· Città del Vaticano ·

L’esperienza dell’Esodo

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26 marzo 2020

Liturgia ed Eucaristia in questi giorni vissuti a casa

In questi giorni di segregazione, in cui la nostra esistenza è sotto assedio da parte di un nemico invisibile, è importante operare un sano discernimento alla luce della fede. È questo lo spirito che ha animato Papa Francesco nell’invitare, nel corso dell’Angelus domenicale, tutti i leader religiosi cristiani, così come i fedeli, a recitare il Padre Nostro mercoledì 25 marzo alle 12. «Alla pandemia del virus — ha detto — vogliamo rispondere con la universalità della preghiera, della compassione, della tenerezza. Rimaniamo uniti. Facciamo sentire la nostra vicinanza alle persone più sole e più provate». E ha citato i malati, il personale sanitario, le forze dell’ordine, le autorità. Oggi, come in passato, d’altronde, tutti desideriamo ardentemente che la Provvidenza si manifesti in tutta la sua ampiezza, innescando l’agognata debellazione della pandemia.

Il coronavirus, lo sappiamo bene, si sta svelando in tutta la sua crudeltà, nei confronti di chiunque, credenti e non credenti. E se da una parte è ammirevole cogliere il sensus fidelium nella sua accezione contemplativa, attraverso quelle pratiche che appartengono alla devozione popolare; dall’altra s’impone l’esigenza di leggere la realtà dei fatti alla luce della Parola di Dio, della tradizione e del magistero della Chiesa. Ecco che allora, forse mai come oggi, paradossalmente, siamo chiamati tutti a vivere il sacramento dell’Eucaristia in modo, certamente inedito, ma più intenso che mai. Infatti, la celebrazione della santa messa non è altro che il memoriale della passione, morte e risurrezione di Nostro Signore. E ciò che sta avvenendo, in questo segmento spazio-temporale che ci appartiene, hic et nunc, fatto di lutti, pene e dolori, non è altro che una partecipazione alle sofferenze di Cristo, nella cristiana certezza che Egli risorgendo ha vinto la morte e il peccato.

Dunque, senza sminuire il valore della condivisione digitale delle sante messe, dei rosari e altre suppliche, offerta dalle moderne tecnologie, dall’altra è fondamentale comprendere, col cuore e con la mente, che quanto avviene dentro le mura domestiche di qualsivoglia famiglia, laddove imperversa o è in agguato il famigerato virus, è comunione con Dio e con gli ultimi, coloro che da tempi immemorabili vivono nei bassifondi della storia. E sì perché fin quando il “primo mondo” era distante dalle periferie geografiche, tutto era riconducibile a un’architettura del pensiero che legittimava le diseguaglianze. Ma ora in cui tutti abbiamo scoperto che la caducità umana è trasversale nella cornice della globalizzazione, sarebbe auspicabile andare al di là del pregiudizio o più in generale di quegli atteggiamenti di chiusura che hanno sempre marcato le distanze tra i popoli.

Essere cattolici, in fondo, significa affermare, nella fede, una universalità del destino, un’economia di salvezza, che accomuna l’intero genere umano. Non v’è dubbio, allora, che le disposizioni emanate dalla Congregazione per il culto divino, in particolare quella di non posporre la celebrazione della Pasqua, rientrino pienamente nel dinamismo della storia di salvezza. Forse, mai come oggi, siamo davvero nelle condizioni  di poter dire che stiamo provando, l’esperienza dell’Esodo: la liberazione  d’Israele dall’Egitto e il suo esodo verso la Terra promessa. Anche noi, in comunione con i vescovi, i sacerdoti e i diaconi, che celebreranno il Triduo pasquale a porte chiuse, rivivremo quell’esperienza  — Pèsach nella tradizione ebraica — in famiglia, in un tempo unico e irripetibile che rimarrà sempre impresso nella memoria. Un tempo di raccoglimento e preghiera in cui la lamentazione è oblazione gradita a Dio. Absit iniuria verbis, non si tratta di rinunciare all’Eucaristia, essendo le chiese precluse ai Christi fideles laici, quanto piuttosto di comprendere che, nel caso di una grave calamità come quella che stiamo attraversando, Supplet Ecclesia. Perché la santa Eucaristia non è un atto magico, ma è un sacramento il cui valore si manifesta e si diffonde comunque, nonostante le avversità e gli oscuri presagi del nostro tempo. Per dirla con sant’Agostino: «I fedeli dimostrano di conoscere il corpo di Cristo, se non trascurano di essere il corpo di Cristo».

di Giulio Albanese