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Festa della Repubblica, Giovagnoli: il Paese unito nella coscienza collettiva

2 giugno in Italia, il capo dello Stato Sergio Mattarella si appella alla coesione nazionale e poi, in visita a Codogno segnata dalla pandemia, loda il coraggio del popolo e del Paese. Ai nostri microfoni lo storico Agostino Giovagnoli si sofferma sulle tendenze nazionalistiche che in tutta Europa sono "antagoniste al concetto di Repubblica" e sul ruolo essenziale che il mondo cattolico svolge come "corpo intermedio"

Alessandro Guarasci - Città del Vaticano

La situazione di crisi che il Paese sta affrontando esige unità, responsabilità e coesione, perché sta richiedendo a tutti un sforzo straordinario. E' il senso del messaggio del presidente Sergio Mattarella ai prefetti in occasione della Festa della Repubblica.  Il capo della Stato oggi è in visita a Codogno, luogo simbolo della tragedia del Coronavirus. "Qui - ha detto Mattarella - è presente l'Italia della solidarietà, della civiltà, del coraggio". Lo storico Agostino Giovagnoli ricorda che “ il 2 giugno del  1946 è la data in cui si è svolto il referendum che ha scelto la forma istituzionale della Repubblica,  superando appunto quella monarchica. Però oggi la Festa della Repubblica è qualcosa di più della memoria di quel referendum”.

Ascolta l'intervista ad Agostino Giovagnoli

R. - E’ molto importante il modo in cui la Costituzione, la parola Repubblica stanno a indicare l'insieme dello Stato e dei cittadini. Cioè la Repubblica siamo tutti, sono le istituzioni ma insieme al popolo italiano. Il primo articolo della Costituzione dice che L'Italia è una Repubblica democratica. La Repubblica vuol dire l'Italia. E questo indica la necessità che il Paese, nelle sue articolazioni, nelle sue differenze che sono espressioni di ricchezza, sia però fondamentalmente unito in una coscienza collettiva del destino comune, della realtà che ci accomuna tutti.

 

In tutta Europa ci sono tende nazionalistiche. Possono essere in qualche modo ricollegate al concetto di Repubblica?

R. - Io credo che siano del tutto antagonistiche rispetto al concetto di Repubblica. Il nazionalismo è stato sperimentato in Italia, in una stagione infelice ,quella dopo la prima Guerra Mondiale, che è stata quella del Fascismo, a cui purtroppo anche la monarchia si è legata strettamente. Nel momento in cui si è scelto per la democrazia e per la Repubblica, gli italiani hanno rotto con il nazionalismo, inteso come un atteggiamento conflittuale e aggressivo nei confronti di altri popoli. E questo è rispecchiato dalla Costituzione. Come il populismo tende a dividere i popoli al loro interno, così il nazionalismo tende a dividere i popoli fra di loro. Ecco, sono due malattie della politica che non hanno nulla a che fare con quella scelta fatta appunto nel 1946 dal popolo italiano.

L’epidemia di coronavirus in qualche modo ha rafforzato anche quei valori che sono previsti nella Costituzione? Intendo il welfare, la solidarietà, la sussidiarietà..

R. - La grave emergenza del coronavirus ha rafforzato la solidarietà tra gli italiani, e gli italiani lo hanno ben capito e lo hanno ben manifestato. E tutto questo possiamo forse chiamarlo patriottismo, ma non è nazionalismo. In ogni caso esprime una spinta che è molto interessante. Oggi la grande sfida collettiva può essere risolta solo attraverso la solidarietà. La Chiesa e il mondo cattolico sono corpi intermedi che hanno svolto una funzione, credo, essenziale di fronte anche alle emergenze economiche, sociali, sanitarie.

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02 giugno 2020, 11:52