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Al via i Giochi Paralimpici Tokyo 2020

A Tokyo in Giappone si riaccendono i riflettori mondiali dello sport. Sono iniziate le Paralimpiadi, edizione XVI, con la cerimonia festosa e l'accensione della fiaccola olimpica. Le competizioni termineranno il 5 settembre con circa quattromila atleti di 153 Paesi con disabilità motoria, visiva e intellettiva

Marina Tomarro - Città del Vaticano

Passione, competizione e sacrifici e tanta pazienza. Sono questi gli ingredienti vincenti delle Paralimpiadi, a volte considerate quasi le sorelle minori delle Olimpiadi, ma che in realtà rappresentano un’unione di grandi atleti pronti a sfidarsi e a superare ostacoli che sembrano insormontabili. Iniziate ufficialmente dall’edizione di Roma del 1960, nel tempo sono cresciute come numero di partecipanti. A Tokyo gli atleti gareggiano in 540 competizioni di 22 diversi discipline sportive. Quasi tutti i Paesi del Medio Oriente e Nord Africa partecipano, con un numero variabile di atleti. Le delegazioni più numerose sono quelle di Turchia ,con 87 atleti, e l’Iran con 62 partecipanti. Alle Paralimpiadi sarà presente anche la squadra dei rifugiati. Cinque atleti uomini di cui tre siriani, un iraniano, un burundese e un afghano, e una donna gareggeranno, in rappresentanza di oltre 80 milioni di rifugiati nel mondo, 12 milioni dei quali, secondo l’Onu, hanno qualche disabilità. Per arrivare a Tokyo hanno fatto la strada più lunga, ma alla fine sono arrivati anche loro.

Lo sport diritto di tutti

“Le Paralimpiadi sono molto importanti – spiega Giuseppe Trieste presidente di Fiaba, l’associazione contro le barriere architettoniche – perché ogni cittadino ha diritto a partecipare allo sport. La prima Paralimpiade è stata concessa nel 1956 dal Comitato Olimpico Mondiale. Oggi, a sessant’anni da questo primo evento sarebbe utile che Olimpiadi e Paralimpiadi fossero un’unica manifestazione sportiva, dove gli esseri umani esprimono le loro reali capacità di forza mentale e fisica”.

Ascolta l'intervista a Giuseppe Trieste
La Nazionale Italiana femminile di Sitting Volley
La Nazionale Italiana femminile di Sitting Volley

Insieme tutto è possibile

Per la nazionale italiana di sitting volley queste Paralimpiadi sono un debutto sognato e desiderato senza mollare mai, neanche quando - con l’arrivo della pandemia - sembrava tutto finito. Dodici ragazze combattive guidate dal cit Amauri Ribeiro, che attraverso un lungo percorso fatto di vittorie e tanti sacrifici sono giunte fino all’olimpo di Tokyo2020. Atlete e donne ognuna con la sua storia personale. Come Giulia Aringhieri classe 1987 livornese e con una difficile compagna di viaggio: la sclerosi multipla. “Quando all’inizio mi è stata diagnosticata la malattia - racconta Giulia - ero smarrita e avevo paura di affrontare qualcosa di sconosciuto e non controllabile”. Poi, racconta, il coraggio piano piano è arrivato insieme alla certezza di non essere sola ad affrontare il percorso. “Per molto tempo sono stata chiusa in me stessa. Poi ho capito che invece è importante condividere, trovare almeno una persona con la quale vincere la paura, un pezzo alla volta. Insieme è meno difficile.” E nella vita di Giulia è arrivato anche l’amore attraverso l’incontro con il tenore Marco Voleri - affetto dalla stessa patologia - e la nascita del loro bambino Andrea. “Io e Marco – racconta – ci siamo incontrati proprio ad una presentazione di un suo libro, dove raccontava di come affrontava la malattia. All’inizio mi era sembrata una follia condividere la nostra vita, ma oggi lui e nostro figlio, sono la mia più grande forza” insieme, naturalmente alla sua grande passione: la pallavolo. Giulia gioca nel Dream Volley Pisa con il ruolo di attaccante e da cinque anni fa parte della Nazionale italiana di sitting. “Quando siamo arrivati al Villaggio Olimpico l’emozione è stata fortissima – spiega Giulia – perché lo abbiamo sognato per tanto tempo. Anche trovarsi con atleti provenienti da ogni parte del mondo è qualcosa che non si può descrivere”. Ma la strada per arrivare alle Paralimpiadi non è stata sempre facile. “Siamo una squadra molto giovane – continua l’atleta – nata non troppi anni fa e essere riusciti a qualificarci verso il traguardo olimpico è un risultato enorme. Anche durante il periodo dei restringimenti per il Covid, siamo comunque riuscite a vederci on line e ad allenarci costantemente. Essere qui vuol dire quel sacrificio, la passione e l’impegno di un sogno che si può raggiungere se si è sostenuti e uniti come team di lavoro. Noi siamo fiere di essere qui e porteremo in alto con il massimo del nostro impegno il nome dell’Italia”.

Ascolta l'intervista a Giulia Aringhieri
Giulia Aringhieri con il marito Marco Voleri e il figlio Andrea
Giulia Aringhieri con il marito Marco Voleri e il figlio Andrea

 

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24 agosto 2021, 13:30