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Si può fare: quando la solidarietà diventa lavoro e futuro

La diocesi di Noto ha creato, insieme ad alcuni imprenditori di zona, una cooperativa agricola per portare aiuto e formazione lavorativa alle persone fragili del territorio, troppo spesso scartate dalle logiche della società. Il presidente Caristia: "Questi ragazzi sono una grande risorsa per la società”

Marina Tomarro - Città del Vaticano

Un progetto che ha il profumo della solidarietà sin dal suo nascere. Era il luglio del 2013, nella Val di Noto, nel sud est della Sicilia, due amici, colpiti dalla storia di un loro compagno di scuola con problemi psichici e per questo abbandonato da tutti, decidono di creare una cooperativa sociale che possa dare inclusione, lavoro e dignità ai più fragili, dai disabili psichici, alle persone con problemi di dipendenza, ai migranti a forte rischio di emarginazione. Nasce così “Si può fare”, cooperativa agricola in sinergia con la diocesi di Noto e il Dipartimento di Salute mentale della cittadina siciliana.

Dalla terra una rinascita lavorativa e sociale

“Questa realtà è stata fortemente voluta dal nostro vescovo, monsignor Antonio Staglianò, per aiutare i fragili scartati dalla società ad avere un futuro, anche in un territorio non semplice come il nostro – spiega Francesco Caristia, presidente della cooperativa - per questo abbiamo decicso di aiutare questi ragazzi, per i quali spesso è davvero impossibile entrare nella vita sociale e lavorativa, con questo percorso di inserimento al lavoro attraverso l’agricoltura. Perché dalla terra nascono cose buone e può nascere anche una nuova dignità per loro, un riscatto”. Dopo il primo anno, la cooperativa, all'inizio aperta solo a persone con disabilità psichica, è stata allargata a tutti coloro che sono in una condizione di fragilità, ai migranti,  spesso senza un posto dove andare, ai ragazzi affetti da sindrome di down, ma anche a coloro dipendenti dalle droghe e che combattono per uscirne. “Nella nostra cooperativa – spiega ancora Caristia - tra le varie strutture presenti, ne abbiamo una dedicata proprio alle tossicodipendenze. Si tratta di una ex casa di don Pierino Gelmini, dove questi ragazzi fanno un percorso che va dai 24 ai 36 mesi, quando terminano però hanno molte difficoltà a trovare un inserimento nel nostro territorio. Noi li aiutiamo a sviluppare le loro capacità partendo proprio dalla nostra cooperativa. Si occupano dei nostri orti biodinamici e non solo. La nostra filosofia è quello dello zero scarto, abbiamo attivato dei laboratori dove tutta la materia prima che non viene utilizzata, perché magari non perfetta per le logiche di mercato, viene trasformata in golose confetture e conserve secondo le nostre tradizioni siciliane”.

Ascolta l'intervista a Francesco Caristia
Un ragazzo della cooperativa al lavoro
Un ragazzo della cooperativa al lavoro

Un sostegno prezioso alle famiglie

Per le persone che lavorano nella cooperativa questa opportunità è diventata una vera e propria ragione di vita, per loro e anche per le famiglie, spesso lasciate sole a gestire dolori e difficoltà più grandi di loro. “Quando un ragazzo la mattina esce di casa per essere accompagnato qui - sottolinea Caristia – per un genitore è un momento di grande aiuto, perché sa che suo figlio passerà ore serene accompagnato dai nostri tutor, impegnandosi in qualcosa di utile anche per gli altri”. All’interno della cooperativa è presente anche una struttura dedicata ai malati psichici più gravi che, non potendo stare in famiglia, vengono assistiti e curati con attenzione ed amore. “L’Istituto Don Orione si trova nel territorio di Floridia e viene gestito da noi assieme alla famiglia orionina – spiega ancora il presidente – anche per questi fratelli che vivono nella sofferenza, non potendoli far uscire dalla struttura, abbiamo realizzato all’interno di essa dei percorsi agricoli molto simili, anche se semplificati, in modo che anche loro possano sentirsi utili e trovare una dignità in questa attività”.  Questi ultimi due anni, a causa della pandemia , sono stati molto difficili,  “soprattutto durante il primo lockdown – aggiunge Caristia – abbiamo avuto grandi difficoltà, non era facile spiegare a questi ragazzi che non potevano uscire di casa per venire da noi così come erano abituati. E lì è stato difficoltoso anche per le famiglie, perché qualcuno di loro ha iniziato a perdere i progressi fatti durante gli anni. Cambiare da un giorno all’altro le abitudini è stato uno sconquasso psicologico su cui poi abbiamo dovuto lavorare nuovamente”.

Il lavoro nei campi
Il lavoro nei campi

Non dimenticare mai chi soffre

Il pensiero va anche alle istituzioni che spesso si rivelano carenti negli aiuti verso chi vive queste drammatiche realtà. “Dobbiamo imparare a coltivare sempre di più la cultura dell’accoglienza – evidenzia Caristia – e non girarci dall’altra parte, perché questi ragazzi hanno grandi risorse che spesso sono sottovalutate perché in presenza di una disabilità. Io da questa esperienza ho avuto un arricchimento enorme, che ha cambiato completamente la mia vita. La salute mentale è una tematica che deve interessare tutti, perché può toccare tutti. Una depressione, una malattia improvvisa, possono colpire chiunque, per questo il disabile mentale va aiutato e sostenuto e non relegato ad un angolo e dimenticato”.

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07 agosto 2022, 08:00