».

Perché soprattutto don Milani insegna a porsi domande e la curiosità così tanto e ben stimolata anche a distanza di decenni potrà far dire con fierezza: «Quella fame di conoscere mi è rimasta». Diventare esseri pensanti, appropriarsi della parola per far valere i propri diritti, conoscere i problemi e cercare di risolverli: questa è l’eredità di don Milani che è per Barbiana «il prete, il maestro, il dottore, il babbo e la mamma».

La presenza femminile a Barbiana non è però stata solo quella delle bambine. La scuola infatti ha potuto operare e funzionare per la presenza costante e discreta di molte donne adulte. Tra le altre, Adele Corradi che, grazie alle competenze professionali, è colei che più collabora alla didattica tra il 1964 e il 1967. Il suo contributo, infatti, non è stato solo di supporto alla pedagogia milaniana, ma l’ha invece integrata in piena autonomia. Sandra Passerotti racconta anche la storia di Eugenia Pravettoni, fondatrice della scuola di taglio e cucito a Barbiana nel 1959, altro strumento di emancipazione femminile.

Sono donne anziane alla soglia della vecchiaia quelle che incontra Passerotti «e tutte affermano di essersi sentite apprezzate, valorizzate, spinte a studiare (...) uniche».

Fu «nel fermento femminile di allora — conclude Passerotti — che la società fece dei progressi, è stato nello svilimento della figura femminile che la società è regredita. Sarà nella forza delle ragazze di oggi la riconquista della dignità e del ruolo della donna che la Costituzione garantisce e la pedagogia di Barbiana insegna?».

di Silvia Gusmano