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L'apertura dei collloqui tra Azerbaigian e Armenia nel 2017 a Ginevra L'apertura dei collloqui tra Azerbaigian e Armenia nel 2017 a Ginevra 

Scontri al confine tra gli eserciti di Armenia e Azerbaigian: almeno 16 morti

Nuove tensioni tra i due Paesi, storicamente divisi sulla regione contesa del Nagorno-Karabach. Tra le vittime anche un civile. Si cerca di evitare un’escalation dalle conseguenze imprevedibili

Michele Raviart – Città del Vaticano

Armenia e Azerbaigian tornano a scontrarsi, questa volta ai loro confini settentrionali, in quello che è il momento di tensione più alto tra i due Paesi almeno dal 2016. Dalla scorsa domenica, infatti, sono morte almeno 16 persone, tra militari e civili.

Diverse le vittime

Per le autorità di Baku nella giornata di martedì – quella finora con il più alto numero di vittime - sette militari azeri, tra cui un generale e un colonnello, e un civile sono rimasti uccisi. L’Armenia, da parte sua, ha invece accusato l’esercito azero di aver ucciso quattro militari durante un attacco di droni nel villaggio di Berd, che avrebbe avuto come obiettivo la popolazione civile.

Un conflitto senza pace

Storico motivo di tensione tra i due Paesi è la regione del Nagorno-Karabakh, abitata da una popolazione principalmente armena. Sulla base di una legge dell'Unione Sovietica emanata poco prima della sua dissoluzione nel 1991, la regione si è autoproclamata indipendente. Una guerra che è costata almeno 30 mila morti ed è terminata nel 1994 con un cessate il fuoco, senza un vero trattato di pace.

Le ragioni dei due Paesi

“Da questo punto di vista, come accade quasi sempre, entrambe le parti hanno delle ragioni. Gli armeni hanno ragioni che vengono soprattutto nella sfera storico e demografica, gli azeri soprattutto in quella giuridica”, spiega a Vatican News Aldo Ferrari, direttore delle ricerche dell’Ispi su Russia, Caucaso e Asia centrale e docente all’università Ca’ Foscari di Venezia. “Si confrontano dal punto di vista giuridico due principi. Uno è quello dell’integrità territoriale degli Stati, che dà ragione all’Azerbaigian, l’altra è quella del diritto dei popoli all’autodeterminazione che dà ragione agli armeni".

Ascolta l'intervista integrale a Aldo Ferrari

Proteste a Baku

Intanto, mentre nella notte migliaia di persone sono scese in piazza a Baku per chiedere una mobilitazione generale contro l’Armenia, si cerca di capire la causa di questo nuovo scontro. “Non credo ci sia una ragione scatenante - spiega ancora Ferrari - c'è chi dice che l’Azerbaigian alimenta queste tensioni perché ha delle difficoltà interne, soprattutto nella sfera economica perché il prezzo del petrolio è in ribasso, quindi il Paese che è produttore ne risente. D'altra parte, anche l’Armenia ha una condizione economica resa particolarmente grave dalla pandemia di Covid-19, che ha ridotto ulteriormente le risorse economiche. Io però non userei questa chiave di lettura”, afferma, “ma vedrei piuttosto questi scontri come l'ennesima, tragica riproposizione di scaramucce di frontiera, dovute alle reciproche provocazioni, in assenza di una regolazione stabile e definitiva del conflitto”.

Le possibili ripercussioni internazionali

Preoccupazione per la situazione è stata manifestata dal Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, mentre Stati Uniti e Russia hanno condannato le violenze e chiesto un ritiro delle truppe al fine di evitare un’escalation dal risultato imprevedibile. L’Armenia è infatti un membro dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), alleanza militare guidata dalla Russia. L’Azerbaigian, invece, pur avendo negli anni migliorato sensibilmente le sue relazioni con Mosca, è un Paese a maggioranza musulmana, afferma Ferrari, vicino alla Turchia, a sua volta membro della Nato. “È evidente”, conclude Ferrari, “che i rischi di un’espansione del conflitto sarebbero altissimi, perfino terribili se vediamo appunto la difficoltà di rapporti che c’è attualmente tra Russia, occidente e Nato. Un quadro geopolitico e militare estremamente grave e preoccupante, ma proprio perché i due attori sono inseriti in un sistema di alleanze tale da scoraggiare ulteriori allargamenti del conflitto, questo permette di essere largamente ottimisti”.

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15 luglio 2020, 15:42