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Mozambico, allarme per oltre 500mila sfollati interni

Cresce la preoccupazione delle Nazioni Unite per il numero di civili in fuga nelle regioni settentrionali del Mozambico, mentre gli attacchi condotti da gruppi armati non governativi continuano a infuriare nella provincia di Cabo Delgado. Francesca Fontanini dell'Unhcr in Mozambico: sono persone completamente dipendenti dalla Comunità internazionale

Elvira Ragosta – Città del Vaticano

L’Agenzia Onu per i rifugiati, parla di 530mila persone attualmente sfollate, ma i numeri sono in continuo aumento. Le popolazioni delle zone colpite sono costrette a lasciare velocemente le loro abitazioni, a volte senza la possibilità di portare nulla con sé, nella maggior parte dei casi senza documenti di identità o di stato civile, divenendo così ancor più vulnerabili. La preoccupazione maggiore riguarda le ragazze e le bambine, oggetto di rapimento e violenze da parte dei gruppi armati, e i giovani, che rischiano di essere uccisi o reclutati con la forza. Il 90 per cento degli sfollati ha trovato riparo nelle zone meridionali del distretto di Cabo Delgado, ospitati da amici, parenti o persone di buona volontà. La situazione umanitaria resta difficile da gestire per un così gran numero di sfollati che sta mettendo a dura prova i servizi essenziali delle zone ospitanti. Per questo ieri le Nazioni Unite e i suoi partner hanno chiesto 254 milioni di dollari per l'assistenza d'emergenza.

“Purtroppo la situazione è molto critica. Le persone stanno vivendo in condizioni veramente deplorevoli”. Racconta così a Vatican News da Maputo Francesca Fontanini, responsabile di comunicazione dell’Unhcr per il Mozambico, appena rientrata da Cabo Delgado: “Manca l’accesso ai servizi di base. Ci sono famiglie separate, casi di abusi sessuali e si registra un continuo movimento di persone che si stanno spostando all’interno della provincia di Cabo Delgado, tra i vari distretti”.

Ascolta l’intervista a Francesca Fontanini:

Le necessità degli sfollati e l’azione dell’Unhcr a Cabo Delgado

Fontanini racconta che l’Unhcr in Mozambico sta coordinando la risposta di protezione a Cabo Delgado, per assicurare il rispetto dei diritti degli sfollati, per dare una risposta concreta alle famiglie che necessitano di acqua, cibo, servizi sanitari e per garantire loro la possibilità di cominciare una nuova vita lontano dalle terre e dalle case che hanno dovuto abbandonare. Inoltre, c’è da organizzare anche il sistema scolastico per i bambini sfollati e consentire loro di proseguire gli studi. L’assistenza umanitaria è necessaria anche per quelle comunità locali della provincia che stanno ospitando la maggior parte degli sfollati, trattandosi di piccole realtà che vivevano già in condizioni precarie a causa dei danni causati dal ciclone della primavera del 2019 soprattutto alle infrastrutture. “Ci sono case – aggiunge Fontanini - in cui vivono anche 52 persone, in condizioni difficili e col rischio di creare drammi psicologici soprattutto nei bambini; ci sono molte donne che sono scappate da sole con i loro figli e hanno bisogno di un sostegno maggiore, così come le persone anziane. Per questo l’appello dell’Onu alla raccolta di 250 milioni di dollari per l’assistenza umanitaria urgente è destinato sia agli oltre 500mila sfollati interni, sia alle comunità locali più vulnerabili che li stanno accogliendo. Intanto, il governo del Mozambico ha iniziato un piano di ricollocazione degli sfollati da alcuni siti, soprattutto a Pemba, capoluogo della provincia di Cabo Delgado, dove è si è concentrata una buona parte delle persone fuggite, cercando di identificare delle aree in cui poter ospitare queste famiglie.

I numeri del conflitto

Dal 2017 un gruppo che si fa chiamare Al-Shabaab, come la milizia somala legata ad Al-Qaeda, e che nel 2019 ha promesso fedeltà al sedicente Stato islamico, ha cominciato ad attaccare la zona. Dalla costa, strategica a causa degli impianti a gas, continuano gli attacchi nell'entroterra. Pemba, capoluogo della provincia di Cabo Delgado, a maggioranza musulmana, aveva 200mila abitanti prima della crisi, oggi sono quasi il doppio. Il conflitto ha causato 2.400 morti, più della metà dei quali civili, secondo l'Ong Acled, che elenca anche più di 700 attacchi dall'ottobre 2017. L’accesso ai terreni agricoli è stato bloccato e altre attività economiche sono state ridotte. Per l’Onu ci sono gravi segnali che la crisi potrebbe sconfinare al di fuori del Paese

Una radicalizzazione islamica in atto

Il presidente del Mozambico, Filipe Nyusi, ha dichiarato nei giorni scorsi che il governo era consapevole della radicalizzazione islamica nella provincia di Cabo Delgado già nel 2012, cinque anni prima che i miliziani jihadisti iniziassero i loro attacchi. In un messaggio ai deputati trasmesso dall'emittente televisiva statale, Nyusi, nato nella provincia di Cabo Degado, ha rivelato l'identità dei presunti leader e i dettagli della crescita della loro organizzazione e ha dichiarato che il loro alto comando è composto principalmente da tanzaniani. "Tra i terroristi uccisi in combattimento – ha aggiunto il presidente -  ci sono cittadini di Tanzania, Congo, Somalia, Uganda, Kenya e la maggioranza dei mozambicani".

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19 dicembre 2020, 12:25