Quel Dio “con” noi che spinge a non abbandonare l’Africa

La riflessione di don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa Cuamm, sul recente Messaggio di Papa Francesco alle Pontificie opere missionarie. A guidare ogni impegno nel continente, in cui i casi di coronavirus hanno superato oggi la soglia dei 100 mila, è lo Spirito Santo che, spiega il sacerdote e medico, entra “dentro la vita delle persone” per guidarle verso ”quei poveri” che sono i prediletti del Signore

Giada Aquilino – Città del Vaticano

Essere “prossimi” a “quei piccoli e poveri che incontriamo nel nostro cammino”, accostandoci ai loro bisogni guidati da un’unica “vera strategia” che è quella dello Spirito Santo. Così don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa Cuamm, legge il mandato di Papa Francesco nel recente Messaggio alle Pontificie opere missionarie. L’avventura di Medici con l’Africa Cuamm - la sigla indica il Collegio universitario aspiranti medici missionari - iniziò a Padova nel 1950: sono passati settant’anni e oggi l’organizzazione è impegnata in Angola, Etiopia, Mozambico, Repubblica Centrafricana, Sierra Leone, Sud Sudan, Tanzania e Uganda, con attività di sanità pubblica, formazione, assistenza materno-infantile, lotta ad Aids, tubercolosi e malaria.

La gratuità dello Spirito

Sacerdote e medico, don Dante racconta della missione in Africa ispirata all’atteggiamento di Gesù, “quello del Dio ‘con’ noi”, a indicare un “lavorare insieme, soffrire insieme, patire insieme e anche costruire un percorso, un cammino dove si impara gli uni dagli altri”, dunque il contrario di quell'assistenzialismo da cui proprio Papa Francesco ha messo in guardia rivolgendosi alle Pom. Si tratta di una spinta a non fermare l’impegno in un continente in cui, ha fatto appena sapere l’Organizzazione Mondiale della Sanità, i casi accertati di coronavirus hanno superato ormai la soglia dei 100 mila e oltre 3 mila sono le vittime.

Parole con l’Africa

In occasione dell’Africa Day di lunedì prossimo, la giornata in cui annualmente si fa memoria della fondazione dell’odierna Unione Africana, Medici con l’Africa Cuamm propone “Parole con l’Africa”: una raccolta di riflessioni e messaggi di testimoni del mondo della cultura, da Niccolò Fabi a Claudio Magris, da Dacia Maraini a Simonetta Agnello Hornby, per ricordare che nel gioco della vita e del futuro del mondo, soprattutto nel cuore dell’emergenza da Covid-19, “siamo tutti uniti, in un solo respiro e in unico abbraccio”.

L'intervista a don Dante Carraro

Nel messaggio alle Pontificie opere missionarie il Papa evidenzia come la missione sia dono gratuito dello Spirito, non l’esito di strategie magari dettate da modelli mondani, del momento. Come questa riflessione del Pontefice si riflette nell’opera del Cuamm?

R. – Credo che la vera strategia sia, come appunto sottolinea Papa Francesco, quella dello Spirito, che entra dentro la vita delle persone: quei bisogni e quei poveri che incontri, quelle mamme a cui manca spesso la dignità anche solo nel partorire, nel poter pensare di avere un parto sicuro, dignitoso, senza la paura di perdere il bambino... Quindi quello Spirito che entra dentro la storia e interpella noi che ci accostiamo a loro tentando di condividere, prima di tutto. Il Papa parla di prossimità nella vita. Noi ci chiamiamo Medici “con” l'Africa: per noi quel “con” vuol dire proprio essere prossimi, avvicinare quei piccoli e poveri che incontriamo nel nostro cammino. Credo che il Papa intenda così la vera strategia dello Spirito che invia il cristiano ad incontrare i bisogni di un mondo, di un pianeta che grida, pensando per esempio proprio al continente africano. È quindi una strategia che non è scritta a tavolino, non scende dall'alto di elucubrazioni che lasciano il tempo che trovano, ma che nasce proprio da questo Spirito che ti manda e ti invia.

Francesco invita a non essere autoreferenziali, ripiegati su se stessi, ed esorta ad una più intensa “immersione” nella vita reale delle persone, senza però forme di assistenzialismo. Ci sono rischi in tal senso secondo la vostra esperienza in Africa?

R. – A questi rischi, che sono quotidiani, cerchiamo di essere particolarmente attenti. Noi, ripeto, siamo Medici “con” l’Africa, che è un’altra cosa dal dire “per” l’Africa. Quando si dice: io sono qua per te, riferendoci ad un’istituzione o a una persona, passa l’idea che io sono il salvatore, che io sono pieno di risorse e tu no, che io posso e tu no. L'idea di assistenzialismo è dietro l'angolo. Mentre invece l'atteggiamento di Gesù è quello del Dio “con” noi: credo che quel “con” dica invece di lavorare insieme, soffrire insieme, patire insieme e anche costruire un percorso, un cammino dove si impara gli uni dagli altri. Quel “con” è dunque il contrario dell'assistenzialismo, è far leva sulle risorse reciproche. Per esempio, per noi che siamo operatori sanitari vuol dire fare molta formazione del personale locale: in Sud Sudan, che è uno dei Paesi tanto cari a Papa Francesco, noi stiamo lavorando con interventi importanti, in 5 ospedali, 150 centri sanitari, con molto personale. Ebbene: il Sud Sudan allo stato attuale ha un’ostetrica per 20 mila mamme che partoriscono. Ecco allora che l'importante per chi come noi si accosta a questa realtà è investire sulle risorse umane locali, sui giovani che chiedono di crescere, non di avere assistenza: cercano di avere conoscenze, capacità, competenze. Due anni fa si sono laureate 20 nuove ostetriche sudsudanesi che adesso stanno servendo il loro Paese. Questo è dare dignità alle persone, a questi giovani, sentire che sono loro che diventano protagonisti della propria vita.

Simonetta Agnello Hornby per Medici con l'Africa Cuamm

Quando nel continente sono più di 100 mila i casi di coronavirus e oltre 3 mila le vittime, portate avanti “Parole con l’Africa”: che iniziativa è?

R. - È un’iniziativa che vede il coinvolgimento di testimoni, di persone che conoscono la vita di Medici con l'Africa Cuamm, conoscono il continente. A loro abbiamo chiesto di prestare il volto e la voce per dire che è vero che siamo stati tutti provati dal coronavirus, che ha piegato i nostri Paesi, che ha provocato paura e perdita di molte persone care, molti anziani, tanti operatori sanitari. Però è importante che la sofferenza non diventi chiusura, non diventi ripiegamento su se stessi, impedendoci di avere uno sguardo verso un continente come l'Africa che, se prima era debole, col coronavirus adesso rischia di indebolirsi ulteriormente. Vogliamo dire a tutti, e a noi stessi, che anche dentro le sofferenze che viviamo possiamo mantenere uno sguardo grande, continuare ad essere solidali anche con un continente che è ben più fragile delle nostre situazioni. Quindi invitiamo tutti ad avere questo sguardo che abbracci il mondo e in esso il continente più povero che è l’Africa.

Claudio Magris per Medici con l'Africa Cuamm

La pandemia può mettere alla prova il continente per un lungo periodo: nell’occasione dell’Africa Day 2020 di lunedì prossimo, quale appello vuole lanciare?

R. - Assieme ai 10 amici testimoni di “Parole con l'Africa”, l’appello è quello a mantenere un cuore generoso. Credo che se abbiamo imparato una lezione da questo coronavirus è che basta veramente poco, basta un virus e ci si rende conto che si diventa noi stessi fragili, bisognosi di aiuto, di persone che ci stiano accanto. Ecco, allora l'invito è proprio quello di pensare che la vita è veramente la vita di tutti, questo pianeta è il pianeta di tutti e che abbiamo bisogno tutti dell’aiuto reciproco, di una solidarietà che sia per i vicini - penso al nostro Paese - ma che si allarghi fino all'Africa. Stiamo lavorando perché questo virus non devasti il continente europeo, l’invito è al contempo quello di essere vicini anche all'Africa e nei limiti del possibile a Medici con l'Africa Cuamm.

Cosa serve più urgentemente all'Africa per far fronte alla pandemia?

R. - Presidi e materiali che proteggano il personale sanitario, penso alla fatica che stiamo facendo per mettere in sicurezza per esempio i 23 ospedali che stiamo sostenendo in Africa: quindi mascherine, occhiali, stivali, clorina per sanificare l'acqua, guanti e così via. E poi unità di isolamento, perché negli ospedali quello che è importante è separare i sospetti dai casi ‘normali’, una mamma che deve partorire o un bambino con la malaria. Lo stiamo facendo con delle tende poste ai lati degli ospedali, per consentire che i sospetti - se confermati - non contagino poi il resto dell’ospedale. Sono i due bisogni primari ed è su questi che stiamo concentrando i nostri sforzi e le nostre attività e abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti.

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23 maggio 2020, 15:18