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Ayman al-Zawahiri (a destra) in un intervista. Al suo fianco Osama bin Laden, allora leader di Al-Qaeda Ayman al-Zawahiri (a destra) in un intervista. Al suo fianco Osama bin Laden, allora leader di Al-Qaeda 

Usa: dopo l'uccisione di Al Zawahiri, allerta per tutti i cittadini americani

Un drone dei servizi segreti statunitensi ha colpito domenica mattina nella capitale afghana la casa dove si nascondeva il numero uno di Al-Qaeda Ayman Al-Zawahiri, il medico egiziano che guidava l’organizzazione terroristica responsabile degli attacchi dell’11 settembre 2001, dopo l’eliminazione di Osama Bin Laden. Il Dipartimento di Stato americano esorta all'attenzione per eventuali rappresaglie. Marco Di Liddo: il terrorismo internazionale continua ad operare, anche se non se ne parla

Alessandro Di Bussolo e Giancarlo La Vella - Città del Vaticano

Uno degli uomini più pericolosi del mondo per almeno 20 anni, Ayman Al-Zawahiri, l’ideologo di Al-Qaeda e pragmatico organizzatore che avrebbe pianificato il più terribile attentato terroristico dell’epoca moderna, l’attacco alle Torri gemelle e al Pentagono dell’11 settembre 2001, si nascondeva a Kabul, la capitale dell’Afghanistan, in una casa che apparterrebbe ad una figura di spicco del regime talebano, Sirajuddin Haqqani. Alle 6,30 di domenica 31 luglio, da una base americana, gli specialisti della Cia manovrano un drone e lo dirigono verso il bersaglio. Così viene colpito il 71enne chirurgo egiziano Al-Zawahiri, alla guida di Al-Qaeda dalla morte del suo capo e amico fraterno Osama Bin Laden, ucciso il 2 maggio del 2011 in un blitz delle forze speciali Usa ad Abbottabad in Pakistan. Due giorni dopo l'operazione americana, il Dipartimento di Stato Usa lancia lo stato d'allerta per tutti i cittadini americani in tutto il mondo. Potrebbero essere a rischio di attentati come risposta all'uccisione di Al Zawahiri.

Biden: abbiamo lasciato Kabul, ma non la lotta al terrorismo

“Giustizia è stata fatta", ha dichiarato lunedì sera il presidente americano Joe Biden in tv, annunciando l’esito dell’operazione della Cia, pianificata per sei mesi, e rivolto ai terroristi ha ricordato: “Non importa quanto tempo serve, o dove vi nascondete, se siete una minaccia gli Stati Uniti vi troveranno”. Per Biden è un successo importante, secondo solo all’incursione che con Barack Obama alla presidenza e lo stesso Biden alla vice presidenza, eliminò Bin Laden. “Quando ho messo fine alla missione militare americana in Afghanistan quasi un anno fa – ha spiegato il presidente - ho deciso che gli Stati Uniti non avevano più bisogno di avere uomini in Afghanistan. Ma ho promesso agli americani che avremmo continuato a condurre efficaci operazioni antiterrorismo in Afghanistan. Lo abbiamo fatto”.

Il presidente Usa Biden annuncia il risultato dell'operazione della Cia a Kabul
Il presidente Usa Biden annuncia il risultato dell'operazione della Cia a Kabul

La protesta del regime talebano in Afghanistan

Un portavoce talebano ha protestato, sostenendo che gli accordi di Doha, che hanno preparato il ritiro degli Usa da Kabul un anno fa, vietino gli attacchi condotti dagli americani. Ma Washington ha ricordato di aver messo in chiaro che perseguirà i terroristi rimasti sul territorio afghano. Secondo alcune fonti nell’attacco sarebbero morti anche il figlio e il genero di Haqqani. Su Al Zawahiri pendeva una taglia da 25 milioni di dollari del Dipartimento di Stato Usa. Secondo i servizi segreti americani, il leader di Al-Qaeda era malato e ormai ai margini nella galassia del terrorismo di matrice islamica.

Un medico diventato l'ideologo della guerra all'Occidente

Tuttavia il “dottore” restava il capo dell’organizzazione terroristica e ogni tanto riaffiorava con qualche video o qualche scritto, incitando sempre alla violenza. Come ha fatto per tutta la sua vita, fin dalla sua giovinezza al Cairo, dove era nato 71 anni fa. Figlio di un professore di farmacologia, Zawahiri si laurea in medicina, ma si avvicina subito all’islamismo radicale, predicato dallo zio Mafhouz Azzam, un critico severo dei governi laici alla guida dell’Egitto negli anni Settanta. Frequenta i Fratelli musulmani e poi fonda la sua prima organizzazione sovversiva, Jamaat al-Jihad, per rovesciare i leader “infedeli” e instaurare la teocrazia islamica. È coinvolto nell’attentato che uccide il presidente Anwar Sadat, il 6 ottobre del 1981. Viene arrestato e detenuto per tre anni. Quando esce cercando come far ripartire la sua  “guerra santa”, si avvicina ai mujahiddin afghani e, al confine con il Pakistan incrocia un infuocato giovane proveniente dall’aristocrazia saudita, Osama bin-Laden, e decide di fondere la sua organizzazione in quella ideata da Osama: Al-Qaeda, la Base. Bin-Laden è la figura carismatica, che recluta giovani disposti a morire per la causa, mentre il medico egiziano, suo numero due, mette a punto le strategie.

Tornano le immagini della tragedia dell'11 settembre 2001

E’ lui a teorizzare la “guerra globale” all’Occidente, prima a Israele e agli Stati Uniti, poi a “tutti i nemici dell’Islam”. Scriveva nel suo “manifesto” del 1998: “Uccidere gli americani e i loro alleati, civili o militari che siano, è un dovere individuale per ogni musulmano, in qualunque Paese si trovi”. L’uccisione di Al-Zawahiri, per gli Stati Uniti, è anche un modo per lenire il trauma più grave subito nel Dopoguerra. Le tv stanno ripercorrendo il ruolo dell’ultimo leader di Al-Qaeda nella pianificazione degli attacchi dell’11 settembre. La sua idea di mandare i piloti-kamikaze ad addestrarsi nelle scuole di volo americane. Il progetto folle e sanguinario di fare una strage di civili, perché per Al-Zawahiri “nessun occidentale” era innocente.

Il pericolo terrorismo oggi

La presenza di Al Zawahiri in una capitale come Kabul ha innescato negli osservatori una serie di interrogativi su come ancor oggi il terrorismo internazionale stia operando, nonostante apparentemente i canali di informazione di tutto il mondo ne parlino meno. Secondo Marco Di Liddo, esperto di questioni internazionali del Cesi, effettivamente gruppi jihadisti operano sia in Asia, ma soprattutto in Africa, in particolare in quei Paesi più poveri che hanno difficoltà ad opporsi con efficacia all'azione destabilizzante del terrorismo.

Ascolta l'intervista a Marco Di Liddo

Al Zawahiri è stato colpito nel centro di Kabul. Questo vuol dire che ci sono ancora vaste aree in alcuni paesi che sono sotto il controllo del terrorismo?

Assolutamente sì, ancora molti Paesi, purtroppo, devono confrontarsi con una presenza radicata e diffusa di queste organizzazioni in Asia e soprattutto in Africa. Certo, il fatto che Al Zawahiri sia stato ucciso nel centro di Kabul deve farci riflettere tanto sulle promesse dei talebani, quanto sulle nostre responsabilità per una missione che non ha ottenuto i risultati sperati,

Il terrorismo in questo momento è un po' un fuoco che cova sotto la cenere, nel senso che prima o poi potrebbe riesplodere con le drammatiche vicende che abbiamo vissuto fino a qualche anno fa?

In realtà il fenomeno del terrorismo jihadista continua sempre ad agire, continua sempre a manifestarsi in maniera molto dura, magari in contesti che non hanno la stessa attenzione mediatica rispetto ad altri. Basti pensare appunto al continente africano, dove l'espansione dei network già visti è sempre più rapida, è sempre più capillare in società povere e vulnerabili.

La comunità internazionale in questo momento è alle prese con il problema Ucraina e con altre emergenze. Il terrorismo potrebbe approfittare di questa situazione?

Sì, innanzitutto da un punto di vista pragmatico. In questo momento l'occidente è occupato dal fatto di dover gestire il dossier Ucraina, che non è assolutamente un dossier semplice e quindi deve destinare molte risorse alla risoluzione della crisi tra Kiev e Mosca. Questo impedisce contestualmente di impiegare tempo e risorse finanziarie in altri contesti e senza questo tempo, queste risorse umane e finanziarie i Paesi vittime del terrorismo jihadista non hanno gli strumenti necessari a difendersi da soli e quindi diventano più vulnerabili. Mi vengono in mente, a parte appunto l’Afghanistan, che però è un discorso molto sui generis, ancora una volta i Paesi africani, come il Congo, il Mozambico e soprattutto la regione del Sahel, dove oggi ancora c'è una diffusione di questo organizzazioni che rivaleggia con le istituzioni statali.

In questo momento per molti motivi la comunità internazionale appare divisa. Queste frizioni possono favorire il riespandersi del terrorismo?

Assolutamente sì, il terrorismo di matrice jihadista è un problema comune a tutti i Paesi del mondo, a tutte le organizzazioni e a tutti i governi. Quando questi governi hanno altri motivi di conflittualità non possono confrontarsi in maniera costruttiva e non possono cooperare. Senza la cooperazione c'è minore condivisione di informazione e minore sinergia sulle strategie che bisogna implementare per sconfiggere il fenomeno. Quindi indubbiamente le divisioni nella comunità internazionale agevolano queste organizzazioni, che inoltre tante volte possono essere anche utilizzate, diciamo, in asimmetrica come quinta colonna per danneggiare l'avversario

Ultimo aggiornamento 03 agosto 2022, ore 10.00

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02 agosto 2022, 09:07