Teatroterapia e disagio mentale, scambio di ricchezze  Dal 1992, l’Associazione Teatro Patologico svolge attività teatrale coinvolgendo persone con gravi problemi psichici. Da oltre due mesi i corsi didattici, pedagogici e teatrali si sono dovuti fermare a causa della ben nota pandemia, interrompendo il percorso di libertà emotiva e mentale dei ragazzi con disabilità Teatroterapia e disagio mentale, scambio di ricchezze Dal 1992, l’Associazione Teatro Patologico svolge attività teatrale coinvolgendo persone con gravi problemi psichici. Da oltre due mesi i corsi didattici, pedagogici e teatrali si sono dovuti fermare a causa della ben nota pandemia, interrompendo il percorso di libertà emotiva e mentale dei ragazzi con disabilità 

Teatroterapia e disagio mentale, scambio di ricchezze

Dal 1992, l’Associazione Teatro Patologico svolge attività teatrale coinvolgendo persone con gravi problemi psichici. Da oltre due mesi i corsi didattici, pedagogici e teatrali si sono dovuti fermare a causa della ben nota pandemia, interrompendo il percorso di libertà emotiva e mentale dei ragazzi con disabilità

Eliana Astorri – Città del Vaticano


Un’atmosfera magica quella di Via Cassia 472, sede del teatro stabile dell’Associazione, dove è nata  anche la Prima Scuola Europea di Formazione Teatrale per persone con diverse abilità, con il nome “La magia del Teatro”. Teatro e malattia mentale si possono incontrare creando un ambiente unico che stimola e arricchisce i due mondi, come racconta ai microfoni di Vatican News, Dario D’Ambrosi, fondatore e ideatore del Teatro Patologico:

Ascolta l'intervista a Dario D'Ambrosi

Il vostro è un modo di fare teatro che ha come priorità l’integrazione di persone con problemi psichici. In tanti anni di attività, c’è un elemento che ancora la sorprende quando lavorate insieme e allestite uno spettacolo?

R. – Assolutamente sì, perché quando lavori con loro ti sorprendono sempre, soprattutto i ragazzi autistici. Ti sorprende veramente la voglia che hanno di questo senso di libertà creativa, soprattutto quando sei abituato a lavorare con degli attori accademici. Poi, lavori con questi ragazzi disabili e capisci che potenzialità può avere il teatro. Però, purtroppo, adesso siamo fermi e questo mi dispiace tantissimo.

Quindi l’attività del Teatro Patologico si è fermata. Con quali conseguenze sugli attori e le loro famiglie?

R. – Con gravi conseguenze perché io sto sentendo i genitori dei ragazzi e sono molto preoccupati, per non dire proprio disperati, per il fatto che i ragazzi non possano seguire il percorso di teatroterapia che avevano iniziato qualche mese fa e interrotto in modo molto brusco, perché il nostro è un teatro terapeutico con un percorso molto particolare, dove vengono eseguiti degli esercizi specifici a secondo se lavori con un ragazzo autistico o con sindrome di Down o con un ragazzo schizofrenico. Perciò, interrompere bruscamente è stata una violenza incredibile, ma la cosa più triste è che non sappiamo come e quando ripartire perché nessuno sa darci qualche indicazione, né il Comune né la Regione, né la Asl. Siamo qui in attesa di sapere qualche cosa con questi ragazzi che stanno veramente impazzendo in casa e hanno voglia di ricominciare, perché comunque il teatro per loro è anche un senso di grande libertà fisica, mentale, creativa e libertà, soprattutto, emotiva.

Teatro Patologico
Teatro Patologico

Non sarebbe possibile ripartire osservando le norme di sicurezza?

R. – Il problema è che non possiamo seguire le norme di sicurezza di un centro diurno, perché non siamo un centro diurno, e neppure seguire le norme di sicurezza dei teatri che dicono che apriranno il 15 giugno. Noi non siamo un teatro di produzione con attori normodotati che aspettano il 15 giugno. Noi siamo un centro di teatroterapia. Non c’è una collocazione specifica per noi. Questo è veramente molto molto grave, perché molti genitori quando hanno portato qua i figli mi hanno sempre detto: “Dario, non so se mio figlio diventerà un attore, ma sappiamo che, da quando frequenta il Teatro Patologico, noi siamo tornati a dormire la notte”. Perciò, si capisce quanto bene faccia a loro e quanta speranza dia a queste famiglie.

E non rientrando in nessuna categoria cosa pensate di fare?

R. – Intanto ho scritto alla Asl dicendo che ho l’esigenza di ricominciare e se mi danno delle linee guida per iniziare, visto che ho uno spazio all’aperto. Se mi dicono se posso iniziare solo con sei ragazzi o otto, se posso iniziare tenendo le mascherine, i guanti ecc... Darmi qualche indicazione per far tornare i ragazzi al Teatro Patologico perché per loro questa è una seconda casa. Già il fatto, secondo me, che rivedano questo spazio, rivedano la possibilità di ricominciare è un senso per non cadere completamente di nuovo in quella cura farmacologica che sono gli psicofarmaci.

Ritornare in una routine, in una quotidianità darebbe di nuovo tranquillità a loro e alle loro famiglie?

R. – Assolutamente. Come ho sempre dichiarato anche quando abbiamo presentato il nostro progetto, il primo corso universitario al mondo che si è  aperto qui a Roma al Teatro Patologico in collaborazione con Tor Vergata. L’ho presentato sia alle Nazioni Unite che alla Commissione Europea. Ho sempre dichiarato che, quando sta bene uno di questi ragazzi, stanno bene migliaia di persone, stanno bene la mamma, il papà, i fratelli, i nonni, il condominio, il quartiere. Per questo dico che fa bene ad una comunità. E’ importante che ricomincino a fare teatro, non teatro come allestimento di uno spettacolo teatrale, ma il fatto proprio di salvare emotivamente delle persone .

Teatro Patologico
Teatro Patologico

L’intuizione e la sensibilità di fare teatro, coinvolgendo persone che hanno gravi disagi psichici, hanno suscitato l’interesse di università straniere che hanno studiato il suo metodo. Cosa gratifica maggiormente il suo impegno di tanti anni?

R. – La gratificazione più grande è vedere, non tanto delle comunità di università come quelle italiana, canadese, argentina, venire qua e vedere il nostro metodo e copiarlo per aprire dei corsi universitari anche in quei Paesi, ma il sorriso che ritorna sui visi di questi genitori. Ho visto che, quando sono arrivati per portare i propri figli, c’era lo sconforto, la demoralizzazione, un non crederci più, invece rivederli sorridere, rivederli con una speranza…ecco, questa è la cosa che più mi fa bene, più mi gratifica. Mi ricordo quando ho incontrato Papa Francesco con i miei ragazzi disabili, una cosa che mi ha detto e che mi ha dato la forza di continuare ancora con più forza di prima: “Dario, non smettere mai il lavoro che fai con questi ragazzi” . Ed è vero, perché è veramente una missione. Mi dispiace che non abbiamo contributi, non abbiamo sostegni, però, è importante che io continui perché veder tornare il sorriso sui volti di questi papà, di queste mamme, penso che sia la gratificazione più bella che si possa avere.

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22 maggio 2020, 11:00