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Il campo di Moria distrutto dalle fiamme Il campo di Moria distrutto dalle fiamme

Moria, un inferno senza fine e senza speranza

L’incendio che nel settembre scorso ha distrutto il più grande campo profughi d’Europa, sull'isola greca di Lesbo, pur nella tragedia, era sembrata un’occasione per ricostruirne uno nuovo, più dignitoso ed umano. I fatti, però, hanno drammaticamente smentito le speranze. La denuncia di Medici senza frontiere

Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano

In poche ore le fiamme avevano raso al suolo il campo di Moria, il più grande d’Europa, dove, in uno spazio concepito per circa 3mila persone, ve ne vivevano tra le 12 mila e le 13 mila, il 40% delle quali minori. In poche ore, era la notte tra l’8 ed il 9 settembre, il fuoco aveva ridotto in cenere quello che veniva considerato il simbolo del fallimento della gestione della crisi migratoria da parte dell’Unione europea. Un luogo disumano e disumanizzante, teatro di una costante violazione dei diritti basilari di chi, dopo aver subito anni di guerra e violenza, e dopo viaggi rischiosissimi, sperava di aver raggiunto la salvezza in Europa.

Il nuovo Moria, un nuovo inferno

Sulle spoglie di quell’inferno, era fiorita la speranza di poter ricostruire qualcosa di ‘umano’. L’oggi ha cancellato quel sogno. Le testimonianze che arrivano dall’isola di Lesbo parlano di un “copia-incolla, nel peggiore dei modi, del sistema Moria, del sistema contenimento sulle isole greche dei nuovi arrivati dei richiedenti asilo”. A denunciarlo è Marco Sandrone, capo progetto di Medici Senza Frontiere a Moria. Il nuovo campo, racconta, è stato edificato su di “un terreno polveroso, in una zona estremamente ventosa, esposta ad ogni intemperia”. Le persone sono ospitate in tende dell’Unhcr, non esistono docce, ma solo bagni chimici, si è costretti a lavare se stessi ed i propri vestiti in mare, non c’è illuminazione notturna, i tre pasti quotidiani vengono distribuiti una volta al giorno, la maggior parte delle volte già freddi e senza la possibilità di riscaldarli, perché proibito accendere i fuochi.

Ascolta l'intervista con Marco Sandrone

Il richiamo del Papa ad un’accoglienza dignitosa

Pochi giorni dopo l’incendio, era lo scorso 13 settembre, all’Angelus, il Papa aveva lanciato un appello, pensando alle “migliaia di persone senza un rifugio, seppure precario”,  riandando con la sua memoria alla visita del 2016 sull’isola di Lesbo, assieme al patriarca ecumenico Bartolomeo e all’arcivescovo Hieronymus di Atene quando, assieme, avevano lanciato un appello “ad assicurare un’accoglienza umana e dignitosa a donne e uomini migranti, ai profughi, a chi cerca asilo in Europa”. Francesco, quindi, esprimeva la sua “solidarietà e vicinanza a tutte le vittime di queste drammatiche vicende”.

Nell’incendio perduti anche i documenti per l’asilo

“Nelle settimane successive al fuoco – prosegue Sandrone – le persone erano state dimenticate completamente per strada, senza alcun tipo di servizio. Si erano accampate su cartoni, sotto il sole che in quei giorni era spaventosamente ardente. I bambini cotti, disidratati”.  L'unica priorità per il governo in quel periodo, aggiunge l’operatore di Msf, era stata quella di dichiarare lo stato di emergenza, restringendo di fatto l’azione di solidarietà delle ong.   “I nostri pazienti, bambini, donne in gravidanza, adulti con condizioni mentali critiche – continua Sandrone – sono tutti accomunati da quella malattia cronica che è vivere a Moria. Il giorno successivo all'incendio, c'era un minimo di speranza per loro che potessero iniziare una nuova vita e invece! Quello che è stato ricostruito è una nuova Moria, se possibile anche peggiore di quella precedente”. Prima dell’incendio, l’unica ragione per sopravvivere a tutto ciò che il campo rappresentava era costituita dalla speranza per le persone di poter vedere presto conclusa la loro procedura di asilo, ma le fiamme l’hanno distrutta assieme ai documenti.

Covid, i più vulnerabili sono ancora nel campo

Si dovrà ora ricominciare l’iter, sebbene le autorità abbiano promesso di velocizzare il processo. Ma non si capisce il sistema di priorità che utilizzeranno, critica Sandrone. C’è già stato un trasferimento di 700 persone e in queste ore ce ne dovrebbe essere un secondo, il punto è che però, come spesso Msf ha reso noto, il governo greco, a seguito del coronavirus, non è stato capace di evacuare neanche le categorie più vulnerabili, coloro che sono da considerarsi persone a rischio per il covid, come anziani e affetti da malattie croniche che, ancora oggi, sono presenti nel campo.

L’Europa continua nella sua politica di umiliazione

“E' difficile purtroppo fare previsioni su quello che saranno le prossime settimane i prossimi mesi, se questo campo durerà o no – è l’amara conclusione di Sandrone – ad oggi non  c'è la capacità di creare un sistema fognario, un sistema di scolo dell'acqua, fa paura pensare che l'inverno è alle porte, ed è comune opinione, tra i locali che lavorano con noi, che  il luogo dove hanno fatto sorgere questo campo sia forse il peggiore luogo geologico dove installarlo: sul mare, completamente esposto agli eventi atmosferici”. Il rogo di Moria poteva rappresentare un'occasione per riconsiderare la strategia europea in ambito di migrazioni, ciò non è stato, anzi, “le autorità europee, hanno riconfermato la loro strategia ritenuta vincente, ma che sta devastando generazioni di umani, totalmente umiliati al loro primo approccio con l'Europa”.

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06 ottobre 2020, 13:30