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Angelo Pedone, infermiere, volontario della Croce Rossa Militare   Angelo Pedone, infermiere, volontario della Croce Rossa Militare   La storia

La vocazione degli infermieri che hanno salvato Bergamo

Angelo, volontario della Croce Rossa, racconta i giorni in prima linea nel pieno della pandemia all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. L’infermiere del Policlinico Gemelli di Roma, è stato protagonista e testimone in Lombardia di uno sforzo straordinario, basato su professionalità, arricchite da uno sguardo misericordioso e umano, che hanno dato forza e speranza a tantissimi pazienti

Marco Guerra – Città del Vaticano

Un angelo nell’inferno di Bergamo. E’ nei momenti più drammatici, quando stare vicino a chi soffre significa salvare vite ad ogni costo, senza risparmiare un solo briciolo delle proprie forze, che il lavoro del personale sanitario riacquista pienamente la dimensione della vocazione originaria.

In prima linea nelle emergenze

Angelo Pedone, infermiere di 52 anni di orgini pugliesi, volontario del corpo militare della Croce Rossa, nella sua lunga carriera ha prestato servizio in numerose situazioni di crisi: dalle missioni in Afghanistan all’operazione Mare Nostrum nel Mediterraneo per il recupero e il salvataggio dei migranti, passando per diverse emergenze nazionali causate da disastri naturali, tra le quali i devastanti terremoti nell’Italia centrale.

Ascolta l'intervista ad Angelo Pedone

In Lombardia una situazione senza precedenti

Infermiere al Policlinico Agostino Gemelli di Roma, Angelo è sempre stato pronto a raggiungere qualsiasi posto nel mondo, dove fosse presente un’umanità sofferente che necessitava di aiuto. Eppure quello che ha visto nelle corsie del Papa Giovanni XXIII di Bergamo lo ha segnato con un’intensità che non ha precedenti: “Accogliere persone su un nave è una situazione di pericolo ma nel giro di poche ore torna tutto sotto controllo. Pensavo che a Bergamo si potesse ripetere questo scenario, invece era completamente diverso”. “Alcuni libri andrebbero messi da parte – spiega meglio Angelo – molte conoscenze dalla mia professione non sono servite nella situazione del Covid-19 in generale e in particolare delle Lombardia. Sono saltati tutti gli schemi, i protocolli, le linee guida. Lì sembrava che stesse finendo il mondo, tutto questo mi ha arricchito dal punto di vista professionale ma ancora di più da quello umano”.

Gesti di misericordia oltre il dovere

Nell’ospedale orbico, Angelo si è impegnato con una grande generosità non legata al dovere, che trova slancio anche nel suo essere cattolico. Una fede che gli ha consentito di dare vicinanza e conforto anche a chi era prossimo alla morte: “Passando da una stanza all’altra mi capitava di fare brevi preghiere per le persone che erano sofferenti lì, ma spesso si arrivava in ritardo quando la persona era già morta, perché i sacerdoti erano pochi rispetto ai decessi che invece erano tantissimi”. Come lui tanti altri suoi colleghi: “Ho visto tante infermiere e infermieri bergamaschi che si fermavano per dare un ultimo saluto e una preghiera per i moribondi”.

Lo sforzo straordinario di tutti gli infermieri

L’infermiere pugliese è stato dunque testimone di tanto dolore ma anche di tanto coraggio e sacrificio che hanno caratterizzato l’impegno di tutto il personale sanitario. La lotta per la tutela di ogni vita, senza distinzione di età o condizioni sanitarie pregresse, ha animato il lavoro di tutti i giorni: “Nel caos più totale ho visto una grande umanità. Delle mie colleghe di Bergamo, finito il turno in ospedale, portavano delle terapie domiciliari a chi soffriva di malattie croniche, praticamente non si fermavano mai. Una volta ho visto questo gruppo di donne esultare perché un paziente aveva una saturazione migliore dopo quattro giorni, sembrava di stare allo stadio. Quello non era un lavoro ordinario ma stavo assistendo a qualcosa di straordinario”.

“Sono veramente onorato di far parte di questa categoria di persone – prosegue Angelo – che si è tirata su le maniche senza pensare ad un rischio che era sempre presente. Io, come tanti altri, ho una famiglia, moglie e figli che sono rimasti a casa e che forse hanno sofferto più di me al pensiero che potessi contagiarmi. Se ci fosse stato un piano e un po’ più di umiltà quando eravamo “in tempo di pace”, forse avremmo potuto salvare qualche vita in più”.

L’importanza dell’aspetto umano

Angelo esprime quindi grande gratitudine verso tutti i colleghi: “Ancora adesso qui a Roma vedo i colleghi che lavorano in terapia intensiva con il volto segnato dai dispositivi di sicurezza, sudati, provati, perché non è ancora finita”. “La presenza umana – aggiunge ancora l’infermiere volontario della Croce Rossa – come efficacia equivale alle terapie che somministriamo. Soprattutto in questa esperienza, dove incontravo pazienti terrorizzati, mostrare vicinanza con un cenno o piccole attenzioni dava un grande conforto, e quando uno vive psicologicamente meglio la malattia ha più possibilità di guarire”.

In conclusione Angelo si rivolge alle autorità per chiedere maggiore attenzione a tutto il sistema sanitario: “Il nostro settore deve essere più strutturato e aggiornato, e questo si può fare solo in una società che crede che la sanità può veramente fare la differenza”.

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12 maggio 2020, 10:57