Cerca

Preghiera in una moschea di Kabul per la fine del Ramadan Preghiera in una moschea di Kabul per la fine del Ramadan 

Afghanistan: sì al rilascio di duemila talebani per la tregua di fine Ramadan

L’intesa è un nuovo passo verso l’implementazione degli accordi di pace dello scorso fine febbraio tra Stati Uniti e insorti. Rispettato finora il cessate il fuoco previsto fino a mercoledì

Michele Raviart – Città del Vaticano

Il presidente afgano Ashraf Ghani ha accettato di rilasciare duemila prigionieri talebani nell’ambito dei tentativi di distensione tra governo ed insorti. Un gesto di “buona volontà”, lo ha definito il portavoce del presidente, “in risposta all’annuncio dei talebani di un cessate il fuoco durante l’Eid al Fitr”, la festa per la fine del Ramadan. Già in libertà - confermano fonte ufficiali -  100 detenuti della prigione di Bagram.

Verso il ritiro delle truppe americane

Un processo che ha avuto un’accelerazione con la tregua iniziata ieri e programmata fino a mercoledì prossimo, dopo mesi di aumento delle violenze che sembravano pregiudicare l’ennesimo tentativo di pace. Lo scambio, che prevede anche il rilascio di alcuni membri delle forze di sicurezza afgane imprigionate dai talebani, era infatti uno dei punti dell’accordo firmato a fine febbraio a Doha tra Stati Uniti e talebani. Un impegno che ha come obiettivo la riconciliazione e il ritiro delle truppe americane e straniere nel giro di 14 mesi.

Un ampio scambio tra prigionieri

L’accordo, che non è mai stato formalmente ratificato da Kabul, prevedeva il rilascio di 5 mila talebani in cambio di mille soldati delle forze armate ed è stato attuato solo in parte. Da parte loro gli islamisti se da un lato avevano cessato gli attacchi contro le truppe straniere, dall’altro avevano continuato a combattere le forze afghane.

Parsi: il vero problema è economico

“È un grosso investimento verso i talebani per cercare di arrivare a implementare effettivamente questi accordi di pace", spiega a Vatican News Vittorio Emanuele Parsi, direttore dell’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali dell’università Cattolica di Milano. “Il vero problema per l'Afghanistan post guerra civile però è un problema soprattutto di natura economica”, sottolinea, “perché se l’economia non verrà in qualche modo riassestata, si ricreeranno quelle ragioni di popolarità di qualunque formazione di insorgenti che ha ridato vita anche ai talebani”.

Ascolta l'intervista integrale a Vittorio Emanuele Parsi

Gli auspici degli Stati Uniti

Zalmay Khalizad, emissario degli Stati Uniti per l’Afghanistan, ha giudicato il cessate il fuoco come “un’opportunità da non lasciarsi sfuggire”, mentre domenica scorsa il segretario di Stato Mike Pompeo aveva ricordato ai talebani i loro impegni nel rilascio di prigionieri chiedendo di non ricominciare a combattere dopo la tregua.

Non lasciare solo il Paese

“Dipenderà molto - spiega ancora il professor Parsi - da quanto la leadership talebana, piuttosto plurale, crederà di poter guadagnare da un accordo quadro, che tanto poi verrà implementato nel giro di anni per cui potrà sempre essere in qualche modo modificato in base ai rapporti di forza, invece di far saltare il tavolo”.  Quest'ultima "è sempre una possibilità dal momento in cui gli americani se ne andranno ma sarebbe anche un rischio per trattenerli”, però “se non vogliamo che l’Afghanistan torni ad essere l'orrore che abbiamo conosciuto per 30-40 anni”, conclude,  abbiamo bisogno che i “donors”, i Paesi che si sono occupati finora di sicurezza e ricostruzione, “non si sfilino insieme all'ultimo soldato americano”.

Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui

25 maggio 2020, 15:05