Il monologo che chiude la Festa del Teatro di San Miniato Il monologo che chiude la Festa del Teatro di San Miniato 

Gran finale a San Miniato con "Il muro/The block" di Matteo Corradini

Si conclude il 27 luglio la Festa del Teatro, tradizionale rassegna che si tiene ogni estate a San Miniato. L'ultimo spettacolo in cartellone, in prima assoluta, propone un'ampia riflessione sulla presenza di muri, dentro e fuori di noi, e suggerisce allo spettatore come fare per riconoscerli e abbatterli e conquistare così la libertà. Un percorso personale e, al tempo stesso, collettivo

Adriana Masotti - Città del Vaticano

Prima assoluta per "Il muro/ The block" nella suggestiva Piazza del Duomo a San Miniato, in Toscana, domani alle 21.30 nell'ambito della Festa del Teatro 2020. Uno spettacolo pensato per 6 ragazze in scena e musica dal vivo, ma che le misure precauzionali dettate dalla pandemia ne hanno fatto un monologo con la giovane attrice genovese Marta Prunotto come unica protagonista. Agli spettatori promette un momento di grande intensità e prima della rappresentazione se ne comincerà a parlare, insieme all'autore, nel quinto incontro delle "Conversazioni al tramonto" nello Chalet Giardini Bucalossi, stasera alle 18.30, un'altra delle tante iniziative che arricchiscono il Festival promosso dalla locale Fondazione Istituto Dramma Popolare. 

Corradini: il muro nel volley metafora di tanti altri muri

"Il muro" non è solo la storia di una squadra femminile di volley che si prepara ad una partita, è un'occasione per interrogarsi su di sè, sul mondo e sulla vita. La scena è uno spogliatoio - racconta ai nostri microfoni l'autore Matteo Corradini, scrittore e ebraista - , l'ultima ragazza si sta preparando per raggiungere le sue compagne ed entrare in campo. Seguiremo i suoi pensieri mentre infila le ginocchiere, si fascia le dita, mentre dialoga interiormente, citando le parole del libro del Qoèlet. Fare muro è un'azione fondamentale del volley, ma qui per la protagonista diventerà molto di più: sarà ragionare sui muri che ha dentro di sè, su che cosa non le permette di essere libera. E pensare ai muri vuol dire provare a non temerli, a superarli o ad abbatterli come si fa durante la partita di pallavolo.

Ascolta l'intervista integrale a Matteo Corradini

Quando si parla di muri generalmente si va alla cronaca, ai tanti muri alzati per difendere i confini, mi pare che in questo caso però la riflessione sia più interiore, perchè i muri si riferiscono alla libertà personale, alla realizzazione di sé e mi pare sia indicativo che a fare questa riflessione sia una donna. Perché le donne sono ancora quelle che faticano di più in questo senso...

R. - I muri che fanno più male sono proprio quelli che non sono fatti di cemento, ma fanno male anche quelli. Però un muro di cemento da solo non non regge, ha bisogno di tanti muri dentro le persone per reggere. E infatti, dove nel mondo ci sono questi muri, quelli di cemento reggono perché tutto sommato alle persone stanno bene così, oppure stanno bene a certe persone. Sì, la nostra riflessione voleva essere più intima, più personale. Naturalmente ogni riflessione personale, si traduce poi anche in qualcosa di collettivo e naturalmente la giocatrice sa bene che quello che lei pensa può diventare patrimonio di tutti

La giocatrice ad un certo punto cita anche le parole del libro del Qoèlet, uno dei libri della Bibbia. Ci dice qualcuna di queste parole?

R. - La ragazza ha un dialogo con la sua coscienza, parla con una voce che si sente ma non si vede in scena, e questa voce recita i versetti del Qoèlet, da quelli più famosi: "C'è un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli, un tempo per demolire e un tempo per costruire..." a quelli forse meno noti. Il Qoèlet è il libro della Bibbia che mi è sempre piaciuto molto perché è un libro molto libero e molto moderno. E' un libro che ancora oggi riserva grandi sorprese, per esempio, quando dice: "Non chiedetevi se i tempi antichi erano migliori perché queste sono domande stupide", ecco, scritto più di duemila anni fa, questa cosa fa abbastanza impressione.

 

Quella a San Miniato, sarà la prima assoluta dello spettacolo. In conclusione, che cosa vuol dire "Il muro/The bloch" allo spettatore e perché lei ha pensato a questo tema?

R. - Ho pensato a questo tema perché ognuno di noi ha qualche muro da buttare giù e vedere come un'altra persona riusce ad abbattere il proprio, significa forse anche imparare in qualche modo un metodo, un modo per buttare giù anche i nostri, quindi conoscere i muri degli altri, sapere che questi muri esistono, credo sia il primo passo per poi superarli, per scavalcarli, e a volte per demolirli del tutto.

Ma quali sono i muri che generalmente ci troviamo ad affrontare?

R. - Ci sono quelli della cronaca, quelli sotto gli occhi di tutti, i muri tra persone che arrivano da posti diversi, muri tra culture politiche diverse, tra identità diverse. A volte, consapevolmente o inconsapevolmente, contribuiamo alla loro presenza. Oggi, nel 2020, in tanti campi si fa molta fatica a dialogare, si fa molta fatica a ragionare insieme, a trovare compromessi eppure la nostra vita si basa su questo. Siamo purtroppo disabituati a questo tipo di dialogo perché ognuno di noi, probabilmente, crede di essere migliore degli altri, crede di fare ragionamenti migliori, crede che la propria identità sia quella giusta e quindi ha eretto un muro intorno a sé, un muro che comprende quelli che, secondo lui, gli sono uguali e con i quali è più facile andare d'accordo. Ecco, buttare giù i muri significa questo sforzo, non significa perdere la propria identità, significa ragionare in un mondo dove anche altre identità hanno qualcosa da dirti.

Durante la pandemia e adesso nel post pandemia, almeno in Italia, si sono dette tante cose: siamo stati distanti, ma ora ci sentiamo più vicini; l'isolamento ci ha aiutato a capire quanto siamo importanti gli uni per gli altri, però poi scopriamo che nella gente è cresciuta la diffidenza...  Ecco, questo discorso dei muri, come si pone in questo contesto? E' più facile o ancora più complesso?

R. - Io non credo che questa pandemia, in generale, ci abbia cambiati: chi voleva erigere muri, in fondo li ha mantenuti, anche ora non ha cambiato idea, anzi per certi versi ha aggiunto, forse, qualche mattone. Chi invece voleva essere disponibile e generoso è cresciuto in questa sua generosità. Io penso che dopo questa pandemia, sarà sempre più necessario trovare un giusto livello di "mitezza". È una parola che abbiamo un po' dimenticato, una parola che sicuramente i social network e il modo di fare informazione oggi non aiutano a mantenere, però io credo che sia una parola chiave per una convivenza pacifica e per un futuro costruito insieme.

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26 luglio 2020, 09:00