Cerca

Alessandro Smulevich, in alto a destra, in una foto di famiglia scattata nel 1945 Alessandro Smulevich, in alto a destra, in una foto di famiglia scattata nel 1945

Matti e Angeli, un diario per non dimenticare la persecuzione degli ebrei

Il volume edito da Pendragon è il racconto di una famiglia ebraica nel cuore della Linea Gotica, grazie al ritrovamento del diario scritto da Alessandro Smulevich, allora ventenne, nel 1943-44, quando gli Appennini divennero un luogo nevralgico dell’occupazione tedesca e della resistenza partigiana. Lì gli ebrei furono perseguitati e gli Smulevich si salvarono grazie alla protezione di due famiglie italiane. Ermanno, figlio di Alessandro: “La memoria forma le coscienze di oggi"

Andrea De Angelis – Città del Vaticano

Un diario è fedele compagno, ma anche una sfida quotidiana quando quei fogli bianchi sembrano non riuscire a contenere le pagine di vita più nere. Indicibili, impossibili da scrivere. Eppure c’è chi ci riesce, consegnando ai posteri delle memorie indelebili, affidando loro la missione di non dimenticare. Di gridare, al mondo, “mai più”. Alessandro Smulevich, classe 1923, nato a Fiume. Non ancora ventenne si ritrovò ad attraversare la Toscana, assieme ai suoi cari, nel tentativo di fuggire alla persecuzione nazifascista. Fuga, paura, speranza e disperazione. Ancora il terrore, le tane lungo il fiume e dietro i massi, il rumore incessante dei bombardamenti. Quindi la liberazione, quel passare dal peggiore incubo al più incredibile dei sogni: la libertà. Questo e molto di più è raccontato nel libro Matti e Angeli, edito da Pendragon, a cura di Luciano Andriccioni, Rosanna Marcato ed Ermanno Smulevich, il figlio dell’autore del diario.

Sospeso tra cielo e terra

Al giovane Alessandro più volte sembra di sognare. Le tinte sono sempre più cupe, man mano che sente sulla pelle il timore incessante di essere catturato, arrestato, solo perché ebreo. “Terribile fu la reazione nervosa di noi tutti sfogata, dall’impotenza di difendersi, in tumulto e pianto”, scrive il primo dicembre 1943, quando la Repubblica Sociale Italiana annuncia che tutti gli ebrei saranno inviati nei campi di concentramento e i loro beni sequestrati. “La nostra unica speranza rimane Iddio che non ci abbandona, siamo tutti quanti innocenti, con l’unica colpa di essere israeliti, perseguitati”, annota sul diario due giorni dopo.

Grazie per sempre

Alessandro la definisce spesso “padrona di casa”, ma anche della sua vita, nel senso più nobile del termine perché a salvare l’esistenza del giovane Smulevich furono due famiglie, i Matti e gli Angeli, che riuscirono a far nascondere lui e la sua famiglia in diverse case, in particolare quella di Firenzuola. Sono numerose le pagine in cui scrive la sua gratitudine alla famiglia che lo protegge dalla persecuzione nazifascista. “La padrona di casa, oltremodo gentile, fa di tutto per rendermi meno difficile questa tragica parentesi della mia vita”, si legge il 10 dicembre 1943, e ancora un mese dopo racconta della prontezza con cui la stessa disse a chi li cercava che “se ne erano andati, non hanno detto neanche a me dove, se lo sapessi glielo direi”. Smulevich è consapevole che per il suo bene c’è chi sta rischiando di pagare un prezzo altissimo.

Una lunga fuga

Da Prato a Firenze, fino a Firenzuola e poi sugli Appennini. A Firenze nel 2017 la figlia di Alessandro, Giulietta, ha trovato i diari. Alcuni portano i segni di quanto il padre, morto nel 2002, scrisse il 18 giugno 1944: “Essendo stato per quasi una settimana messo sotto i massi per misura precauzionale, il plico dei fascicoli del mio diario personale in seguito alla pioggia torna oggi in superficie in una condizione miserabile”. Le pagine raccontano la quotidianità del giovane, compresi i pasti e gli studi da autodidatta di inglese e geografia, ma sono anche fonte storica perché riportano, quando possibile, una cronaca puntuale degli accadimenti della guerra. Spesso le pagine presentano infatti le diciture “giornali, radio” seguite dai due punti ed una ricca cronaca del giorno.

Ermanno Smulevich, figlio di Alessandro
Ermanno Smulevich, figlio di Alessandro

Cronache e analisi

“Papà riusciva, pur essendo stato isolato per 7 mesi in una stanza, con i giornali che gli portavano e con la radio che ascoltava dalla trattoria tenendo aperta la finestra, a riportare non solo i dati di cronaca, ma a fare delle analisi, le tendenze, a interpretare quanto stava accadendo”, spiega nella nostra intervista Ermanno Smulevich, figlio di Alessandro, tra i curatori del volume Matti e Angeli. La penna di un ragazzo di vent’anni che vedeva svanire la normalità della sua vita, giorno dopo giorno. “Dal 1938 le leggi razziali avevano limitato la vita di mio nonno, internato in un campo a Campagna, in provincia di Salerno e poi trasferito a Firenze e quindi a Prato. Fu un’angoscia – racconta – per la perdita di tutte le libertà individuali. Gli ebrei erano emarginati completamente dalla società”.

La storia di don Renato e l’aiuto della Chiesa

Le storie si intrecciano, come quella di don Renato, appartenente alla famiglia Matti. “Io l’ho conosciuto dopo la guerra, la loro era una famiglia poverissima, ma il mito di questa gente mio padre ce lo aveva instillato. Don Renato, lo ricordo bene pur avendo avuto allora otto, nove anni, celebrò una festa ebraica insieme a noi. Mi chiedevo – ricorda – cosa ci facesse un prete nella nostra casa, poi ho capito, crescendo, come lui avesse compreso il senso della religione, della tolleranza, del rispetto e della fratellanza. Tutto questo ha forgiato il pensiero negli anni successivi, fino ad oggi”. Nel diario c’è anche il discorso di Pio XII pronunciato il 24 dicembre 1943, in cui il Papa auspicava che l’anno nuovo sarebbe stato portatore di pace, ponendo fine a tanta ingiustizia e violenza. Il signor Ermanno sottolinea come il soccorso, l’aiuto, la protezione di tanti religiosi cattolici sia stata fondamentale per salvare un numero enorme di ebrei in Italia.

Ascolta l'intervista ad Ermanno Smulevich

L’emozione di un figlio

Cosa ha provato Ermanno quando, pochi anni fa, ha scoperto l’esistenza del diario di suo padre? “È stato un qualcosa di emozionante, non solo per le riflessioni, le angosce, le fughe, ma anche perché quando l’ho letto papà era morto già da 15 anni. Sentivo tutto il timore di questo ragazzo, avrei quasi voluto proteggerlo, ma era mio padre! L’uomo che mi aveva educato, cresciuto, che ho conosciuto sempre come una persona adulta. Confesso che più volte leggendo il suo diario, spesso la sera, mi dovevo fermare perché mi veniva da piangere sulle pagine. Ho vissuto una dissociazione: io anziano, vedevo mio padre giovane con tutte le sue preoccupazioni e desideravo proteggerlo come se fosse mio figlio. Una sensazione davvero strana”, ripete con la voce rotta dall’emozione.

La fine del terrore: ritorna la libertà

L’estate del 1944 è quella in cui le pagine del diario di Alessandro Smulevich hanno una nuova luce: non più quella ben descritta dalla finestra, fosse il sole estivo che i raggi sulla neve dei rigidi inverni sugli Appennini, ma quella della libertà, del vedere realizzato ciò per cui tante volte, ogni giorno aveva pregato. “Siamo ormai liberi da giorni, sembra tutto un sogno potersi finalmente muovere liberamente”, scrive il 26 maggio 1944. “Riuscì ad evitare di essere sorpreso nascondendosi in soffitta, poi lungo il fiume, ma non aveva mai perso la speranza, anche se non mancavano i momenti di assoluto sconforto”, sottolinea il figlio. Infine il signor Ermanno vuole lanciare un appello ai ventenni di oggi, a coloro che non hanno conosciuto gli orrori della Seconda Guerra Mondiale. “La memoria è fondamentale perché porta a vivere il presente proiettandosi sul futuro. Se non c’è memoria – conclude - non c’è coscienza, non c’è sensibilità. La memoria e la cultura portano alla coscienza individuale e a non cadere preda di cattivi maestri che instillano il seme dell’odio e dell’intolleranza”.

Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui

29 ottobre 2022, 09:20