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Lavori a Beirut a quattro mesi dall'esplosione al porto Lavori a Beirut a quattro mesi dall'esplosione al porto 

Libano, don Elia: il Paese è alla ricerca di rinnovamento

Distruzione e crisi economica: la situazione in Libano resta molto difficile. La denuncia dell'Onu è confermata da Beirut da don Elia Mouannes, mentre è in corso una nuova conferenza dei donatori. Le necessità sanitarie si uniscono all'esigenza profonda di un “autentico rinnovamento” socio-politico. Poi il racconto dell'impegno della Chiesa ricordando l'importanza dell'invito del Papa a farsi povera tra i poveri

Fausta Speranza – Città del Vaticano

A quattro mesi dall'esplosione nel porto di Beirut, che il 4 agosto scorso ha provocato oltre 220 vittime, 6000 feriti e 300.000 sfollati, la popolazione libanese e i familiari delle vittime continuano a cercare risposte a quanto accaduto e a patire le tragiche conseguenze esasperate da oltre un anno di default finanziario e dalla diffusione del Covid-19. E' il quadro che emerge nella videoconferenza organizzata dal presidente francese Macron  per fare il punto sugli aiuti internazionali. Alla conferenza hanno preso parte oltre all'Unione Europea, anche gli Stati Uniti, il Canada e i Paesi arabi del Golfo.

Le parole di Guterres

"La pandemia in Libano - ha sottolineato Guterres - ha aggravato una situazione economica e finanziaria fragile. La povertà continua ad aumentare e i servizi sanitari e le scuole sono allo stremo. Pochi hanno accesso alla fornitura di acqua ed elettricità. Per molti, il cibo è diventato una sfida quotidiana''. "La frustrazione sociale rimane, ha aggiunto, mentre l'opinione pubblica attende i risultati di un'indagine trasparente, imparziale e credibile sulle cause dell'esplosione".Inoltre, ha proseguito il capo dell'Onu, ''il popolo libanese attende da troppo tempo la formazione di un nuovo governo, che dovrà avere la capacità di attuare le riforme necessarie per guidare il Libano sulla strada della ripresa". 

L'appello Onu sul piano politico

Il 10 agosto, sei giorni dopo le esplosioni a Beirut  – ha ricordato Guterres – il governo libanese guidato da Hassan Diab si è dimesso. Il diplomatico Moustapha Adib, chiamato a formare un nuovo governo, non ha raggiunto un accordo sull'assegnazione dei portafogli ministeriali. Dunque, Saad Hariri, capo del governo libanese dal 2016 al 2019, è stato nuovamente incaricato di formare il governo, ma finora le consultazioni non hanno sortito un risultato. Guterres ha dunque invitato la comunità internazionale a chiedere ''con una sola voce, alla leadership libanese, di mettere da parte interessi politici e formare un governo che risponda alle esigenze del popolo". Infine Guterres ha chiesto ai Paesi donatori di sostenere il programma di riforme, ripresa e ricostruzione messo a punto dalla Banca mondiale, dall'Unione europea e dalle Nazioni Unite. ''Con un approccio di pianificazione urbana sostenibile e una rapida ripresa socio-economica, ha concluso, la rivitalizzazione di Beirut, come cuore pulsante del Libano, può iniziare'', 

L'impegno e la testimonianza della Chiesa

Subito dopo l'esplosione, Papa Francesco ha inviato, tramite il Dicastero vaticano per lo Sviluppo umano integrale, un primo aiuto di 250.000 euro. La Conferenza episcopale italiana ha deciso di destinare al Libano un milione di euro, dai fondi dell'8 per mille. L'ufficio del Regno Unito di Aiuto alla Chiesa che Soffre ha annunciato un pacchetto di aiuti di 5 milioni di euro per la ricostruzione di edifici e chiese della capitale. Sono alcuni esempi di contributi che Don Elia Mouannes, parroco della Parrocchia di San Michele Anahor a Beirut, definisce "preziosi", raccontando nel concreto alcune situazioni di bisogno:

Ascolta l'intervista con don Elia Mouannes

Don Elia cita l'esempio di persone che non riescono a pagare cure necessarie, come un intervento alla testa per una ragazza rimasta ferita il 4 agosto o la rimozione di un tumore  diagnosticato ad un ragazzo. Si tratta di storie e di persone concrete che bussano alla parrochia di don Elia o alla Diocesi, o in generale al patriarcato maronita. Il parroco spiega che, ad ogni livello, anche quello della Caritas locale, si cerca di prestare aiuto, sottolineando però che in molti casi la differenza economica tra il poco che può assicurare il sistema sanitario nazionale e le richieste delle strutture è davvero alto, in particolare se valutato in moneta locale per la popolazione. Spiega che in questo momento poche centinaia di dollari, con la forte svalutazione della lira libanese, che ha perso l'80 per cento del valore che aveva prima del marzo 2019, diventa un cifra proibitiva.

Andare oltre l'aiuto economico

Don Elia sottolinea anche che non si può pensare ai problemi del Libano solo in termini di necessità di soldi. Senz'altro – ribadisce – è necessario l'aiuto che potrà essere confermato dalla videoconferenza internazionale in corso, ma non si può dimenticare che al Libano serve un autentico rinnovamento del sistema. A questo proposito, don Elia racconta della sfiducia della gente che teme fortemente che i soldi che potranno arrivare si possano perdere nei meandri della burocrazia e di percorsi di corruttela e possano non arrivare a rispondere alle necessità più concrete.

L'auspicio e la speranza

Don Elia esprime l'umano auspicio che davvero da questo tempo di estrema difficoltà possa venire la spinta per un cambiamento di sistema in Libano. E poi parla di speranza cristiana, raccontando la personale particolare preghiera per questo Avvento che può portarci la grazia di accogliere il Salvatore. E ricorda che nella sua preghiera e nella preghiera dei suoi confratelli, c'è il richiamo alle parole di Papa Francesco che ha chiesto alla Chiesa libanese di essere povera tra i poveri. Per don Elia – dice – cercare di rispondere alla chiamata di Papa Francesco in questo senso, in questo momento concreto, è motivo di gioia spirituale.

Nella cronaca dal Libano un nuovo scandalo

I media parlano oggi dell'incriminazione di otto militari in pensione per "arricchimento illecito". Tra gli accusati di corruzione c'è l'ex capo dell'esercito Jean Kahwaji, che ha ricoperto l'incarico dal 2008 al 2017, e diversi ex capi dell'intelligence militare. Un procuratore ha avviato un procedimento per il loro presunto "arricchimento illecito" avvenuto "utilizzando le loro posizioni ufficiali per raccogliere vaste ricchezze". E' stata menzionata anche una banca che diversi anni fa avrebbe permesso a Kahwaji e ai membri della sua famiglia di depositare somme fino a 1,2 milioni di dollari sui loro conti senza giustificarne l'origine. Gli imputati saranno interrogati il 10 dicembre.  

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03 dicembre 2020, 14:40