· Città del Vaticano ·

È Disma uno dei due malfattori crocifissi con Gesù

Anche i ladri hanno un santo in Paradiso

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09 aprile 2020

Non è certo un mestiere privo di rischi quello del ladro. Non lo è mai stato, ma nell’Impero Romano del i secolo, lo era ancora di meno. Le leggi erano severe nei confronti dei colpevoli di furto e quando si veniva catturati la certezza della pena era fuori dubbio. Anche per Disma e Gesta, questo il nome che la tradizione attribuisce a due malfattori particolari, la giustizia fu implacabile. Cosa avevano commesso? Non abbiamo notizie certe, ma le cose evidentemente non erano andate come volevano. Li troviamo crocifissi a fianco di Gesù sul Golgota.

Nel Vangelo di Nicodemo (apocrifo del iv secolo) a uno dei due si attribuisce il nome di Disma che, nel Vangelo arabo dell’infanzia, un altro testo apocrifo del vi secolo, viene chiamato Tito, mentre nella tradizione della Chiesa ortodossa russa, il suo nome è Rach. Ma chi era questo buon ladrone?

I Vangeli ci dicono che era un ladro condannato a morte. Luca è il più descrittivo: «Venivano condotti insieme con lui anche due malfattori per essere giustiziati. Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra» (23, 32-33). Anche Giovanni ne parla: «Essi allora presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Golgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù nel mezzo» (19, 18). Matteo invece scrive semplicemente: «Anche i ladroni crocifissi con lui lo oltraggiavano allo stesso modo» (27, 44). Evidentemente, si trattava di due briganti. Forse nel furto c’era scappato anche il morto e per questo venivano condannati alla pena capitale per mezzo di un supplizio infamante, non certo quello riservato ai cittadini romani.

Luca fornisce ulteriori dettagli: «Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!”. Ma l’altro lo rimproverava: “Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male”. E aggiunse: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”» (23, 39-43).

Da questo racconto si nota come Disma sia l’immagine dell’uomo che prende consapevolezza della propria colpa, ammette l’errore e considera giusta la condanna. È l’esatto contrario di Gesta che continua imperterrito nella sua chiusura totale alla verità e si ribella a tutto e a tutti. Non approfitta nemmeno dell’ultimo squarcio della vita per pentirsi. Disma, al contrario, davanti alla morte e, vedendo accanto a sé quell’innocente condannato alla stessa pena, ha come un fremito. Nella disperazione vede un barlume di speranza. Cambia atteggiamento nei confronti di Gesù e comincia a credere che anche per lui ci sia una possibilità di redenzione. Gesta si trincera dietro l’odio, mentre Disma approfitta della misericordia che vede riflessa sul volto di Cristo e si pente.

Sant’Agostino, in proposito ha scritto una frase nel suo Sermone ii, De Passione, che fa riflettere: «Gli apostoli vacillarono nella fede di Gesù Cristo, eppure videro risuscitare i morti! Il buon ladrone lo vede pendente dalla croce, e lo crede Dio». Disma crede in Gesù nonostante le apparenze mostrino, dal punto di vista umano, il fallimento completo della sua missione. Il mistero della croce è mistero anche per quel furfante che viene accomunato al Salvatore. Ma, avrà la fortuna, o la grazia, di essere il primo ad approfittare dei frutti della redenzione. Non aveva detto Gesù ai farisei che i pubblicani e le prostitute sarebbero passati avanti loro nel regno di Dio? Questa è la prova delle sue parole.

È interessante notare come Disma nelle sue ultime ore compia una trasformazione interiore, una vera e propria conversione. È la conferma che fino all’ultimo istante di vita l’uomo ha la possibilità di ravvedersi, di salvarsi l’anima, di aprirsi alla grazia. I momenti cruciali di questa conversione vengono descritti, ancora una volta, dall’evangelista Luca, il quale mostra come all’inizio anche Disma si era messo a insultare Gesù come faceva l’altro ladrone. Ma a poco a poco, il suo atteggiamento cambia: è rimasto colpito delle parole di Cristo: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno». (23, 34). È in quel momento che Disma accoglie la fede e riconosce in Cristo il Figlio di Dio e la sua giustizia. Accetta la sua sofferenza e si rivolge con umiltà a Colui che veramente lo può salvare, non dalla morte corporale, ma da quella eterna. Si spinge ancora più in là: confessa la fede nel Salvatore con coraggio davanti ai suoi persecutori e rimprovera il suo compagno di tragedia, quel Gesta che non vuol saperne di morire. San Bernardo esclama: «Quanto è bello questo tratto del Vangelo! Il buon ladrone chiede aiuto ad un crocifisso, che di aiuto sembra bisognoso egli stesso; e non dubita di ottenerlo» (Trattato De Passione).

I testi sono scarni di notizie, ci viene incontro la beata Anna-Caterina Emmerich, la quale offre nelle sue rivelazioni un certo numero di dettagli. Disma era il figlio di una famiglia di briganti. La santa Famiglia, durante la fuga in Egitto venne accolta dai parenti di Disma che la ospitarono e la rifocillarono. La beata dice che i due ladroni erano stati arrestati durante un attacco di brigantaggio. Gesta ne sarebbe stato l’istigatore e avrebbe trascinato con sé Disma a rubare. Nel corso dei secoli la Chiesa ha attribuito al buon ladrone una serie di patronati, tra i quali: i condannati a morte, i morenti, gli agonizzanti, i ladri pentiti, i prigionieri, e viene invocato contro i furti, le violenze, le calunnie e i crimini in generale. (nicola gori)