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Studenti in piazza , a Napoli, per la morte di due giovani durante i loro stage Studenti in piazza , a Napoli, per la morte di due giovani durante i loro stage

Perché di lavoro si muore? Un interrogativo dalle troppe risposte

Dopo la morte di due giovani ragazzi durante uno stage, si moltiplicano gli appelli perché aziende e scuole investano in formazione. Gli esperti: una vittima sul lavoro non è un numero, dietro a lui ci sono le famiglie, i figli e anche le stesse aziende

Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano

Lorenzo e Giuseppe, 18 e 16 anni, nomi che negli ultimi giorni sono stati scanditi dai giovani di tutta Italia, scesi in piazza per ricordarli, perché vittime del lavoro, morti durante il periodo di stage. Lorenzo e Giuseppe entrano a far parte di una lista che negli anni non diminuisce e che ancora oggi supera quota mille, come nel 2021: 1.200.“Dopo la pandemia si è riavvita l’economia ‘costi quel che costi’”, denuncia Bruno Giordano, direttore generale dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro che, nei giorni scorsi, ha preso parte ad un seminario per gli operatori dell’informazione dal titolo “Di lavoro si muore. Perché?”, promosso dall'Associazione Amici di Roberto Morrione, da Anmil e da Articolo 21.

Ascolta l'intervista con Bruno Giordano

Il profitto prevale sui valori umani

“Pur di ripartire – spiega Giordano – si è trascurata la sicurezza ed ecco ciò che accade, come purtroppo ci dimostra la cronaca quotidiana. Il profitto, scopo naturale di una impresa, non è un problema, ma lo diviene quando va a prevalere sui valori sociali del lavoro e soprattutto sui valori umani della dignità, della sicurezza della libertà”. Il punto è che se tutti facessero il proprio dovere, la lista delle vittime non sarebbe così lunga. Non fanno il loro dovere le imprese, non lo fanno le scuole, quando si tratta di alternanza scuola-lavoro, e non lo fanno nemmeno le parti sociali, puntualizza ancora Giordano, che spiega anche come non si faccia sufficiente prevenzione attraverso la formazione, “obbligo che rende più preparato il lavoratore, o la lavoratrice. Se un operaio che va a lavorare è ben preparato non sale su un cantiere per suicidarsi, sta molto attento, innanzitutto a se stesso!” 

Un morto sul lavoro non è un numero

Lorenzo e Giuseppe sono caduti vittime proprio dell’alternanza scuola-lavoro, una realtà che va resa sicura attraverso il rispetto delle norme e, soprattutto, prosegue Giordano, “della Carta dei diritti e dei doveri degli studenti, che è la base, la costituzione, del rapporto nell'alternanza scuola-lavoro nei centri di formazione professionale dove lavorano questi ragazzi, o ragazze, minorenni, dove è prevista la formazione da parte delle scuole e da parte delle aziende e le scuole devono stare molto attente a scegliere le aziende con profili che potrebbero mettere a rischio l'incolumità dei ragazzi”. “Ciò che è fondamentale ricordare sempre – conclude Giordano - è che le norme ci sono e vanno applicate e che le vittime non sono soltanto i lavoratori, ma lo sono famiglie intere, lo sono gli orfani e probabilmente anche le stesse aziende”.

Perché un morto sul lavoro, spiega Franco D’Amico, ex coordinatore generale della Consulenza Statistico Attuariale Inail, oggi consulente statistico di Anmil, “non è un semplice numero, dietro c'è una storia di una vita spezzata, di una famiglia distrutta, un dramma sociale, e anche un pesante costo economico, se si pensa che l’Inail stima in circa 51 miliardi il costo per la collettività degli infortuni sul lavoro”.

Ascolta l'intervista con Franco D'Amico

L’impatto del Covid

Lo statistico analizza poi gli anni 2020 e 2021, toccati dal Covid e per questo “completamente stravolti sia dal punto di vista sociale che economico” e che hanno avuto “pesanti ricadute anche sul fenomeno infortunistico”. Se da una parte il Covid ha drasticamente ridotto il numero degli infortuni e dei morti sul lavoro, a causa della chiusura delle fabbriche, per il calo della produzione e delle ore lavorate, dall’altra parte la pandemia ha provocato un’infezione che, in ambito lavorativo, soprattutto nel settore della sanità, è stata riconosciuta come un vero infortunio sul lavoro.

Principali cause di morte

Ad oggi la prima causa di morte per i lavoratori resta la strada, laddove si muore o nello svolgimento del proprio lavoro, autisti di autobus, autotrasportatori, oppure ‘in itinere” ossia nel percorso casa, lavoro, casa. Se si guarda invece ai settori di attività a maggior rischio, al primo posto c’è l’edilizia, al secondo quello dei trasporti, seguito da agricoltura e metallurgia. Anche per D’amico, così come per Giordano, la ragione di tutto questo è l’assoluta mancanza di una cultura della sicurezza, sommata alla scarsità di una giusta informazione e formazione dei lavoratori, agli scarsi investimenti per l’ammodernamento dei macchinari, delle attrezzature, dei dispositivi di sicurezza, e poi ancora la questione dei controlli e la mancanza di sensibilizzazione verso una cultura della sicurezza che deve partire fino dai banchi di scuola. "Ci sono mille modi per fermare questa tragedia", conclude D’Amico, "ma l’obiettivo ‘zero morti sul lavoro’ è e resterà un sogno".

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19 febbraio 2022, 16:43