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2020.10.08 Charity Nanga a Roma 2020.10.08 Charity Nanga a Roma 

La storia di Charity, fuggita dal Camerun

Charity è fuggita dal Camerun nel 2017 per sfuggire alle rappresaglie scatenatesi dopo le tensioni tra minoranza anglofona e maggioranza francofona nel Paese. Il conflitto che è scaturito dalla discriminazione per ragioni linguistiche ha provocato migliaia di morti e centinaia di migliaia di profughi. Una situazione che ha radici lontane nel tempo e malcelate ragioni economiche.

Stefano Leszczynski - Città del Vaticano

"Mi chiamo Charity Nanga, ho 27 anni e vengo dal Camerun. Sono in Italia dal 2017. In Camerun ci sono ancora la mia mamma e le mie due sorelle più piccole: Faith e Praises. Mio padre invece è dovuto fuggire in un altro paese per salvarsi la vita. Mio fratello maggiore non so più dove sia. Mi fa molto male parlarne perché è scomparso dopo essere stato arrestato mentre partecipava a una manifestazione. Sia mia madre che mio padre erano insegnanti in una scuola pubblica. C’è stato un periodo in cui tutto andava molto bene . La mia famiglia era unita, il mio papà, i bimbi..." (Ascolta la storia integrale di Charity)

Il Camerun, un Paese diviso

La Repubblica del Camerun è uno dei tanti paesi africani che ancora si portano dietro gli effetti nefasti della colonizzazione da parte delle potenze europee. Dopo la prima Guerra mondiale questa ex colonia tedesca finì sotto il controllo di Francia e Regno Unito fino agli Anni 60. La riunificazione del Camerun avvenuta definitivamente nel 1984 risentì della lunga occupazione straniera soprattutto a livello linguistico e amministrativo. Nonostante il paese conti oltre 200 diverse etnie e gruppi linguistici, le lingue ufficiali del Paese sono il francese – parlato dal 78% della popolazione - e l’inglese, che è parlato soprattutto nelle due regioni occidentali al confine con la Nigeria. Alla guida del paese è dal 1982 il presidente Paul Biya, che nelle contestate elezioni del 2018 è stato eletto per l’ottavo mandato consecutivo con più del 71% delle preferenze. Stando ai dati diffusi dall’organizzazione Transparency International sulla lotta alla corruzione il Camerun risulta al 153 posto su un totale di 180 stati monitorati.

Camerun manifestazioni
Camerun manifestazioni

In famiglia, i valori dell’istruzione e dell’impegno politico

"Dopo la laurea all’Università ho cominciato a lavorare come contabile presso un’Ong, nel frattempo ho proseguito i miei studi per ottenere la specializzazione in Economia e Gestione d’Impresa, nel mio paese si chiama Banking and Finance. I miei genitori ci hanno sempre sostenuti e spinti a migliorare la nostra istruzione. A un certo punto la situazione politica in Camerun è degenerata. Mio padre era iscritto a un partito d’opposizione e, dopo l’arresto di mio fratello, anche lui è dovuto fuggire in un altro Paese. Ci diceva sempre che il suo impegno politico era per cambiare le cose in meglio, per migliorare anche il nostro futuro."

Ascolta la storia della giovinezza di Charity

La discriminazione linguistica

"In Camerun ci sono 8 regioni francofone e due prevalentemente anglofone. Per noi che vivevamo nella parte anglofona del paese era come essere stranieri in casa nostra. E’ per questo che sono cominciate le manifestazioni di protesta, per avere gli stessi diritti di tutti gli altri. I disordini sono iniziati nel 2016 quando il governo ha deciso di inviare nelle due regioni anglofone personale amministrativo, insegnanti e magistrati, provenienti dalle regioni francofone. Il problema è che il bilinguismo del Camerun è solo sulla carta; è raro che qualcuno parli bene entrambe le lingue, inglese e francese."

Il conflitto linguistico

Quella che la Comunità internazionale si ostina a definire una crisi interna al Camerun dovuta alla rivalità tra i gruppi anglofono e francofono è in realtà più simile ad una vera e propria guerra. Ad oggi si contano oltre duemila morti, più di 500mila sfollati e 40mila rifugiati nella vicina Nigeria. Il conflitto tra minoranza anglofona e autorità statali è esploso in seguito alle repressione militare nei confronti di diverse manifestazioni indette dal Consorzio della Società Civile Anglofona Camerunense nel 2016. A seguito dall’invio nelle regioni anglofone occidentali di giudici ed insegnanti francofoni, avvocati ed insegnanti anglofoni hanno gremito le strade di Bemenda – capoluogo della regione del Nord Ovest – per protestare contro una misura che ritenevano discriminatoria e marginalizzante. La repressione non ha fatto altro che inasprire il conflitto spingendo alla formazione di gruppi di guerriglia anglofona che nel 2017 hanno rivendicato la secessione delle proprie regioni, autoproclamando l’indipendenza dello Stato dell’Ambazonia.

Camerun manifestazioni
Camerun manifestazioni

La repressione delle proteste

"E’ stato durante le prime manifestazioni del 2016 che mio fratello è scomparso dopo essere stato arrestato. La repressione è stata violenta, la polizia ha iniziato a sparare ad altezza d’uomo e molti giovani sono rimasti uccisi. Molte donne sono state violentate dopo l’arresto. Anche quando le proteste hanno raggiunto Bemenda, la capitale dello Stato del Nord Ovest, anglofono, il presidente Paul Bya non ha fatto nulla per riportare la calma, anzi ha mandato altra polizia ma non per proteggerci. In Camerun la polizia non è come qui in Italia, non è tua amica. Quando ho saputo dell’arresto di mio fratello sono andata alla prigione per vedere se potevo fare qualcosa per lui. Ma sono stata arrestata anche io. Dopo un paio di giorni che mi trovavo presso la stazione di polizia la rivolta è esplosa ancora più violenta, ci sono stati scontri nelle strade e la popolazione ha assaltato la caserma dove ero prigioniera e sono riuscita a fuggire. Ho chiesto aiuto a mio zio, che è un religioso e lui mi ha nascosto per qualche tempo prima di organizzare la mia fuga dal Paese."

Ascolta la storia delle discriminazioni

Lo stato d’emergenza

La repressione delle proteste nelle due regioni anglofone del Camerun è durissima. Il presidente Paul Bya decreta lo stato d’emergenza e schiera contro i manifestanti il famigerato Battaglione d’Intervento Rapido. Un corpo d’élite delle forze armate creato per combattere gli estremisti di Boko Haram nel nord del paese. Arresti arbitrari e violenze di ogni genere vengono perpetrate nella più completa impunità. Difficilmente chi entra nei seminterrati del SED – i Servizi per la sicurezza dello Stato a Youndé – ne esce illeso; il più delle volte anzi non ne esce affatto. I manifestanti anglofoni non protestano soltanto contro quella che viene ritenuta una discriminazione da parte del governo a maggioranza francofona, ma rivendicano un maggiore grado di autonomia regionale e il ritorno alla forma di stato federale del 1961. Al centro della disputa però ci sono anche forti interessi economici legati alla distribuzione dei proventi dell’attività estrattiva petrolifera concentrata proprio nella regione anglofona meridionale e che costituisce il 40% del PIL camerunense. Secondo i dati dell’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite i profughi interni al Camerun alla fine del 2018 erano 437mila. Le milizie secessioniste della autoproclamato stato anglofono dell’Ambazonia rappresentano un pericolo pari a quello dell’esercito regolare. Migliaia di filmati vengono immessi in rete per documentare le atrocità commesse. La propaganda di guerra ancora una volta sfrutta i più indifesi.

Migrante in un centro d'accoglienza
Migrante in un centro d'accoglienza

La fuga e il viaggio

"Mio zio era riuscito a procurarmi un visto per l’Italia. Io non avevo mai immaginato che sarei venuta qui. Arrivare all’aeroporto però non è stato facile. Le strade erano piene di posti di blocco e per aggirarli bisognava muoversi di notte attraverso la foresta. Il pericolo non erano solo i poliziotti, ma anche i tanti gruppi armati che si erano formati in quei mesi. Erano spietati. Anche dopo essere arrivata qui ho saputo di diversi miei amici che sono stati uccisi. A Yaoundé tutti avevano paura anche solo di parlare con un tassista, ovunque era pieno di spie e bastava una parola fuori posto per essere arrestati e sparire.  Sono molto preoccupata per mia mamma e le mie sorelle che sono rimaste in Camerun. A volte penso che sarebbe stato meglio rimanere con la mia famiglia, ma forse oggi non sarei più viva. Quindi, nonostante la paura ho lasciato tutto, gli amici, il lavoro. E’ stata una decisione molto difficile, ma l’ho presa."

Ascolta la storia della fuga

Il tradimento e l’abbandono

Per fare il viaggio in aereo fino in Italia mio zio mi aveva affidata a una persona di sua fiducia. Lui avrebbe dovuto accompagnarmi e proteggermi, invece ha tradito la mia fiducia e quella di mio zio. Quando siamo arrivati a Roma, alla stazione Termini – all’epoca non avevo idea che si chiamasse così, non sapevo neppure dove eravamo - questa persona si è fatta consegnare tutti i documenti che avevo dicendo che doveva fare i biglietti per il treno. E poi è sparito. Io non sapevo nulla di come funzionano le cose e poi nella nostra cultura se un persona è più anziana di te non si discute, si ubbidisce e basta. Adesso lo so che posso prendere i biglietti senza documenti, ma quando sono arrivata ero giovane e non avevo mai lasciato il mio Paese. Sono rimasta un paio di giorni alla stazione, non sapevo neppure come chiamare la mia famiglia, la mia mamma. Non avevo niente è i soldi in tasca non valevano neanche 10 euro, infatti non me li hanno voluti cambiare.

Un muro d’indifferenza

Ero senza documenti, senza soldi, non conoscevo la lingua e quando provavo a chiedere aiuto le persone non mi capivano. Cercavo di spiegare: prestami il tuo telefono, mi puoi aiutare? Ma nessuno voleva ascoltare. Per fortuna un giorno ho incontrato per caso una signora del Camerun, sposata con un nigeriano, che si è offerta di aiutarmi. Mi ha portata a casa sua dove sono rimasta per due settimane. Intanto, mi ha fatto vedere dov’era l’ufficio immigrazione e cosa dovevo fare. All’Ufficio immigrazione è stato abbastanza facile farsi registrare e poi mi hanno mandato in un centro d’accoglienza vicino a Marino. Dopo due anni sono stata riconosciuta rifugiata e mi hanno dato i documenti. Era il 2019.

Ascolta la storia dell'arrivo in Italia

Il percorso d’integrazione

Mentre aspettavo l’esito della mia richiesta di protezione internazionale, ho studiato l’italiano e sono riuscita a prendere la terza media, ma non sono riuscita ancora a farmi riconoscere la laurea. Ho portato con me i miei diplomi universitari, ma non basta. Vogliono la certificazione di tutti gli esami sostenuti. E’ molto complicato però ed è impossibile per me procurarmeli, neppure con l’aiuto di mia madre. Però a me piace studiare e se dovrò iniziare tutto da capo, io sono pronta! Intanto, qua in Italia ho fatto la formazione da assistente familiare.

La fortuna nella disgrazia

Mentre ero nel centro d’accoglienza ho ascoltato tante storie terribili dalle altre donne che erano arrivate in Italia con la barca. Io ignoravo del tutto che una cosa del genere fosse possibile. Ero arrivata in aereo, con un visto d’ingresso, e non ho mai pensato che ci fosse altro modo per arrivare. Ho conosciuto più di 70 persone che sono arrivate così, quando penso che la mia storia è difficile…, al confronto la loro lo è stata molto di più.

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10 ottobre 2020, 09:00