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Kazakhstan: i danni causati al palazzo municipale di Almaty (Reuters) Kazakhstan: i danni causati al palazzo municipale di Almaty (Reuters)

Kazakhstan, si ritirano le forze russe. Migliaia gli arresti

Dal Paese escono le truppe dell'intesa Csto, ma crescono le preoccupazioni per le violenze che hanno scosso un’area di grande interesse internazionale. Antonio Stango, presidente della Fidu: le persecuzioni politiche dureranno a lungo. Paolo Sorbello: il malcontento popolare non rientrerà

Francesca Sabatinelli e Stefano Leszczynski - Città del Vaticano

In Kazakhstan è iniziato il ritiro delle forze dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, il Csto, alleanza militare nata nel 1992 da alcuni Stati ceh avevano fatto parte dell’Unione Sovietica, dopo essere intervenute dietro richiesta del presidente del Paese, Kassym-Jomart Tokayev, per sedare le violenze, nate dalle manifestazioni provocate dal rincaro del carburante. Il bilancio delle vittime degli scontri resta ancora molto incerto, si parla di 18 agenti di polizia, ma non del numero delle vittime civili, che sarebbero circa 200. 

La violenza contro giornalisti e attivisti

Il presidente Tokayev, nei giorni scorsi, si è recato nella città più coinvolta dalle proteste, Almaty, dove sarebbero ancora in corso quelle che sono state definite “operazioni antiterrorismo” contro i dimostranti. Gli arresti effettuati sarebbero circa 10 mila carico di persone che vengono iindicate quali “rivoltosi e saccheggiatori”, ma tra loro vi sarebbero in realtà molti giornalisti e attivisti, arrestati arbitrariamente per aver seguito le proteste nate in seno alla società civile, che da tempo chiede il cambiamento del Paese, anche con il sostegno dell’Occidente. “Si parla di migliaia di persone arrestate – testimonia Antonio Stango, attivista e politologo, presidente della Federazione Italiana Diritti Umani (Fidu) - attraverso le fonti dirette che abbiamo come Federazione in Kazakhstan. Abbiamo avuto anche immagini di persone che non hanno preso parte alle manifestazioni, ma note come attivisti per i diritti umani, che sono state arrestate, picchiate a sangue, che hanno riportato delle gravi ferite come conseguenza di pestaggi da parte di agenti di polizia o in borghese.” Stango, dunque, non solo denuncia le migliaia di arresti, ma anche le dure condizioni di detenzione, “e questo a fronte di proteste alle quali hanno preso parte migliaia di persone in modo assolutamente pacifico”, almeno fino a quando non si è avuta notizia della presenza di bande violente “di dubbia provenienza”, specifica Stango.

Ascolta l'intervista con Antonio Stango

Le persecuzioni politiche 

Sul Kazakhstan gravano tanti interessi internazionali. “Si tratta di un Paese estremamente ricco di prodotti del settore energetico – prosegue Stango – di petrolio, gas naturale, ma anche di uranio, di cui è uno dei maggiori produttori, il che fa sì che abbia un rilevanza strategica sul piano globale”. Questo, secondo il presidente della Fidu, sarebbe fra i motivi per i quali Tokayev “ha ritenuto di dover chiedere l'intervento armato della Csto, quindi sostanzialmente delle forze russe”. Accanto a questo poi c’è anche il suo tentativo di liberarsi della pesantissima influenza dell'ex presidente Nazarbayev, al potere per 30 anni, e che, fino a pochi giorni fa, occupava anche la carica di Presidente del Consiglio Nazionale di Sicurezza, ruolo dal quale Tokayev lo aveva esautorato, dopo aver anche fatto arrestare colui che per molti anni era stato il capo dell' ex KGB del Kazakhstan, Karim Massimov, il che farebbe assumere a quanto accaduto negli ultimi giorni anche i contorni, è opinione di Stango, di uno scontro di potere interno. Nonostante la situazione sia apparentemente rientrata, sarà necessario mantenere alta l’attenzione, anche da parte dei governi dei Paesi democratici, per assicurare, conclude Stango, “la possibilità eventualmente di asilo politico per coloro che abbiano titolo per farne richiesta, perché – è la previsione – le persecuzioni politiche, purtroppo, dureranno a lungo”.

Le ragioni della protesta 

Certamente il malcontento popolare non è destinato a rientrare facilmente. “Il modo in cui le proteste si sono allargate a tutto il Paese è indice del fatto che il sentimento sia molto condiviso”, spiega Paolo Sorbello, giornalista e ricercatore dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, che vive in Kazakhstan ed è testimone oculare di come “le questioni sociali, da due anni a questa parte, soprattutto nel contesto della pandemia”, si siano esacerbate. Quello che è sceso in strada a manifestare è stato sì il malcontento legato all’aumento dei prezzi del carburante, ma determinato “anche alle proteste per la mancata ridistribuzione delle ricchezze e al rifiuto di dare legittimità ad un potere ritenuto corrotto, non rappresentativo e impossibile da cambiare”, nonostante il presidente Tokayev riconduca gran parte delle ingiustizie al passato regime di Nazarbayev, “un passato regime di cui faceva parte lui stesso”, sottolinea Sorbello. Nel prossimo futuro sarà da capire come cambieranno gli equilibri, considerando i forti investitori che gravitano attorno al Kazakhstan, come la Cina, tra i maggiormente interessati alla stabilità del Paese, che però è importante “non solo per Mosca e Pechino – precisa il ricercatore – ma anche per Europa e Stati Uniti che, dall’indipendenza, negli ultimi 30 anni, hanno investito miliardi di dollari”. Di sicuro, prevede Sorbello, non si assisterà né ad un cambiamento epocale, né ad un cambiamento del sistema, “che probabilmente resterà in mano a una persona forte che sarà Tokayev”.

Ascolta l'intervista con Paolo Sorbello

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14 gennaio 2022, 08:00