Amazzonia: il virus tra gli indigeni. La speranza per il futuro è nell'acqua

Don Gianni Mometti, missionario nello Stato brasiliano del Parà, spiega che il Covid-19 sta colpendo soprattutto città come Manaus e Belem, e le loro periferie sovraffollate, ma è arrivato anche nei villaggi indigeni. Sconfitto il virus, una soluzione per sfamare i poveri, è il progetto per la coltivazione di riso e allevamento integrato di pesci e maiali, che sfrutta la tanta acqua dell’Amazzonia

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

Nelle periferie di Manaus e di Belém il bollettino del contagio ormai è drammatico, “ma purtroppo il Covid-19 è riuscito ad arrivare anche nei villaggi indigeni”. Si salvano ancora alcune comunità che vivono nell’interno, ma gli ospedali sono pieni, e la gente muore in casa, senza assistenza. Don Gianni Mometti, 83.enne missionario bresciano in Brasile da più di 60 anni, dipinge un quadro drammatico della pandemia nell’Amazzonia brasiliana, dove “i criminali che distruggono la Foresta”, il polmone che da’ al mondo un terzo del suo ossigeno, possono agire indisturbati. La polizia è impegnata nei controlli anticontagio, e in due mesi il taglio di alberi si è più che triplicato. L’ economia di sussistenza è ferma, per il blocco imposto dai governatori per frenare la diffusione del virus.

I poveri salvati dall'acqua, col progetto 'Nuovo Mosé'

Ma don Mometti guarda anche al futuro: “Quando questa calamità finirà - ci dice - una soluzione per le famiglie senza lavoro e senza terra, potrà essere il nostro progetto ‘Nuovo Mosé’, che già fa vivere 2500 famiglie nelle regioni Bragantina e Salgado”, affidando ad ogni nucleo familiare 5 ettari in concessione dallo Stato. Accanto al laghetto per l’allevamento di pesci, si ricava una piana per la coltivazione del riso, e sugli argini un porcile per maiali, che alimentano i pesci con il plancton. Le famiglie coinvolte nel progetto non sono  state per ora colpite dal contagio, ma la situazione in molte zone dell’Amazzonia brasiliana è disastrosa. “Siamo in ritardo”, ripete sconsolato don Gianni.

Ascolta l'intervista a don Gianni Mometti

R. - Questo è un momento veramente serio e triste, che sta preoccupando tutti noi che viviamo in Amazzonia. Siamo arrivati in ritardo perché l'assistenza medica già era critica prima di questa calamità, immaginiamoci adesso. Le cose sono veramente peggiorate. Si fa tutto il possibile, per esempio qui nello Stato del Parà abbiamo un governatore molto attento che è riuscito a importare dalla Cina tanti macchinari e a distribuirli in tutto lo Stato. Adesso si cerca di rimediare, ma quando si parte già in ritardo, è difficile arrivare a risolvere tutti questi gravi problemi.

Le comunità indigene e le famiglie che segue per la sua missione hanno un’assistenza medica sufficiente? Gli ospedali sono abbastanza vicini?

R. - Anche se sono vicini, gli ospedali sono pieni, non ci sono più posti. Li hanno aumentati, ma restano sempre insufficienti per le necessità che ci sono. L'unità nella Chiesa brasiliana è grande, ma le possibilità sono minime: noi possiamo aiutare con la carità, dare da mangiare, ma nell’assistenza medica abbiamo difficoltà anche noi. L'intervento in Amazzonia è veramente urgentissimo e soprattutto per aumentare le possibilità di poter ricoverare chi è grave perché molti sono nelle proprie case senza assistenza e muoiono in casa. Un ragazzo di 15 anni tra gli indigeni Yanomami, confinanti col Venezuela è morto, nella comunità Xirixana ci sono molti casi, e queste tribù si sono unite con quelli di Roraima per chiedere un aiuto immediato di 5 milioni di reais per prepararsi a combattere bene il Covid-19. Possiamo dire che anche tra gli indios questo maledetto virus è riuscito a penetrare e lì le cose saranno molto difficili, perché il trasporto è difficile, e le distanze sono molto grandi. Preghiamo anche per loro che sono i custodi della nostra Amazzonia.

Un'indigena di Manaus assistita a casa da un'infermiera indigena
Un'indigena di Manaus assistita a casa da un'infermiera indigena

Tra i lebbrosi di Colonia do Prata, nel municipio di Igarapè-Acu, che ho assistito per più di 30 anni, non c'è nessun caso, però l'assistenza ai lebbrosi è stata mantenuta anche in queste difficoltà, loro vanno e sono medicati. Bisogna ringraziare veramente tutti gli operatori dell'assistenza della Fondazione Marcello Candia, i nostri cari volontari, i medici che danno anche la vita per questo, tanto che il direttore dell'ospedale della Divina Provvidenza è morto l'altro giorno proprio per questo virus.

Qual è la situazione tra le famiglie coinvolte nel progetto 'Nuovo Mosé'?

R. – Le famiglie di allevatori e contadini che aderiscono al nostro progetto vivono nell'interno, e tra loro non abbiamo nessun caso, perché sono  lontani dai focolai del contagio. E quindi ancora non è arrivato con una violenza così grande come nelle capitali Belem e soprattutto Manaus. Lì il problema grave sono le periferie, questi agglomerati di gente senza protezione, senza assistenza medica. E’ un disastro, bisognerà mettersi d'accordo per intervenire e salvare il salvabile, ma penso che siamo arrivati troppo in ritardo. Se noi sommiamo 10 Paesi dell'America del Sud non arrivano ai morti che ci sono a Manaus perciò la cosa è gravissima, a Belem siamo anche qui con 4000 infettati e 400 morti. E’ ancora una situazione che si può controllare.

Funerali di gruppo a Manaus, la metropoli più grande dell'Amazzonia brasiliana
Funerali di gruppo a Manaus, la metropoli più grande dell'Amazzonia brasiliana

Che impatto ha sull’economia e il sostentamento delle famiglie il blocco delle attività imposto per frenare il contagio?

R. – L'impatto sull'economia è tremendo perché si è fermato tutto, anzi ieri il governatore ha dovuto intervenire nuovamente per bloccare ancora di più perché in 10 città c'è un aumento sproporzionato di contagi in percentuali gravissime. Fermare tutto in una economia come la nostra vuol dire entrare in una crisi in tutti i sensi, alimentare e di assistenza. E’ vero che il governo ha dato alle famiglie un aiuto assistenziale di 600 reais, cioè 150 euro, più o meno. Ci possono fare poco, ma comunque è un aiuto. E ci sono le Caritas, con gli altri movimenti parrocchiali, che fanno il possibile per le nostre famiglie povere.

 

Come rilanciare, anche per favorire la ripresa economica alla fine della pandemia, il progetto 'Nuovo Mosé', che lei ha presentato anche al Sinodo per l’Amazzonia?

R. - Proprio in questi giorni abbiamo finito di preparare il nostro sito sul nostro progetto, perché dopo questa calamità sarà fondamentale riorganizzare tutta la nostra gente povera, soprattutto quelli che non hanno terre, che non possono avere del sostentamento. Sarà importante dare loro di che vivere e questo nostro progetto 'Nuovo Mosé' può essere una soluzione, dopo questa tremenda crisi, per i poveri e per i contadini. Perché l'acqua è rimasta la stessa in Amazzonia. Ma l’aria no: purtroppo approfittando di questa pandemia i criminali che distruggono la Foresta Amazzonica sono intervenuti con tutte le forze, dato che la Foresta non è più controllata, perché le nostre forze di polizia devono controllare le città. Loro sono entrati in Amazzonia e hanno disboscato tanta Foresta. Nei mesi di marzo e aprile hanno distrutto il 290% in più di quello che è stato distrutto negli stessi mesi del 2019. I nostri governatori, quando hanno fatto le loro dichiarazioni di 14 punti, hanno messo ben chiaro l’obiettivo di ridurre a zero gli interventi criminali che distruggono l'Amazzonia. Ma ora sono impegnati con questa calamità del Covid-19, col primo obiettivo di difendere la vita dei propri cittadini. Però il loro impegno a difesa dell’Amazzonia crediamo che riprenderà dopo questa calamità. Noi abbiamo affidato tutto alla Madonna, Nostra Signora di Nazarè, che è la regina dell' Amazzonia e a Nostra Signora di Guadalupe che è l’imperatrice di tutta l'America Latina. Alla nostra Madre celeste chiediamo che intervenga e metta fine a questo virus che sta mietendo tante vittime.

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