· Città del Vaticano ·

Cronache della vita «alla finestra» nei testi di Niccolò Fabi - I

I giorni dello smarrimento

Niccolò Fabi nella copertina del suo album «Ecco»
31 marzo 2020

Le parole e le note dell’ultimo album di Niccolò Fabi, «Tradizione e Tradimento», pur concepite in un altro tempo, si rivelano oggi incredibilmente attuali. Da offrire quindi come una carezza che accompagna il riassetto di emozioni ferite, in un trittico che riconosce il dramma di questo tempo pandemico, lo attraversa e ne predice la fine. Apriamo con l’ascolto de «I giorni dello smarrimento» e «Prima della Tempesta».


«I tempi stanno cambiando»: sono «i giorni dello smarrimento». «Senza un movimento» o una «destinazione», forse già «senza desideri». «Prima della tempesta» abbiamo indugiato «alla finestra» o perseverato nella «festa» — quasi a “provocare” il mare del contagio, ma ora «il gioco si fa  serio / e si smette di giocare». Stop al calcio, alle corse nei parchi, ai flash mob sui balconi: troppi i positivi, gli intubati, i morti. Aspettando un picco e una discesa, che però sono «eventi in controtempo».

Cresce la paura di finire «nelle grotte / a disegnare sopra i muri», mentre già vediamo ritornare «gli animali / ad occupare il loro posto». «Cercheranno i miliardari / di sfuggire al camposanto», nelle case di vacanza o fuori dalla loro patria, ma «uno scherzo del destino / li accomuna ai mendicanti»: son finiti «i tempi accesi / degli allori sbandierati / a sfregio in faccia agli indifesi». Risorgono in Europa le frontiere nazionali e si decide di allentare il rigore di bilancio, ma tutto questo basterà per evitare che «i mercanti come è giusto / affogheranno in un pantano / di acqua, truffe ed oro fuso / dalla loro stessa mano»?

Nel frattempo si sospendono i lavori. In molti, tra laici e preti, sono «senza un ruolo nel reale». Con il “digiuno” dalla domenica, capita anche di non ricordare il giorno corrente: viviamo «giorni fuori tempo», costretti dentro noi stessi, là dove «il vuoto ti assale». Nelle case «sono giorni complicati», per «l’amore che non si inventa (…) quando non senti più calore», e «capirsi è complicato» se «guardi il riflesso di quello che non ti ho mai detto». Esposti alla continua presenza d’altri, «ti cerchi in una sola persona / e ti perdi in altre cento».

Se distanziarsi socialmente vuol dire che «l’innocente diventa un assassino», allora si rischia di essere «cittadino di un bel niente / straniero dappertutto». Sì, è tutta una salita fino a sera / fino al sonno che ristora» — se ristora, perché «il mattino è così stanco di illuminare / che mi ripete all’infinito buonanotte».

«Così sia, disse l’uomo» rassegnato, ma nella tempesta, non solo a lui oppongo il mio «sentirmi come mi sento»: un «vagabondo» dell’interiorità che si pone le domande di sempre — «dov’è / la strada per tornare? dov’è / la stella da seguire?».

Veramente «non c’è tempo»: viene l’ora — e l’ora è questa (Giovanni 4, 23) — in cui «l’unica cosa che conta / è amare quello che ho intorno». «Insegnare / la gentilezza nelle scuole», anche in tempi di didattica a distanza. E per i molti che restano soli a casa, spesso senza il conforto della fede, è ancora possibile porsi con «gli occhi chiusi contro il Sole / in attesa di un barlume», di «sentire in faccia il vento».

di Sergio Ventura