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Giornata mondiale infermieri, professione riscoperta in tempo di Covid-19

Martedì 12 maggio ricorre la Giornata internazionale dedicata alla figura dell’infermiera e dell’infermiere, categoria professionale silenziosa che ultimamente ha suscitato profonda ammirazione e gratitudine da parte di tutti. Nostra intervista a Maurizio Zega, direttore del Sitra della Fondazione Policlinico Gemelli

Eliana Astorri – Città del Vaticano

Donne e uomini che, nei giorni acuti della pandemia da Covid-19, hanno lavorato al limite della resistenza fisica, dormendo in ospedale o in altri alloggi per non contagiare i propri cari a casa. Personale sanitario di cui molti si sono accorti grazie alla pandemia, come se il loro lavoro prima di essa non fosse esistito. Sono figure professionali insostituibili e con un percorso universitario di spessore, come racconta Maurizio Zega, direttore del Sitra della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS. Zega è stato contagiato e dopo 50 giorni di isolamento torna ora al lavoro. Per prima cosa gli chiediamo di spiegarci di che cosa si occupa il Sitra:

Ascolta l'intervista a Maurizio Zega

R. - Il Sitra è il Servizio infermieristico, tecnico e riabilitativo aziendale e racchiude al suo interno tutte le professioni sanitarie allo scopo di fornire assistenza.

Non solo all’interno dell’ospedale, ma seguite il paziente dopo le dimissioni?

R. – No, il perimetro del Sitra è quello all’interno del Policlinico Gemelli. Abbiamo solo un’unità domiciliare che è quella collegata con l’Hiv e che risale ormai a 15 anni come tipo di attività. E’ l’unica che abbiamo.

Com’è cambiato il paziente oggi, tanto da dover richiedere un diverso approccio da parte di alcune figure professionali sanitarie?

R. – E’ cambiata l’epidemiologia, nel senso che il paziente che ci troviamo oggi in ospedale è un paziente con un’età media molto alta e, quindi, molto spesso, polipatologico o, comunque, con altre patologie croniche che si affiancano alle ragione dell’acuzie per la quale è stato ricoverato.

E questo cosa comporta?

R. – Comporta che, ovviamente, abbiamo la necessità di seguire il paziente su tutto il suo quadro e sulle sue necessità perché alcune patologie croniche sono anche altamente invalidanti, quindi il bisogno di assistenza è maggiore. Al suo ingresso bisogna fornire una valutazione infermieristica che dà luogo ad una serie di diagnosi infermieristiche e, in funzione di queste, di attività assistenziali.

Maurizio Zega, com’è stata gestita l’assistenza al paziente durante i due mesi delicati della massima diffusione del Covid-19?

R. – Prima di tutto la Direzione Sanitaria del nostro Policlinico ha realizzato una geografia dell’ospedale per evitare contaminazioni tra i pazienti a partire dal Pronto soccorso dove si è subito instituito un percorso ‘febbre’ dove tutti i soggetti con febbre dovevano recarsi per poter essere poi valutati positivamente o negativamente rispetto al Covid e poi proseguire il proprio percorso, cioè il percorso cosiddetto ‘bianco’ , cioè non Covid. Poi, successivamente, siamo stati chiamati dalla Regione ad instituire un Covid-2 presso il presidio Columbus e, in quella realtà, abbiamo messo in piedi 59 posti letto di terapia intensiva e circa altri 110 posti di degenza sia sub-intensiva che ordinaria.

Oggi ricorre la Giornata Mondiale dell’infermiere. Una figura che, con l’emergenza Covid-19, ha assunto un valore diverso rispetto a prima della pandemia. Era necessario un virus di questa portata per far risaltare il ruolo fondamentale e insostituibile di questa categoria?

R. – Tristemente sì. Succede sempre così. Succede che ci si accorge del lavoro silenzioso di un professionista solo nel momento in cui se ne ha bisogno. La professione infermieristica è una professione che, negli ultimi venti anni, ha avuto un’evoluzione importante, parliamo di personale laureato, non soltanto triennale ma quinquennale, fino ad arrivare ad essere PhD, cioè Doctor of Philosophy, quindi, con un percorso universitario accademico di tutto rispetto. Soltanto a Roma, noi abbiamo già due Ordinari di infermieristica, uno a Tor Vergata e uno al Campus Biomedico e abbiamo circa 7/8 Associati di infermieristica, con un quadro universitario ormai ben definito. E’ la storia che si ripete, Pico della Mirandola: deve succedere qualcosa per potersi accorgere. Diciamo che ora la società è pienamente cosciente del lavoro infermieristico, di un lavoro che è diverso da quello del medico, anche se in alcuni casi questo lavoro si affianca e cammina per un periodo insieme, ma è un lavoro diverso. Ognuno di noi indaga la persona sotto un aspetto diverso. Il medico la indaga dal punto di vista clinico, noi la indaghiamo da un punto di vista assistenziale. E questo fa sì che possiamo dare una risposta adeguata al soggetto malato.

Lei è stato contagiato dal virus. Ci racconta la sua esperienza?

R. – Io sono stato contagiato dal virus il 21 marzo. L’ho vissuta abbastanza bene. Ho avuto una prima settimana abbastanza pesante con febbre e tosse, poi, però, c’è stato un cambiamento del quadro patologico. Ho cominciato ad essere asintomatico e sono rimasto asintomatico. La seconda settimana avevo il gusto e l’olfatto ancora assenti e mi hanno tenuto compagnia fino a dieci giorni fa. Ho vissuto 50 giorni di isolamento ed è stata un’esperienza veramente difficoltosa. Io ero stato già paziente in ospedale, ma per una patologia acuta, quindi, tempo di degenza limitato, poi riabilitazione in tempo medio. Stare cinquanta giorni isolato è stato veramente dura. E devo dire che tutto il Policlinico Gemelli mi è stato molto molto vicino. A partire dal presidente, dal direttore generale, mi hanno espresso la loro solidarietà e vicinanza dal primo momento, fino ad arrivare ai miei dirigenti. Io, all’interno del Sitra, ho dieci dirigenti gestionali e un dirigente professionale, oggi anche ricercatore dell’Università Cattolica, e devo dire che sono stati tutti carinissimi perché circa due settimane fa hanno fatto un video presentandomi tutta una serie di frasi di supporto, di incoraggiamento a tener duro, a non mollare, che mi ha fatto emozionare tantissimo. E’ stata un’esperienza molto importante.

Adesso sta bene, ha fatto i tamponi, può tornare alla vita, se si può dire, "normale"...

R. – Sì, ho avuto proprio ieri il secondo tampone negativo, quindi, secondo quanto stabilisce la norma sono clinicamente guarito e quindi torno subito al lavoro, ma la cosa più bella è che ho potuto riabbracciare la mia famiglia. Questo è stato l’aspetto migliore conseguente ai due tamponi negativi.

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12 maggio 2020, 08:45