Celebrare l'indipendenza vuol dire anche ricordare le migliaia di vittime della pandemia in Centro America. In questa immagine lo fa una giovane guatemalteca a Città del Guatemala (Johan Ordonez, Afp) Celebrare l'indipendenza vuol dire anche ricordare le migliaia di vittime della pandemia in Centro America. In questa immagine lo fa una giovane guatemalteca a Città del Guatemala (Johan Ordonez, Afp)

200 anni fa l'indipendenza di cinque Stati del Centro America

Il 15 settembre 1821 Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras e Nicaragua ottennero l'indipendenza dall'Impero spagnolo. In questi due secoli numerose le sfide che hanno caratterizzato questi Paesi, inizalmente riuniti per circa vent'anni nella Repubblica Federale del Centro America e poi singoli Stati sovrani. Il giornalista e scrittore Alfredo Somoza: "La Chiesa da sempre vicina alla popolazione"

Andrea De Angelis - Città del Vaticano 

Il 15 settembre 1821 è un giorno storico per il Centro America, quello in cui cinque Stati ottennero l'indipendenza dall'Impero spagnolo. Si tratta di Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras e Nicaragua. Oggi, a due secoli di distanza, celebrano quel giorno circa 43 milioni di persone, il numero complessivo degli abitanti dei cinque Paesi. Oltre un terzo sono guatemaltechi. Ma sono milioni anche le persone emigrate all'estero, nei vicini Stati Uniti d'America e in altri continenti, su tutti Asia ed Europa. Anche loro festeggiano un giorno che nella storia di questi popoli ha sempre significato rivincita, rinascita. Indipendenza, appunto. Tante però le sfide sorte in due secoli di storia, alcune delle quali ancora aperte, e negli ultimi due anni la pandemia di Covid-19 ha acuito alcune fragilità che ora chiedono di essere sanate. 

Indipendenza, federalismo e sovranità 

L'indipendenza dall'Impero spagnolo ottenuta esattamente 200 anni fa non significò piena sovranità per questi cinque Stati, che infatti diedero vita alla Repubblica Federale del Centro America, inizialmente chiamatasi Province Unite dell'America Centrale, ispirata al modello dei vicini Stati Uniti d'America. La capitale fu posta a Città del Guatemala, quindi dal 1934 a San Salvador. La federazione comprendeva dunque proprio i cinque Paesi che oggi festeggiano l'indipendenza, ma nel 1830 si aggiunse un sesto Stato, Los Altos, che occupava parte del Guatemala e del Messico. La bandiera della neonata Repubblica rappresentava la sua straordinaria posizione geografica che la poneva al centro tra l'Atlantico ed il Pacifico. Per farlo, una banda bianca era posta così al centro tra due strisce azzurre. La bandiera, come la Repubblica, ebbe però vita breve: troppe le frizioni politiche tra le parti, così come erano numerosissimi i problemi negli spostamenti e nei trasporti tra i diversi Paesi. Tra il 1838 ed il 1840 la federazione, a causa di una guerra civile interna, si disgregò. Il primo Stato a separarsi fu l'Honduras che lasciò la federazione il 5 novembre 1838. In meno di due anni quattro Stati su cinque avevano dichiarato l'indipendenza. La federazione cessò ufficialmente solo nel febbraio del 1841, quando El Salvador proclamò a sua volta la costituzione di una propria repubblica indipendente. 

Anche la Chiesa festeggia l'anniversario

La data odierna è ricordata anche dalla Chiesa cattolica, punto di riferimento assoluto in una realtà dove la popolazione è in gran parte cattolica. La Conferenza Episcopale del Nicaragua, ad esempio, in un messaggio ha voluto ricordare l'importanza di questa data, sottolineando come siano ancora tante le sfide aperte per il Paese. "Oggi più che mai - si legge - abbiamo bisogno di istituzioni attente, sagge e autorevoli che sappiano guidarci lungo cammini di amicizia civica, di dialogo tollerante e rispettoso, di ricerca del bene comune sugli interessi personali o di parte, trovando così la via per la giustizia e la pace sociale". Quindi i vescovi sottolineano come sia necessario ridare speranza al popolo: "La Chiesa, Madre e Maestra, ha una parola da offrire grazie alla sua esperienza millenaria: il Nicaragua ha bisogno di riaccendere la Speranza. Proponiamo a tutti di costruire una società basata su valori che, come fratelli della stessa patria, possano guidarci a vivere uno spirito di fratellanza, in libertà ed in pace. Celebriamo dunque questo bicentenario dell'indipendenza impegnandoci a superare le divisioni e gli atteggiamenti violenti ed egoistici, il che implica una vera conversione del nostro modo di pensare, una conversione del cuore affinché si possa costruire insieme una società nuova, mossa dalla carità e dalla solidarietà".

Le nuove generazioni

Quali, dunque, le sfide ancora aperte a due secoli dall'indipendenza per il Centro America? In che modo quel giorno segnò l'inizio di una nuova storia, dal tentativo di unità a nuove divisioni? Come arginare poi l'emigrazione dei giovani che caratterizza anche gli ultimi anni della storia di questi Stati? A queste ed altre domande risponde a Radio Vaticana - Vatican News il giornalista e scrittore Alfredo Luis Somoza, esperto dell'area e presidente dell'Istituto Cooperazione Economica Internazionale di Milano.

Ascolta l'intervista ad Alfredo Luis Somoza

Iniziamo da un bilancio, in estrema sintesi, di questi 200 anni di indipendenza.

Possiamo dire che la disunione non paga mai, una lezione questa sempre attuale. Il Centro America nasce come Stato federato nel 1821, ma l’idea di creare gli Stati Uniti del Centro America naufragò in meno di vent’anni. Comunque la sua è una storia straordinaria nella quale possiamo leggere anche una serie di questioni che riguardano la globalizzazione. In queste terre spesso si sono verificate delle dinamiche che oggi anche altri continenti conoscono bene...

Qual è stato il ruolo della Chiesa in questi due secoli?

Non possiamo innanzitutto dimenticare la figura di Bartolomé de Las Casas, il vescovo che per primo difese i diritti degli indigeni. La Chiesa in Centro America è stata presente in tutti gli eventi che riguardano la storia sia coloniale che dopo l’indipendenza, ed è stata una realtà molto vivace nel Novecento. Questa per la Chiesa è terra di martirio, ha pagato un prezzo molto alto anche per essere vicino al popolo. Una Chiesa anche di frontiera perché qui hanno agito le varie chiese riformate che provenivano dagli Stati Uniti, dai pentecostali agli evangelici. La Chiesa da sempre è presente nella storia di queste terre, ha avuto sempre un ruolo che definirei popolare ed ancora oggi questo è un luogo di evangelizzazione.

Luoghi spesso colpite da devastanti calamità naturali, un fattore che si contrappone invece alla posizione strategica, tra due oceani...

Gli uragani, sia quelli dell’Atlantico che del Pacifico, hanno spesso colpito questi popoli. Inoltre il Centro America è una terra vulcanica altamente sismica. C’è però anche l’opera dell’uomo, dalla deforestazione all’erosione dei suoli, basti pensare alle piantagioni di banane. Oggi in questi Stati le principali vittime della violenza non sono i sindacalisti, ma gli ambientalisti perché qui si vive una grave emergenza ambientale. Il maltrattamento delle terre mette a serio rischio la vita delle persone, dunque le calamità sono sia naturali che legate agli errori dell’uomo.

Quali sono le partite ancora aperte a due secoli dall’indipendenza?

Innanzitutto la frattura etnica non ancora ricomposta tra il cosiddetto mondo meticcio e quello bianco. C’è poi la frattura della terra, il fatto che i proprietari siano appartenenti a poche famiglie, a pochi gruppi dinanzi a masse di contadini. Non possiamo poi dimenticare il narcotraffico, perché il Centro America è terra di passaggio della droga prodotta a Sud e diretta nel Nord America. Il dramma dell’emigrazione vede poi milioni di persone costrette a lasciare la propria famiglia, migranti soprattutto economici, spesso diretti negli Stati Uniti.

L’età media della popolazione è molto bassa. Dunque anche la Sanità è un tema centrale, i cui limiti sono emersi con più forza in tempo di pandemia?

Stiamo parlando della zona più povera del continente americano, seconda solo ad Haiti nei Caraibi. La Sanità, l’Istruzione sono due problemi enormi. L’educazione pubblica è deficitaria, c’è in generale una grande mancanza dello Stato. I giovani ovviamente vorrebbero di più, è molto difficile essere giovani in questi Paesi dove il lavoro è poco qualificato e si è attratti dalle bande criminali. L’alternativa è emigrare, dunque in qualche modo il destino appare segnato e durante la pandemia abbiamo visto anche situazioni in cui l’autoritarismo, piaga del passato con vere e proprie guerre civili, ha rialzato la testa, mostrando di avere radici forti. Questa è una zona conflittuale, non a caso il neo presidente statunitense Joe Biden ha detto che avrebbe avuto molta attenzione per quest'area. Per gli Stati Uniti è strategico fare in modo che gli abitanti del Centro America abbiano le condizioni minime per continuare a lavorare, e dunque a vivere, nei loro Paesi.

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15 settembre 2021, 13:23