Migranti Venezuela-Colombia Migranti Venezuela-Colombia 

America Latina sempre più al centro della pandemia di Covid-19

Difficoltà nel fare i tamponi e nell’accesso alle mascherine rendono più difficile il contenimento del virus in Brasile e in altri Paesi latino-americani. Sistemi sanitari al collasso nelle grande città

Michele Raviart - Città del Vaticano

L’America Latina continua a essere il continente più colpito dalla pandemia di Covid-19, con numeri in continuo aumento e una situazione generale che appare lontana dallo stabilizzarsi. In totale in contagi ufficiali sono oltre un milione e 600 mila, con 46 mila casi registrati nelle ultime 24 ore e quasi 80 mila morti.

La situazione più grave in Brasile

Il Brasile rimane il secondo Paese più colpito al mondo dopo gli Stati Uniti con oltre 860 mila contagi e oltre 43 mila morti, 612 solo ieri. A seguire il Perù, dove le misure di lockdown non hanno limitato contagi e decessi arrivati rispettivamente a 229 mila e 6600, e il Cile. In generale risulta comunque difficile avere un quadro preciso delle infezioni, viste le differenze tra città e campagna e tra centro e periferia, come spiega a Vatican News Edoardo Leombruni, medico e presidente dell’Associazione Latinoamericana in Italia, particolarmente impegnata nei rapporti con le comunità italo-venezuelane.

Ascolta l'intervista a Edoardo Leombruni

R. - Le notizie che noi riceviamo da tutti i Paesi latinoamericani sono pessime. I dati ufficiali in qualche modo rispecchiano certamente il numero di positivi, ma solo tra quelli che hanno avuto accesso al tampone, il che è veramente difficile, innanzitutto per il costo e, soprattutto, perché non tutte le regioni e le grandi città metropolitane hanno dei laboratori in grado di fare le analisi per il Covid-19. Le informazioni sono sempre peggiori. Il Brasile è il capolista della problematica latinoamericana, seguito da Perù e Colombia.

Che misure si stanno intraprendendo per fermare il contagio? C'è una buona capacità effettiva di poter controllare la diffusione del virus?

R.- Noi siamo ormai abituati a delle norme di comportamento, che ormai ci sembrano abbastanza banali, ma pensiamo che nei Paesi latinoamericani l’accesso all’acqua è stato sempre un problema, pertanto già il fatto di detergersi e lavare le mani è una cosa impossibile. Anche l’accesso alle mascherine, quelle che qui chiamano “tapabocas”, è veramente arduo, tanto è vero che ci si ingegna con qualunque cosa possa coprire il viso, ma questo non vuol dire che avere una protezione efficace. Soprattutto c’è una problematica di accesso al servizio sanitario e all’assistenza, che in America Latina è un po’ a “macchia di leopardo”. Pertanto stanno facendo il possibile e però è difficile anche nei Paesi più virtuosi poter applicare i protocolli a cui siamo abituati in Europa. Per adesso si fa quello che si può, ma in alcune realtà non c'è nulla. Non esiste la possibilità di allontanare le persone, perché comunque nella povertà più assoluta, nella crisi economica, nella svalutazione delle monete in questi Paesi, comunque la gente deve scendere a “far mercato” specialmente nei settori popolari. Certamente quello che si fa in Argentina è completamente diverso di quello che si sta facendo in questo momento ad esempio in Venezuela.

Che notizie avete dal Venezuela? Noi sappiamo che i dati ufficiali parlano di pochissimi casi…

R. - In Venezuela ci sono stati meno di tremila casi, con una mortalità di circa 25 persone… Dati poco credibili se consideriamo che i due Paesi limitrofi, Brasile e Colombia hanno uno spread della malattia a dir poco inusitato. Pertanto i dati in Venezuela corrispondono solamente ai dati delle persone che effettuano il tampone, e nel Paese i tamponi vengono gestiti solamente nella capitale Caracas e che dal momento in cui fai il tampone a quello della risposta possono anche passare quindici giorni. Perciò c’è un ritardo anche di settimane nei risultati. Le indicazioni che l’Oragnizzazione Mondiale della Sanità (OMS) aveva dato all’inizio della pandemia parlavano del Venezuela come il Paese che potenzialmente avrebbe avuto il numero maggiore di casi. C’è una riduzione, rispetto agli altri Stati latinoamericani, dovuta a un “lockdown parafisiologico” dovuto alla mancanza di benzina. Sono ormai quasi due mesi che la gente in Venezuela per la carenza di combustibile non si muove. Oggi, che la benzina sembra che cominci ad essere disponibile, abbiamo avuto un sensibile aumento di casi. In questo momento il Covid-19 è un problema, ma ancora di più muore gente per malaria, tubercolosi, chikungunya e le altre malattie tipiche della zona.

Quali sono invece le conseguenze economiche di questa crisi. Le stiamo registrando in Europa e chiaramente riguardano anche l’America Latina. Che notizie avete proprio sulla vita quotidiana della gente?

R. - Per quanto riguarda il Venezuela si sta creando una situazione di disparità veramente importante, che già esisteva, tra quelle che sono le possibilità di sussistenza a Caracas, dove qualcosa arriva grazie agli aiuti umanitari più o meno permessi dal governo o da qualche altra forma di accesso agli aiuti. Invece tutte le città metropolitane delle periferie del Venezuela stanno veramente molto male. Ormai l'accesso al minimo dell'assistenza sanitaria in questi centri è ridotto a zero. Per quanto riguarda il resto del continente, dal punto di vista economico, la situazione purtroppo non è assolutamente positiva. Ricordiamoci che molte di queste economie sono basate sull'agricoltura e sull'allevamento del bestiame. Purtroppo con il lockdown si riduce tutto e anche il trasporto delle merci. Se produci qualcosa di reperibile e non riesci a trasportarlo in quelli che sono i centri di distribuzione viene tutto perso.

I sistemi sanitari sono in grado di tenere, oppure rimane forte la differenza tra le grandi città e le zone più periferiche?

R. - La parte più delicata è costuita dalle unità di terapia subintensiva o di rianimazione. Purtroppo i Paesi latinoamericani hanno pochissime unità di assistenza rianimatoria rispetto alle percentuali degli altri Paesi occidentali o dell'Asia. Pertanto l’accesso alla possibilità di non morire, alle terapie intensive e subintensive e ai farmaci necessari è veramente ridotto. Il collasso sanitario in Sudamerica è molto vicino, soprattutto nelle grandi città dove il numero di pazienti è maggiore, anche per la più alta possibilità di contagio. La situazione è veramente grave.

Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui

15 giugno 2020, 14:46