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Naufragio in Senegal. Don Zerai: bisogna garantire vie legali per chi fugge

Almeno 140 persone sono annegate dopo che un'imbarcazione con circa 200 migranti a bordo è affondata al largo delle coste senegalesi. Recuperati i corpi di tre bambini. Altri 50 migranti subsahariani sono morti nelle scorse due settimane su un barcone andato in avaria. Don Zerai ricorda che tragedie simili riguardano tanti giovani e questi drammi mettono a rischio il futuro dei loro Paesi

Gabriella Ceraso e Benedetta Capelli – Città del Vaticano

Scappare dalla miseria, dai conflitti e dalla fame, nonostante la pandemia e gravissimi pericoli. E poi trovare la morte. E’ il tragico destino di tante persone, tra cui curdi, iraniani e iracheni che si imbattono nei viaggi della speranza, affrontando una delle rotte più pericolose al mondo quella che passa nel Canale della Manica e che ha come meta la Gran Bretagna. L’Organizzazione Mondiale delle Migrazioni (Oim) ha reso noto che in seguito al naufragio di una imbarcazione hanno perso la vita 140 persone. La tragedia è avvenuta venerdì scorso  al largo del Senegal. Il barcone avrebbe preso fuoco poche ore dopo la partenza e si è capovolta vicino a Saint-Louis. Tra le vittime ci sono tre bambini. Secondo fonti locali, sarebbero state tratte in salvo dai pescatori almeno 59 persone. Si tratta del più grave naufragio avvenuto quest'anno nella rotta dal Senegal alle Canarie.

Oltre 50 morti per un barcone in avaria

Nel giorno in cui è arrivata la notizia di questa tragedia, le autorità della Mauritania hanno reso noto che almeno cinquanta migranti subsahariani sono morti nelle scorse due settimane. Si trovavano su un barcone andato in avaria mentre cercava di raggiungere le isole Canarie. Le persone a bordo dell'imbarcazione sono morte mentre cercavano disperatamente di raggiungere terra. Quando il barcone è giunto in prossimità delle coste di Nuadibu', sono state tratte in salvo solo 27 persone. Lo scenario è drammatico. Il governo senegalese ha lanciato l'allarme per la ripresa di questi viaggi verso l'Europa lungo l'Atlantico orientale, passando dalle Isole Canarie. Le autorità hanno posto sotto stretta sorveglianza l'altra principale rotta dell'Africa occidentale, attraverso il Sahara tra Niger e Libia, fino alla costa mediterranea.

Una rotta molto pericolosa

“Chiediamo l'unità tra i governi, i partner e la comunità internazionale per smantellare le reti di traffico e contrabbando che sfruttano i giovani disperati", ha sottolineato in un comunicato Bakary Doumbia, capo della missione Oim in Senegal. Dall'inizio di settembre, Oim Senegal monitora le partenze dalla costa. Solo nel mese scorso, 14 imbarcazioni con 663 migranti hanno lasciato il Paese africano per le Isole Canarie. Di queste, il 26% ha subito un incidente o un naufragio. Secondo il governo spagnolo, dall'inizio di quest'anno sono stati registrati 11.006 arrivi nelle Canarie rispetto ai 2.557 nello stesso periodo dell'anno scorso. Con questo naufragio, secondo il Missing migrants project dell'Oim, almeno 414 persone sono morte lungo questa rotta finora nel 2020, rispetto alle 210 vittime dell'intero 2019.

don Zerai: tragedie che rischiano di essere dimenticate

"E' la più grande tragedia capitata in un momento in cui il mondo è distratto dalla pandemia": afferma il sacerdote eritreo don Mussie Zerai, presidente dell’agenzia Habeisha, che ricorda la pericolosità di diverse rotte: quella che parte dal Senegal che va verso le Canarie; quella del canale della Manica tra Francia e Gran Bretagna e poi c'è una rotta quasi sconosciuta che è quella del Mar Rosso con il passaggio da Gibuti e dalla Somalia verso i Paesi del Golfo. "Si tratta di persone che cercano un futuro, una possibilità di vita che non hanno trovato nel loro Paese anche a causa dei cambiamenti climatici - sottolinea don Zerai - e che compiono questi viaggi a bordo di imbarcazioni fatiscenti, incapaci di sostenere il peso delle persone. Il problema è che quando le vie legali per andare via sono sbarrate si ricorre a questo sistema". "Quando ho letto di questa notizia ho pensato alle famiglie che hanno fatto sacrifici per far crescere i loro figli in contesti, come quello del Senagal, che non è ricchissimo. Vederli morire in mezzo all'Oceano è una pena soprattutto per i loro sogni che non si sono realizzati". L'appello di don Zerai, contenuto anche in una lettera alle istituzioni europee, è di affrontare le ragioni che inducono le persone a scappare; l'invito è quello di proteggerli nei Paesi di transito, garantire loro delle condizioni dignitose che li spingano a fermarsi e infine aprire i canali legali per chi ha bisogno di protezione internazionale ma anche per i contratti di lavoro favorendo chi proviene dai Paesi più poveri.

Ascolta l'intervista a don Mussie Zerai

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30 ottobre 2020, 11:50