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Willy Monteiro Duarte è stato ucciso la notte tra sabato e domenica Willy Monteiro Duarte è stato ucciso la notte tra sabato e domenica 

Morte di Willy, monsignor Apicella: siamo tutti chiamati in causa

Il vescovo di Velletri-Segni condanna "il clima di violenza, di culto della forza fisica, di suprematismo, di disprezzo della vita" all'origine del morte del 21 enne, picchiato a sangue a Colleferro lo scorso fine settimana

Michele Raviart - Città del Vaticano

Giornata di interrogatori nel carcere romano di Rebibbia per la convalida del fermo dei quattro ragazzi accusati di aver ucciso a calci e pugni il 21 enne Willy Monteiro Duarte, nel corso di una rissa fuori da un locale a Colleferro, vicino Roma, lo scorso fine settimana.  I quattro – che hanno dai 22 ai 25 anni e precedenti penali – sono accusati di omicidio preterintenzionale in concorso e hanno negato ogni responsabilità. Ancora non sono chiari i dettagli dell’accaduto e anche se gli investigatori escludono un movente razzista – la vittima è un ragazzo italiano di origine capoverdiane -  la tragedia porta all’attenzione un contesto di violenza, incoscienza e disprezzo della vita, come denuncia a Vatican News, monsignor Vincenzo Apicella, vescovo di Velletri-Segni, diocesi in cui si trova Colleferro.

Ascolta l'intervista integrale a monsignor Vincenzo Apicella

R. - Qui non siamo davanti a un fatto venuto dal nulla. Non è qualcosa che è emerso come un fungo dalla sera alla mattina, ma è il prodotto di una situazione permanente, sottostante, di cui noi non ci rendiamo conto o non vogliamo renderci conto. C’è questo clima di violenza, di culto della forza fisica, di suprematismo, di disprezzo della vita. È un qualcosa di endemico, un qualcosa che serpeggia, si moltiplica e contagia come il virus del Covid e se non troviamo non dico un vaccino, ma almeno qualche antidoto, rischiamo veramente che quest’altra pandemia ci travolga tutti. Siamo seduti su una polveriera che può scoppiare in qualunque momento e in qualunque posto in cui ci troviamo. Il fatto che l’omicidio di Willy sia avvenuto sotto casa nostra, in un posto in cui mai avremmo pensato si sarebbe verificata una cosa del genere, per me è un segno da prendere molto seriamente. Questo coinvolge, chiama in causa e rende corresponsabili tutti quanti, a cominciare dalle famiglie, naturalmente, passando per la scuola e finendo con le comunità parrocchiali, con noi preti che abbiamo, secondo me, due compiti fondamentali. Il primo è quello dell’educazione, lo sappiamo, alla vita buona del Vangelo. Ma prima dell’educazione c'è il compito della conoscenza del territorio, dei problemi che ci sono e di quello che si muove sotto i nostri piedi, di cui spesso noi siamo completamente all’oscuro e di cui non sappiamo completamente niente.

Sono tanti i dettagli di questa tragedia che corrispondono a quello che lei dice. Penso innanzitutto al fatto che queste persone, che ora sono in arresto, erano già pregiudicate. Com'è possibile che non si riesca a prevenire il comportamento di soggetti che già sono noti?

R. Prevenire significa due cose. Innanzitutto isolare e far prendere coscienza a queste persone che non sono assolutamente né temuti, né rispettati, né accolti dalla comunità. Poi prevenire significa anche usare tutti quei mezzi e quei sistemi che l'ordinamento civile e giuridico ci consente per tenere sotto controllo certi fenomeni.

C’è un problema di razzismo in questa zona?

R. - Non credo che ci sia un razzismo vero e proprio. C’è tanta gente che è normalmente integrata e inserita. Ma c’è una cultura comunque strisciante, fomentata da chi ha altre responsabilità di ben altro livello, di esclusione, di razzismo, magari mascherata da sicurezza, che fa i suoi danni ed è presente nella fascia giovanile, soprattutto, che è abbagliata ancora da questo mito della cosiddetta “bella violenza”, come si diceva tanti anni fa

A tal proposito colpisce anche la brutalità di questo omicidio. Si parla di 20 minuti di violenza. Come spiega questo disprezzo per la vita?

R. - Il fatto che sia un omicidio preterintenzionale, non è un attenuante, ma casomai è un'aggravante, perché vuol dire che tu non ti rendi conto di quello che stai facendo. Non sei cosciente e consapevole delle conseguenze immediate che i tuoi gesti possono avere e quindi sei un elemento radicalmente pericoloso per te e per gli altri. Denota una completa incapacità di autocoscienza, di autocontrollo, di autoconsapevolezza di quello che uno sta facendo, che è il minimo che si possa pretendere da una persona che si definisce umana.

Lei ha scritto un messaggio che verrà letto in tutte le parrocchie della sua diocesi. Che cosa chiede ai fedeli e qual è il suo pensiero per le famiglie coinvolte?

R.- Io chiedo innanzitutto che prendiamo atto della nostra corresponsabilità, tutti quanti, ognuno al proprio livello e secondo le proprie competenze. Poi penso alla famiglia della vittima, che naturalmente è devastata da una cosa del genere per cui l’unica consolazione, secondo me, viene dalla fede in Gesù Cristo, che è morto allo stesso modo di Willy. Non ci dimentichiamo che noi siamo i discepoli di un crocefisso, il cui titolo maggiore di gloria è la croce e il titolo di gloria di Willy è proprio il modo in cui è morto. Per quelli che invece sono dall’altra parte invoco invece uno “spirito di Adamo”. Mi sento padre e responsabile di tutte e due: della vittima e padre anche degli assassini che sono, dobbiamo ricordarcelo sempre, anche loro fratelli nostri.

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08 settembre 2020, 16:20