· Città del Vaticano ·

In «Il bambino nascosto» di Roberto Andò

Fughe che restituiscono senso al tempo

Particolare da un’illustrazione di Cyril Rolando.jpg
30 marzo 2020

Tra un bambino e un magistrato si trova Gabriele Santoro, professore di pianoforte al conservatorio San Pietro a Majella di Napoli. Stretto tra loro, parrebbe all’inizio dell’ultimo romanzo di Roberto Andò, ma in realtà librato lungo toni, ritmi e note capaci di restituire senso al tempo. E alle scelte.

Il bambino nascosto (Milano, La nave di Teseo 2020, pagine 224, euro 17) è uno di quei romanzi che ciascuno leggerà a modo suo. Con una prosa pulita e coinvolgente, Andò racconta l’intrusione del piccolo Ciro, figlio di un camorrista, nella vita del maestro che vive nel suo stesso palazzo, nel problematico quartiere di Forcella. Un’irruzione disperata e silenziosa che fa saltare schemi, abitudini e sguardi. Santoro non riuscirà più a radersi declamando poesie («Non gli venne in mente nessun verso da ripetere, neppure di Kavafis. Come se d’un tratto la poesia del mondo si fosse ammutolita. A disturbarlo era la supplica che proveniva dagli occhi del bambino, la potenza del suo sguardo indecifrabile»); Ciro scoprirà che esiste un’età per essere davvero bambini, e se ne riapproprierà («Lo si intuiva dallo sguardo in cui, poco a poco, era ricomparso anche lo stupore»).

Guardando il mare davanti a Napoli — che fa capolino con estrema discrezione in tante scene del romanzo, suggerendo quasi una traccia per tornare a casa all’adulto Pollicino — Santoro impara che «i ritmi sono rapporti fra quello che credi e quello che credevi», e ne fa tesoro.

La fuga — prima e soprattutto dalla casa e in casa — del maestro e del bambino li fa incontrare in una vicinanza da principio rarefatta, poi concretissima, in ogni caso mai banale — forse perché davvero in comune «c’era che entrambi erano sopravvissuti a un disastro».

Il metronomo di tutto, però, è lei, sempre lei — Antigone («la signorina delle anime belle» la definirà con sarcasmo qualcuno). Antigone che — contro le parole ma nei fatti — guiderà le scelte finali. Quelle definitive, che si prendono quando la distanza non è più colmabile. Quelle che aiutano un bambino a diventare un uomo; un uomo a riconoscersi; un fratello a ritrovarsi.

di Giulia Galeotti