All’origine della tradizione musicale antica legata al movimento dei flagellanti

Bisogno di disciplina

Francisco Goya, «Una Processione di Flagellanti» (1812)
08 aprile 2020

«Nell’anno 1260 (...) si sparsero per tutto il mondo i flagellanti, e tutti gli uomini, piccoli e grandi, nobili cavalieri e popolani, andavano processionalmente per le città denudandosi e flagellandosi, preceduti dai vescovi e dai religiosi. Si ristabiliva la pace, e gli uomini restituivano il mal tolto e confessavano i loro peccati (...). Componevano lodi divine ad onore di Dio e della beata Vergine e le cantavano mentre camminavano, flagellandosi».

Lo storico francescano Salimbene de Adam, o Salimbene da Parma, descrive così la prima manifestazione pubblica dei Flagellanti (o Disciplinati o anche Battuti) il movimento fondato l’anno prima a Perugia dal francescano Raniero Fasani. Il primo nucleo si chiamò «Compagnia dei disciplinati di Cristo».

Antefatti

L’autoflagellazione esisteva fin dal primo millennio; era però una penitenza individuale, che l’impulso del Fasani rese pubblico. Scrive al riguardo Raffaello Morghen: «È indubbio che al suo primo nascere [il movimento] fu un moto spontaneo di popolo, che, sia pure promosso dalla vigorosa personalità di asceta e di predicatore di Ranieri Fasani, non avrebbe potuto avere l’intensità e l’espansione che ebbe se non avesse risposto a esigenze profonde dello spirito collettivo». Confraternite di Flagellanti o Disciplinati (la “disciplina” era una piccola frusta con corde di cuoio o metallo) sorsero subito in tutta Italia prima, nel resto dell’Europa Occidentale poi. Erano migliaia, a carattere locale, senza però un’organizzazione centrale. Alcuni ordini religiosi, come i francescani, i cluniacensi e i camaldolesi, ebbero confraternite di flagellanti tra i propri membri.

La Chiesa vide la pratica con una certa diffidenza: pur accettando i valori positivi della penitenza, la flagellazione in pubblico non sembrava un esempio da seguire. Il fanatismo, a cui spesso si arrivava, scivolava talora nell’eresia. Si ebbero così condanne da parte di Alessandro iv nel 1261 e Clemente vi nel 1349.

La flagellazione

La flagellazione aveva un carattere rituale. Dopo una lunga processione il corteo, composto da centinaia o migliaia di uomini (le donne ne erano escluse), si fermava nel luogo stabilito, di solito la piazza cittadina, e i partecipanti si disponevano in cerchio. Il Magister scandiva il ritmo con un tamburo e si cantavano canti appropriati. Nella pausa breve, dopo ogni emistichio, si vibrava un colpo di frusta, in quella più lunga, tra una strofa e l’altra, si davano due colpi, sempre scanditi dal rullo del tamburo; talvolta anche da squilli di tromba.

I canti eseguiti erano di solito nella lingua parlata, raramente in latino. Ne esaminiamo qui tre, dalle tradizioni italiana, tedesca e francese.

La canzone italiana

Secondo Salimbene da Parma questa canzone era già in uso nel 1260; la si ritrova poi nel Laudario di Cortona, posteriore di una ventina d’anni. Essa consta di 8 quartine di versi rimati. Fa eccezione la prima strofa, non rimata: «Madonna santa Maria — merzé de noi peccatori: — fai te prego al dolze Cristo — che ne degia perdonare».

Nella seconda strofa si chiede ancora alla Madonna di allontanare ogni eresia, ribadendo così l’ortodossia alla Chiesa. Segue poi l’invocazione a Dio, centro dell’accorata preghiera.

«Misericordia, patre Deo, — de tutto ‘l peccato meo: — e’ so’ quel malvascio reo — ke sempre volsi mal fare». I popoli tutti sono poi invitati a tornare a «Dio onipotente» e da lui s’implora clemenza, ma anche consolazione nelle sofferenze della vita.

Un appello alla mortificazione segue: «Penetenzia, penetenzia, domandala con reverenzia: — ogn’om pensi la sentenzia — ke non se dia mai revocare». Il canto si conclude con la preghiera finale: «Iesu Cristo manda pace...». La melodia è solenne, nel terzo modo gregoriano, severa, ma non triste.

I Geissler tedeschi

In Germania, Boemia e nei Paesi Bassi i flagellanti si diffusero in un secondo tempo, verso la metà del XIV secolo. A spingere le masse alla penitenza furono vari predicatori mistici e anche il dilagare della “morte nera”, la grande peste che attraversò tutta l’Europa tra il 1347 ed il 1352. (Durante essa è ambientato anche il Decamerone di Boccaccio).

Tre canzoni ci sono pervenute complete di melodia, altre con il solo testo. La più nota è un’invocazione alla Madonna, rimasta in uso nel culto cattolico fino al XVIII secolo. Eccone la versione italiana di Flora Levi D’Ancona.

«O Maria madre, vergine pura, abbi pietà della Cristianità. Abbi pietà dei tuoi figli, che sono ancora in questa miseria. Maria, Madre piena di grazia, tu puoi e devi aiutarci bene. Concedi a noi il dono di una morte beata e guardaci da ogni pena. Ottienici indulgenza da tuo Figlio, il cui regno sarà senza fine. Perché egli ci liberi da ogni pericolo e ci protegga dal ghigno della morte».Le tre quartine rimate di cui consta il canto venivano intercalate da un brevissimo ritornello: «Ci aiuti il Redentore».

La melodia, in sesto modo o forse già in fa maggiore, è festosa e scorrevole. Un salto di quinta ascendente iniziale le conferisce una certa grandiosità.

La langue d'oil

A Liegi, nell’odierno Belgio, i flagellanti ebbero un importante centro di presenza. Da qui ci sono pervenute due canzoni, risalenti alla fine del XIV secolo. Ambedue riprendono le forme poetiche dei trovieri. Di nessuna ci è stata trasmessa la melodia. «Ave Maria, pura e gentile, — Ave altissima stella sul mare: Ave, vergine preziosa, — l’unica su cui scese lo sguardo di Dio». La prima delle tredici quartine, di cui si compone il testo, riprende i temi classici della devozione e dell’innologia mariana. Nelle successive 5 strofe si snoda una poetica litania, che riprende gli appellativi solitamente dati a Maria: gloriosa, piena di grazia, rosa splendida, vergine pura e piena di ogni lode.

Nella settima strofa l’affermazione di fondo: «Se non vi fosse stata la Vergine Maria il mondo sarebbe andato in perdizione». Per tale ragione il fedele è esortato a flagellare la sua carne, piena d’orgoglio, scacciandone così i vizi, dalla cupidigia alla prodigalità, dalla superbia alla lussuria.

Segue una preghiera, comune ai flagellanti delle diverse nazioni: «Gesù, per i tuoi tre nomi — perdona i nostri peccati: — Gesù, per le tue cinque piaghe — scampaci dall’improvvisa e subitanea morte». Un solenne invito conclude il testo: «Chiediamo con il canto — la grazia di Dio, che è già in noi: — Preghiamo per tutta l’umanità, — baciamo la terra e rialziamoci».

Tre canzoni nelle diverse lingue e culture. In tutte però spicca la tematica mariana: il detto Ad Jesum per Mariam era alla base della devozione popolare già nel medioevo.

di Benno Scharf