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Militari circondano il carcere di Guayaquil, dove sono almeno 21 le vittime della rivolta (Marcos Pin Mendez / Afp) Militari circondano il carcere di Guayaquil, dove sono almeno 21 le vittime della rivolta (Marcos Pin Mendez / Afp)

Ecuador, decine di morti nelle rivolte in carcere

Il bilancio è drammatico: sono oltre sessanta le vittime, di cui la metà nel penitenziario di Turi. La Polizia sta intervenendo per riportare la normalità, sorvegliando anche le aree esterne delle strutture interessate. L’intervista al giornalista Alfredo Luis Somoza, esperto di America Latina: “L’obiettivo è il controllo delle carceri da parte di bande criminali”

Andrea De Angelis – Città del Vaticano

Sono almeno 62 le persone detenute morte nelle tre rivolte scoppiate in queste ore nelle maggiori carceri dell'Ecuador. Lo ha reso noto Edmundo Moncayo, direttore del Servizio nazionale di assistenza integrale a persone adulte private della libertà. In una conferenza stampa a Quito, Moncayo ha precisato che nel carcere di Turi sono 33 le vittime, 21 quelle nel penitenziario di Guayaquil ed 8 a Cotopaxi. Il bilancio, ancora provvisorio, potrebbe aumentare con il passare delle ore. Disordini infatti si sono verificati anche nel carcere di Lacatunga, ma non si conosce il numero delle vittime.

L’intervento della Polizia

Fonti della Polizia ecuadoriana hanno ribadito che l'accaduto viene considerato una "azione coordinata" di bande criminali. Le Forze dell’ordine inoltre hanno sottolineato come si stia prontamente gestendo la situazione nelle carceri, con operazioni mirate a riportare la normalità, mentre i militari sorvegliano gli spazi esterni delle strutture interessate dalle sanguinose rivolte.

Le parole del Presidente 

Secondo il portale locale Primicias, il presidente della Repubblica, Lenin Moreno, ha parlato di "una lotta tra le mafie organizzate" e ha raccomandato "un uso progressivo e prudente della forza da parte della polizia per garantire la sicurezza dei detenuti". 

Sovraffollamento e corruzione

"Quello delle carceri in Ecuador è un problema annoso", spiega nell'intervista a Vatican News Alfredo Luis Somoza, esperto dell’area e presidente dell'Istituto Cooperazione Economica Internazionale di Milano. "Il sovraffollamento ed il personale penitenziario sottodimensionato e sottopagato si verifica da tempo,e nelle carceri finisce per entrare sostanzialmente qualunque cosa". 

Ascolta l'intervista ad Alfredo Luis Somoza

"I cartelli, cioè le bande criminali, che in Ecuador sono collegate, ma non strettamente legate al narcotraffico, riescono ad esercitare un certo controllo sulle strutture. Queste rivolte - rileva Somoza - non sono una novità per il Paese. Lo scorso anno provocarono 50 morti, 32 invece le vittime nel 2019. Quindi sono tre anni che si verificano, probabilmente perché nessuna di queste bande riesce a prevalere. Un fenomeno visto negli ultimi anni anche in Brasile, in Venezuela, in Bolivia ed in Guatemala. In quest'ultimo Paese c'è quasi il quadruplo dei detenuti rispetto alla capacità di accoglienza". 

Gli obiettivi delle rivolte

Ma qual è il fine di tali rivolte? "Il controllo di un territorio, perché spesso queste bande criminali hanno i loro capi in prigione. Da quelle carceri - spiega il giornalista - i boss continuano a coordinare i loro affari, con telefoni ed altri mezzi. Controllare il carcere dove si trova il capo di una banda o i suoi affiliati diventa strategico. In Argentina invece la rivolta dello scorso anno, dove non vi fu nessun morto, era legata alle drammatiche condizioni sanitarie dei penitenziari. Le rivolte negli altri Paesi invece sono state legate, alla stessa maniera, alla conquista degli spazi carcerari da parte di una banda criminale".

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24 febbraio 2021, 12:00