Un bambino con i resti di un missile lanciato in un attacco a Marib, in Yemen (Reuters / Ali Owidha) Un bambino con i resti di un missile lanciato in un attacco a Marib, in Yemen (Reuters / Ali Owidha)

Yemen, dal 2015 ogni giorno 4 bambini sono vittime del conflitto

Almeno 10mila minori sono stati uccisi o feriti in Yemen dallo scoppio dei combattimenti nel marzo 2015. La denuncia dell'Unicef arriva pochi giorni dopo la decisione del Consiglio Onu dei diritti umani di non rinnovare il mandato del Gruppo di eminenti esperti sullo Yemen, l’unico meccanismo internazionale di monitoraggio sulle violazioni dei diritti umani nel contesto del conflitto. Paolo Pezzati di Oxfam: "Il Paese è di fatto raso al suolo"

Andrea De Angelis - Città del Vaticano 

Il conflitto in Yemen ha raggiunto "un'altra vergognosa pietra miliare ".  La denuncia a Ginevra arriva dall'Unicef con il suo portavoce, James Elder, reduce da una missione nel Paese. Dall'inizio del conflitto sono almeno 10mila i bambini uccisi o feriti a causa della guerra, ovvero "quattro bambini al giorno, ma il dato - ha sottolineato Elder - si riferisce solo ai casi che le Nazioni Unite hanno potuto verificare". 

Vittime innocenti 

La crisi umanitaria in Yemen è considerata da numerosi esperti internazionali la peggiore al mondo ed i piccoli cittadini yemeniti sono tra i più vulnerabili del pianeta. Secondo recenti stime, oltre 10 milioni di loro - l'80% del totale - ha bisogno di assistenza umanitaria per sopravvivere. "Innanzitutto bisogna avere la fortuna di nascere, perché molti muoiono durante la gravidanza ed ancora di più appena neonati per malnutrizione. Se hai comunque la fortuna di crescere, difficilmente vai a scuola e rischi di diventare presto un bambino soldato", denunciava lo scorso mese a Vatican News la giornalista Silvia Laura Battaglia, esperta di Yemen. "Io stessa a Sana'a - proseguiva - ed in altre città ho visto bambini indossare il grembiule per andare a scuola al mattino, e poi ho visto gli stessi piccoli con la divisa il pomeriggio per controllare fino alla sera i check-point".

Aiuti umanitari 

Ieri, mercoledì 20 ottobre, il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha chiesto in una dichiarazione adottata all'unanimità una "de-escalation" della situazione in Yemen per contrastare "il crescente rischio di carestie su vasta scala" nel Paese. Occorre un impegno in tal senso "da parte di tutti, compresa la fine immediata dell'offensiva guidata dagli Houthi, i ribelli sciiti, a Marib", ha affermato il Consiglio, domandando "un immediato cessate il fuoco nazionale" e condannando il "reclutamento e l'impiego di bambini e la violenza sessuale nel conflitto". Tutti i membri del Consiglio si sono inoltre dichiarati "gravemente preoccupati per la terribile situazione umanitaria, in particolare per il rischio crescente di carestie su vasta scala", ed è stato chiesto al "governo dello Yemen di facilitare senza indugio l'ingresso di petroliere nel porto di Hodeida". "Tutte le parti devono garantire un libero flusso di carburante all'interno del Paese per fornire prodotti essenziali e aiuti umanitari", si legge.

Diritti umani 

Sempre questo mese, però, numerose organizzazioni impegnate da anni nello Yemen, tra cui Oxfam ed Amnesty International, hanno definito un enorme passo indietro la fine del mandato Onu per monitorare il rispetto dei diritti umani nel Paese. Il 7 ottobre, infatti, il Consiglio Onu dei diritti umani non ha rinnovato il mandato del Gruppo di eminenti esperti sullo Yemen, l’unico meccanismo internazionale di monitoraggio sulle violazioni dei diritti umani nel contesto del conflitto iniziato nel marzo 2015. “Con questo voto, le Nazioni Unite hanno abbandonato la popolazione dello Yemen. Le pressioni di Arabia Saudita, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti hanno avuto successo. Ma chi ha votato contro il rinnovo del mandato del Gruppo di eminenti esperti o si è astenuto dovrà vergognarsi”, ha dichiarato Heba Morayef, direttrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord. Già nel 2018, al rinnovo del mandato, la coalizione guidata dai sauditi aveva criticato il prolungamento della missione. 

Nuovi pericoli 

Il rischio, adesso, è che le notizie provenienti dallo Yemen diventino ancora più sporadiche. Paolo Pezzati, Policy Advisor di Oxfam, si occupa di Yemen fin dal primo giorno del conflitto. Oxfam è una confederazione internazionale di organizzazioni non profit che si dedicano alla riduzione della povertà globale, attraverso aiuti umanitari e progetti di sviluppo. Nell'intervista a Radio Vaticana - Vatican News, Pezzati sottolinea come le cicatrici di questi anni resteranno per intere generazioni sulla popolazione yemenita, che oggi però ha urgente bisogno di aiuti umanitari. "Mancano due mesi alla fine dell'anno, ma dei 4 miliardi di dollari necessari - afferma - ne sono arrivati due". 

Ascolta l'intervista a Paolo Pezzati

Leggere un bilancio così tragico di minori vittime del conflitto yemenita che effetto fa a chi, come voi, si occupa di questa popolazione da anni? Un dato che tra l’altro si riferisce solo ai numeri ufficiali…

La notizia formalizza, dando un numero, quello a cui assistiamo da troppo tempo. Cioè la presenza di vittime in modo costante in ogni angolo del Paese e, tra loro, ci sono anche bambini. Tutto questo si commenta sempre male: sono vite, famiglie, dolore. Si tratta di gravi e profonde ferite che rimarranno sempre, per intere generazioni. Stiamo parlando di un conflitto lungo sette anni, che ha visto e sta vedendo di tutto, dalla devastazione economica a quella delle infrastrutture, delle strade. Sono stati colpiti scuole ed ospedali. Lo Yemen è stato di fatto raso al suolo nella capacità di funzionare, di dare risposte. In questo contesto risulta insufficiente anche la risposta umanitaria per una crisi che vede quasi l’80% della popolazione sopravvivere grazie agli aiuti. Stiamo parlando di oltre 20 milioni di persone. Quasi 15 milioni soffrono di insicurezza alimentare e 50mila persone stanno vivendo, oggi, la carestia.

Un anno fa in una nostra intervista ci raccontavi di come gli aiuti umanitari fossero diminuiti. Oggi a che punto siamo?

Purtroppo quest’anno è peggio dello scorso, perché ad oggi, dunque a poco più di due mesi dalla fine del 2021, il piano di risposta umanitario è finanziato al 54%. Erano 4 i miliardi di dollari richiesti dalle Nazioni Unite, ne sono arrivati due. Questo vuol dire che milioni di persone non avranno quell’aiuto di cui hanno estremamente bisogno. C’è poi un secondo livello di difficoltà, cioè l’operare con un conflitto in corso. L’accesso non sempre è possibile, o comunque è spesso rallentato, legato a permessi che non si ottengono in modo rapido. Siamo al settimo anno di guerra ed i bisogni risultano sempre crescenti: al colera si è aggiunto il Covid-19, i problemi si sommano e dunque occorrono risposte celeri.

Questo mese è arrivata la notizia del mancato rinnovo del mandato del Gruppo di eminenti esperti sullo Yemen. Voi ed altre organizzazioni avete letto questo come un passo indietro dell’Onu, puntando il dito anche contro la probabile mancanza di informazioni certe su quanto accade e accadrà alla popolazione, è così?

Sì, perché il Gruppo degli esperti era un meccanismo autorevole, indipendente, riconosciuto internazionalmente. Le sue evidenze potevano e possono essere usate come prove nei tribunali internazionali. Questo lavoro viene a cessare ed il tutto è demandato alla capacità, sempre minore, delle organizzazioni yemenite ed internazionali di poter testimoniare, di offrire prove. Già la situazione era difficile per il Gruppo, figuriamoci ora. Il rischio e la pericolosità di simili attività aumentano a livello esponenziale. Il segnale che si dà è a dir poco negativo per un Paese dove si sono già verificati bombardamenti su scuole ed ospedali e, non dimentichiamolo, morti tra i civili anche in zone lontane dal fronte del conflitto.  

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21 ottobre 2021, 13:56