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Beirut - volontari tra le macerie "La città tornerà come prima" Beirut - volontari tra le macerie "La città tornerà come prima" 

Beirut: la ricostruzione in mano ai volontari, mentre la protesta non si placa

Aumentano nella capitale libanese, distrutta dalle esplosioni del 4 agosto, i casi di coronavirus. Una crisi sanitaria che si aggiunge alle enormi difficoltà sociali e politiche. Nella popolazione ancora tanta rabbia e voglia di scendere in piazza. Intanto lavorano in silenzio e senza fermarsi i volontari e i giovani e prosegue il ponte aereo internazionale con aiuti umanitari. Al lavoro anche la Fondazione Avsi, con noi Marina Molino Lova

Luca Collodi - Città del Vaticano

Un volo del ponte aereo umanitario dell'Unione Europea è atterrato a Beirut con oltre 17 tonnellate di medicinali e attrezzature mediche. I materiali di emergenza garantiranno l'assistenza sanitaria dopo le esplosioni del 4 agosto, che hanno aggiunto pressione sul sistema sanitario libanese già saturo a causa della pandemia da coronavirus. Per sostenere il Paese anche il Ministero della Difesa italiano è pronto a inviare un dispositivo interforze e un ospedale da campo.

 

Il Parlamento libanese intanto, ha approvato lo stato d'emergenza per due settimane a Beirut, scelta che ha riacceso la rabbia della popolazione. Il provvedimento, infatti, conferira' ai militari poteri eccezionali per contenere le proteste. L'esercito puo' disperdere le assemblee pubbliche e vietare assembramenti ritenuti una minaccia per la sicurezza nazionale. Puo' inoltre fare irruzione nelle abitazioni e arrestare chiunque compia attivita' considerate una minaccia alla sicurezza. Questo mentre sui social media circolano diversi inviti rivolti alla popolazione per riunirsi nei pressi del Parlamento e impedire ai deputati di riunirsi. Per Walid Jumblatt, storico esponente della minoranza drusa e leader del Partito Socialista Progressista libanese, "il Paese potrà cambiare se chi protesta entra nel sitema. Chi scende in piazza deve farsi partito e lavorare per influenzare l'elaborazione di una nuova legge elettorale".   

“Al momento molti volontari e cittadini libanesi aiutano a pulire le strade e le case. Inizia a girare anche la macchina degli aiuti. C’è tanto da fare per la ricostruzione e i bisogni sono veramente enormi" e questo, in particolare, negli ospedali. Così racconta a Radio Vaticana Italia, Marina Molino Lova, responsabile della Fondazione Avsi in Libano: almeno 4 ospedali a Beirut non saranno più operativi per almeno un anno e mezzo. Poi, le case delle famiglie colpite dall’esplosione e il fronte alimentare, con acqua e cibo scarseggiano. Come Avsi Libano ci siamo concentrati sulla ricostruzione di porte e finestre degli appartamenti, più o meno abitabili, delle famiglie più povere, che non possono permettersi, in questo contesto di crisi finanziaria molto pesante, di ricomprare gli infissi”.

Ascolta l'intervista a Marina Molino Lova

 

Che ruolo sta avendo il volontariato nella ricostruzione ?

R. - E’ un ruolo principale. E’ stata la risposta più veloce arrivata con molto entusiasmo e generosità, con il cuore, da parte dei libanesi, da tutte le regioni del Libano. Anche perché la rabbia della gente è così grande da arrivare persino a rifiutare l'aiuto del governo. I volontari stanno anche chiedendo che l'aiuto arrivi direttamente a loro, attraverso le associazioni.

Molino, c'è una realtà di società civile attiva in Libano ?

R. - Sì. Ci sono tante associazioni, anche direi strutturate, che sono presenti sul terreno. Associazioni di volontariato, gli scout. Ma esiste, anche se non ben organizzato e strutturato, un tessuto di giovani sul territorio in contatto tra di loro. Mancano tuttavia politiche che possano strutturare e organizzare questa realtà.

I giovani che ruolo hanno nelle manifestazioni di piazza ?

R. - I giovani sono presenti, sono loro soprattutto che marciano e protestano. Anche perché, da mesi ormai, sono i più colpiti dalla disoccupazione che sfiora il 40%.  Nell’ultimo anno tantissimi hanno perso il lavoro e la speranza di trovarne uno.  Quindi chi non è emigrato o chi non prevede di farlo a breve, sta cercando di farsi sentire. Non è però, quella che vediamo, una protesta univoca, strutturata. Il percorso di coscienza civica, in questo Paese, così confessionale e diviso, è ancora lungo.

Le dimissioni del governo libanese possono placare la protesta della piazza?

R. - Sicuramente possono placare la protesta sul momento, ma la rabbia resta viva. Il problema è cosa succederà dopo per ricostruire il Paese e chi avrà il compito di farlo. Le dimissioni del governo sono state un segnale quasi dovuto, perché la rabbia era enorme. Ci sono responsabilità di negligenza, di corruzione, che però non sono dovute solo a questo governo, ma anche a tutti quelli degli anni passati. Come ripartire, però, credo che non sia chiaro né per la piazza né per le Istituzioni.

La gente del Libano sembra pessimista sul futuro del Paese…

R. - Purtroppo è così. Direi che questo colpo inferto al Paese è stato veramente terribile. Ha spazzato via ogni speranza. Lo vediamo nelle famiglie che incontriamo e visitiamo: c’è disperazione. Forse non c’è nemmeno la voglia di rimettersi in gioco per rilanciare il Paese, la loro vita quotidiana. La gente non arriva a fine mese, non ha il cibo. Un evento moralmente catastrofico per le persone, che si aggiunge alla crisi finanziaria, alla svalutazione del potere di acquisto della lira libanese, ai soldi bloccati nelle banche, alla disoccupazione, aumentando la voglia di emigrare, processo che in questi giorni ha subito un’accelerazione con la richiesta di visti, in particolare, verso il Canada, che offre accoglienza e lavoro, e l’Australia, Paesi che da anni ospitano la diaspora libanese.   

Avsi cosa fa in Libano?

R. - Abbiamo attivato un gruppo di lavoro che sta intervenendo a Beirut, tenendo ovviamente in piedi anche tutti gli altri progetti che avevamo faticosamente avviato in questi mesi per rispondere alle emergenze del coronavirus, con i programmi scolastici ed educativi fatti a distanza. Per i giovani, inoltre, abbiamo attivato una cellula di assistenti sociali che stanno andando a visitare i quartieri più poveri della periferia della capitale, dove si contano i danni maggiori dell’esplosione, come detto, per ricostruire porte e finestre. Ciò, per permettere alle persone che non sono andate via di rimettere in sesto la casa e di poterci stare in sicurezza. Compresi i piccoli negozietti, magazzini, garage che fanno parte del tessuto economico di questi quartieri oggi distrutti.

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14 agosto 2020, 12:49