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Anna Di Segni Coen, nipote di Tosca Di Segni Anna Di Segni Coen, nipote di Tosca Di Segni

Tosca Di Segni: l’amore di una madre oltre il filo spinato di Auschwitz

La nipote Anna racconta la storia della zia Tosca, che nel 1945 tornò a piedi fino a Roma dal campo di Theresienstadt in Germania, dove era stata trasferita da Auschwitz, per poter riabbracciare i quattro figli che col marito aveva nascosto in un collegio cattolico. “Mia zia non ha mai perso la fede in Dio - ricorda Anna Di Segni Coen - neanche nei momenti più bui della prigionia”

Marina Tomarro - Città del Vaticano

Roma, 14 febbraio 1944. Pochi mesi prima, il 16 ottobre 1943, nel ghetto della capitale c’è stato il rastrellamento da parte dei nazisti che hanno occupato la città, e oltre 1200 ebrei sono stati strappati dalle loro case, dalle abitudini quotidiane e deportati nei campi di concentramento della lontana Polonia o in Germania. Tosca Di Segni e il marito Gino Tagliacozzo sono stati risparmiati, e cercano di continuare una vita quasi normale. Hanno quattro figli, tre li hanno nascosti nel collegio del Nazzareno, nel cuore di Roma, ma il più piccolo, che ha solo quattro anni hanno deciso di tenerlo con loro. Quel giorno vanno a pranzo nella trattoria che frequentano di solito. Con loro c’è anche un’amica. Mentre stanno pranzando entra un gruppo di soldati tedeschi. Tosca e Gino vengono portati via ma il piccolo riesce a salvarsi grazie all'amica, non ebrea, che lo spaccia per suo figlio. La coppia viene portata nel carcere di Regina Coeli, da li verrà condotta prima al campo di Fossoli e poi verso il campo di concentramento ad Auschwitz, in Polonia.

Ascolta l'intervista a Anna Di Segni Coen nello speciale de La Finestra del Papa

Famiglie spezzate e vite nascoste

“Zia Tosca – racconta la nipote Anna Di Segni Coen,  testimone della Comunità ebraica di Roma – è stata per noi una figura sempre molto luminosa e di grande esempio, ma solo dopo la sua morte e quella di mio padre, suo fratello, abbiamo ritrovato delle lettere e un diario che abbiamo raccontato in un libro, insieme a sua nipote Giordana Tagliacozzo”. E la stessa vita di Anna è iniziata proprio nel mezzo della shoah, e anche se lei non ha vissuto direttamente l’orrore dei campi di concentramento, i racconti di chi vi era stato e miracolosamente tornato le hanno fatto compagnia fino dall’infanzia. “Sono nata il 15 dicembre del 1943, a Roma c’era stato da poco il rastrellamento al ghetto – racconta Anna – ma mio padre e mia madre si erano già nascosti in un convento, dove siamo rimasti fino alla fine della guerra. Allora mio padre volle tornare in Palestina, anche se lo Stato di Israele sarebbe nato solo nel 1948. Si sentiva tradito, non si fidava di nessuno, erano stati anni orribili e anche se la nostra famiglia si era salvata, lui aveva perso due fratelli, di cui non aveva più notizia. Si trattava dello zio Riccardo che con la sua giovane moglie Rita e la loro piccola di soli due anni erano stati portati via dai nazisti proprio nel rastrellamento del 16 ottobre, e zia Tosca di cui non sapevamo più niente dopo quel 14 febbraio”.

Una foto di zio Riccardo con la moglie Rita e la loro piccola di soli due anni
Una foto di zio Riccardo con la moglie Rita e la loro piccola di soli due anni

Un lungo viaggio a piedi verso casa

Purtroppo poco dopo si scoprirà che lo zio Riccardo con la moglie e la figlia erano stati uccisi durante la prigionia, ma invece per Tosca accade il miracolo. “Attraverso un soldato – continua a spiegare Anna - riuscì a farci arrivare un biglietto scritto da lei e rivolto ai suoi figli, che diceva: 'Figli adorati sono salva, siate forti e coraggiosi, spero presto di riabbracciarvi, vostra madre'. Per i suoi ragazzi, per mio padre e per tutti i fratelli fu una gioia immensa”. Ma il ritorno e il ricongiungimento di Tosca con i suoi cari, non fu così immediato. Il biglietto era stato scritto nell’aprile del 1945, ma lei riuscì, con enormi difficoltà, ad arrivare a Roma solo nell’agosto di quell’anno. “Il viaggio di rientro fu lunghissimo e difficoltoso – sottolinea Anna – zia Tosca infatti, dal campo di Auschwitz, era stata trasferita in quello di Theresienstadt in Germania, dove la sua condizione di prigionia era leggermente migliorata. Noi questo lo leggiamo dai suoi diari, dove descrive questo posto sperduto in mezzo alle montagne, quasi come un paradiso per lei, confrontato all’orrore del campo di Auschwitz. Lei è partita dalla Germania per fare ritorno a casa a piedi e senza soldi, potendo contare solo sull’aiuto delle persone di buon cuore che incontrava lungo il cammino. Quando finalmente è arrivata a Roma, ha scoperto che i figli erano partiti per la Palestina, e per poterli riabbracciare è andata li anche lei, dovendoli però cercare, perché i quattro fratelli erano stati separati e collocati in posti differenti”.

Ricominciare da dove si era lasciato

Dopo un breve periodo in Palestina, Tosca insieme ai figli decide di tornare a Roma e riprendere quella vita quotidiana che le era stata strappata. All’inizio non è facile, la loro casa era stata occupata e anche il loro negozio non c’era più, ma piano piano ricostruisce tutto. “I miei ricordi di zia Tosca - racconta Anna – sono quelli di una donna sempre gioiosa e positiva. Si curava e ci teneva ad essere sempre in ordine. Quando andavo da lei ricordo queste colazioni allegre, non si è mai persa d’animo, aveva una grande fede in Dio che non ha mai smarrito neanche nei momenti più bui, quando lei e lo zio erano prigionieri al campo di concentramento”.

Attenti all’indifferenza, perché non accada mai più

Oggi Anna porta la sua testimonianza nelle scuole e dove la chiamano, perché quello che è accaduto non succeda mai più. “Bisogna stare attenti ai segnali – evidenzia – che sono molto importanti, perché la Shoah non è un episodio che si è verificato all’improvviso, c’è stato un prima, un durante e un dopo. Quando il pregiudizio e l’indifferenza verso l’altro che è differente da me per cultura, o per religione o per colore della pelle, diventa forte, deve scattare un campanello d’allarme in tutti, e quindi noi che abbiamo vissuto questo dramma sentiamo il dovere di tramandare quello che ci è stato raccontato. Io non sono cresciuta con le favole di orchi, fate e streghe, ma con le storie di persone che purtroppo hanno fatto finta di non vedere il dramma di un popolo che si consumava dinanzi ai loro occhi”.

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28 gennaio 2023, 08:00