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Giornata della Terra, la lezione degli indigeni: amarla, non solo usarla

Uno dei focus della “maratona multimediale” di 12 ore, per celebrare il 50esimo Earth Day, da’ voce ai popoli originari, che da secoli custodiscono il Pianeta, nelle foreste dell’Amazzonia, del Congo o del Borneo. Far incontrare la loro saggezza ancestrale con la nostra tecnologia, è la sfida dello sviluppo sostenibile

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

Un viaggio virtuale fatto di volti, di storie, di natura, di bellezza e di pericolo. All’interno della “maratona multimediale” italiana #OnePeopleOnePlanet, per la 50esima Giornata Mondiale della Terra, trasmessa in streaming su Rai Play e sul sito creato per l’occasione, il focus “Popoli custodi” da' voce ai popoli indigeni che da secoli vivono “con” il Pianeta, e non contro di esso, nelle foreste dell’Amazzonia, del Congo o del Borneo. Popoli dei quali ha ascoltato il pianto Papa Francesco, dandogli voce prima nell’enciclica Laudato sì e poi nell’esortazione post sinodale Querida Amazonia.

Tokala Takini, rappresentante dei Sioux del South Dakota
Tokala Takini, rappresentante dei Sioux del South Dakota

Dai Sioux del South Dakota agli indios Ticuna dell'Amazzonia

Il viaggio ha il volto di Tokala Takini, rappresentante dei Sioux della Pine Ridge Oglala Reservation del South Dakota, negli Stati Uniti. Una multietnica popolazione “assediata” dalla società moderna, ma Tokala ci dirà come conservare in queste difficili condizioni la propria cultura e la tradizionale relazione e rispetto della Terra. Il cappuccino umbro fra Paolo Maria Braghini da' voce agli indios Ticuna do Solimoes, con i quali vive da 14 anni nel nord-ovest dell’Amazzonia, racconta i primi frutti del Sinodo e spiega come procede il cammino di inculturazione del Vangelo tra i popoli della foresta.

Fra Paolo Maria Braghini, minore cappuccino missionario con il popolo Ticuna
Fra Paolo Maria Braghini, minore cappuccino missionario con il popolo Ticuna

Gli indigeni del fiume Congo e gli aborigeni australiani

Da Parigi, poi, l’antropologa culturale Fiore Longo, direttrice di Survival international, parla dell’impegno per la difesa di alcune popolazioni del bacino del fiume Congo e di una tribù senza contatti con altre civiltà nelle Isole Andamane, in India. In Australia incontriamo Jacqui Rémond, co-fondatrice del Movimento Globale Cattolico per il Clima e attuale direttrice di Catholic Earthcare Australia, che presenta i programmi di collaborazione culturale con gli aborigeni, scelti come compagni di viaggio per la tutela e la valorizzazione dell’ambiente naturale. E dall’Italia, in diretta, interviene Emanuele Bompan, giornalista ambientale e geografo, direttore responsabile della rivista “Materia Rinnovabile”. Spiega che il patrimonio idrico mondiale è minacciato dalla produzione idroelettrica dalla costruzione di enormi dighe fluviali per la produzione idroelettrica. “Produciamo in modalità disastrose per l’ambiente  - è la sua denuncia - di cui ci serviamo senza pensare a ciò che accadrà in un futuro anche non troppo lontano”.

Falmi: no ai pregiudizi, la loro cultura non è inferiore

Uno dei curatori del focus “Popoli custodi”, il focolarino Donato Falmi, già responsabile dell’editrice Citta Nuova, ci descrive così le tappe del viaggio virtuale.

Ascolta l'intervista a Donato Falmi

R. - Abbiamo pensato di dare innanzitutto la parola a monsignor Carlo Maria Polvani, del Cortile dei Gentili, che ci introdurrà sul significato della presenza dell'uomo nell'ambiente a partire dalla Laudato sì, e sulla base di questa riflessione iniziale avvicinare e conoscere meglio alcuni popoli, delle migliaia di popoli indigeni che sono ancora presenti sul pianeta. Cercheremo di fare un giro molto rapido che tocchi comunque i cinque continenti. Partiremo dalla Amazzonia per poi andare nel bacino del Congo, toccare un arcipelago che appartiene all'India, ritornare nel continente americano ma nel Nord America con un rappresentante di una popolazione Sioux che vive nello Stato del Sud Dakota e portarci poi in Australia per un contributo che non poteva mancare, visto che poi l'Australia è stata toccata da questo disastro ecologico degli incendi molto di recente. Questo excurus sul mondo dei popoli indigeni sarà condotto da Paola Saluzzi e ci saranno collegati direttamente Emanuele Bompan, giornalista ambientale e geografo e anche una ricercatrice antropologa dell'associazione Survival International, che si collegherà da Parigi.

Da questi popoli indigeni, come scrive il Papa nell'esortazione Querida Amazonia, possiamo imparare ad amare e a contemplare, non solo ad utilizzare la Terra?

R. – Affrontare questi tema è anche l’occasione per riflettere su un grave problema che ci ha accompagnato per secoli e che è il pregiudizio nei confronti di queste culture che noi da un punto di vista eurocentrico abbiamo considerato, poiché diverse e che non entrano nella modernità, le abbiamo considerate sostanzialmente inferiori. Questo pregiudizio ci ha impedito per tantissimo tempo di capire quali erano però quei valori di fondo che queste culture hanno conservato per secoli in base ai quali hanno mantenuto quella biodiversità essenziale al Pianeta, senza la quale tutta la vita dell'umanità non può continuare. Quindi oggi siamo più attenti e più consapevoli che un ascolto attento di questi valori culturali e di questo atteggiamento positivo nei confronti della Terra può esserci utile. Quanto è importante questo dialogo e incontro tra le culture!

Valori e modi di vivere che però sono a rischio se questi popoli indigeni saranno costretti a lasciare la loro terra per cercare di vivere in modo dignitoso in città, seguendo magari anche il sogno consumistico…

R. – Questo è vero e per fortuna stanno sempre più prendendo forza e moltiplicandosi associazioni ma anche istituzioni accademiche, centri di ricerca scientifica che cercano di renderci attenti al fatto che la modernità tecnologicamente più forte rischia di privarci dell’apporto di questi popoli, perché invadendo il loro territorio con un utilizzo diverso da quello che è stato fatto per secoli, noi in realtà andiamo a distruggere questo patrimonio che poi diventa progressivamente irrecuperabile. E’ proprio il venir meno di queste popolazioni che mette a rischio la conservazione stessa di quella biodiversità che si sta riscoprendo sempre di più come essenziale alla vita di tutti.

Possiamo dire che la sfida per uno sviluppo sostenibile sarà quella di riuscire a coniugare la saggezza ancestrale di questi popoli con le conoscenze tecniche di oggi?

R. – E’ uno scambio necessario. Non si tratta di passare da un atteggiamento di pregiudizio, di rifiuto, anche di sopraffazione, ad uno che consideri i popoli indigeni come autosufficienti. Ci deve essere comunque un apporto reciproco, un incontro che sia finalmente capace di scambiare conoscenze e anche prospettive, modi di vivere che siano reciprocamente utili ma sempre tenendo conto che ogni popolo conserva un contributo anche di saggezza naturale che può essere utile agli altri.

Per invitare anche i giovani a seguire questa maratona, quali parole si possono usare?

R. – E’ molto importante impegnarsi a conoscere, essere informati, essere attenti e coltivare questi valori fondamentali che sono quelli che la stima dell'altro prima del giudizio e del pregiudizio e quello dell'ascolto e la valorizzazione dell'altro. Dobbiamo riformulare i nostri stili di vita su una base etica, che abbiamo ma che continuamente rischiamo di perdere.

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Viaggio alla scoperta dei "Popoli custodi" della Terra
22 aprile 2020, 08:30