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Come riaprirà la scuola dopo l'emergenza coronavirus? Come riaprirà la scuola dopo l'emergenza coronavirus? 

Scuola, per la Fondazione Agnelli riaprire le aule ma con prudenza

A Roma il 61% dei ragazzi tra i 6 e 10 anni non ha svolto lezioni on line. Ora si pone l'interrogativo di come le scuole riapriranno a settembre. Il direttore della Fondazione, Andrea Gavosto: "Il vincolo che abbiamo è la superficie delle aule. Sarebbe importante che i ragazzi prima di entrare a scuola avessero la certezza di essere negativi al virus"

Alessandro Guarasci - Città del Vaticano

Il 25% dei ragazzi che frequenta la scuola in Italia non raggiunge il livello minimo di competenza scientifica. L’ultima rilevazione dell’Istat mette l’accento solo una delle carenze del sistema formativo italiano. Carenze che rischiano di acuirsi ora che gli studenti, di ogni ordine e grado, sono lontani dalle aule per effetto della pandemia di Covid-19. La didattica a distanza, attuata per l'aumento della diffusione dei contagi, ha avuto risultati a macchia di leopardo. Ad esempio, secondo la Comunità di Sant’Egidio, a Roma il 61% dei bambini tra i 6 e 10 anni non ha svolto lezioni on line. E ancora non è chiaro come la scuola ripartirà a settembre. Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, dice che la riapertura delle scuole “ovviamente va fatta con molta prudenza. Noi sappiamo che il motivo per cui le scuole sono state chiuse in molti Paesi, e stanno riaprendo con molta cautela, è che esse sono potenzialmente dei focolai importanti per una seconda ondata del virus”.

Ascolta l'intervista ad Andrea Gavosto

Dunque?

R.- Chiaramente non tanto per i bambini che apparentemente sono meno soggetti direttamente al nuovo coronavirus, ma perché poi tornano a casa e infettano i genitori, i nonni e così via. I bambini nelle scuole hanno in media 11 contatti al giorno, circa il doppio di quello che succede in un ufficio.

Gavosto, come potrebbe funzionare un eventuale ritorno a scuola?

R. - In realtà il vincolo che abbiamo è la superficie delle aule. Per mantenere il distanziamento di un metro, ma sarebbe meglio di 2 metri, le nostre aule, che hanno una superficie media di 45 metri quadrati, non consentono di tenere le classi attuali che sono fatte di solito da una ventina di alunni. Quindi bisognerà ridurre consistentemente il numero di alunni, fare due classi per ogni classe. Questo pone ovviamente problemi di natura organizzativa alla scuola. Bisogna quindi pensare a un lavoro a turni. Ovvero tutti in presenza in orari diversi, oppure un'alternanza tra la didattica a distanza e la presenza a scuola.

Ecco, però al momento la scuola italiana non ha le risorse per fare i cosiddetti vecchi doppi turni...

R. - Nell'ultimo decreto di risorse ne sono state messe parecchie, però è chiaro che per fare i doppi turni bisognerebbe raddoppiare lo sforzo degli insegnanti. Quindi aumentare molto il loro orario di lavoro. Oggi alle superiori ci sono 18 ore di lezione frontale previste per contratto. Bisognerebbe quindi che gli insegnanti raddoppiassero o fossero assunti insegnanti in più. 

C'è qualche Paese da cui possiamo prendere esempio? In Germania, in alcuni piccoli centri cominciano a fare i tamponi ai ragazzi che vanno a scuola...

R: - In Germania il coronavirus ha avuto un impatto molto meno importante. La chiave di volta è testare molto. C'è un vincolo pratico da quello che si capisce, cioè oggi siamo ancora lontani dalla capacità di fare un numero di tamponi tali da soddisfare i bisogni del Sistema Sanitario. E’ chiaro che sarebbe importante che i bambini e i ragazzi venissero ammessi dopo un test, che non è solo la temperatura, anche se le scuole avranno termoscanner. Ma sappiamo anche che semplicemente una febbre non è indicativa, perché si può essere benissimo portatori del virus in maniera asintomatica. Quindi sarebbe importante che i ragazzi prima di entrare scuola avessero la certezza di essere negativi al virus.

E’ soddisfatto della didattica a distanza? Quanto sta mancando ai ragazzi il contatto con i loro amici?

La didattica a distanza è stata una risposta inevitabile. Devo dire che le scuole hanno risposto con grande generosità. Più o meno l’80% dei docenti, che oggi fa didattica a distanza, in precedenza non aveva pratica di quel tipo. Quindi è stato uno sforzo impressionante da parte della scuola. Non è però tutta luce, perché sappiamo che la didattica a distanza esclude alcune categorie: chi ha disabilità, ovviamente quelli che hanno problemi di connessione, quelli che non hanno una famiglia in grado di aiutarli. Essere penalizzati è grave, perché vuol dire in sostanza non aver fatto scuola per sei mesi. Ma soprattutto per i più piccoli è molto importante il tema della relazione sociale e questa è venuta meno con la chiusura delle scuole.

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15 maggio 2020, 15:48