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Ospedale Papa Giovanni XXIII ambulanze in arrivo al Pronto Soccorso Ospedale Papa Giovanni XXIII ambulanze in arrivo al Pronto Soccorso 

Emergenza coronavirus: a Bergamo trapiantati i polmoni ad un paziente

Nonostante le difficoltà riscontrate negli ospedali di Bergamo, a causa della pandemia, una luce arriva dal trapianto di entrambi polmoni in un uomo di 54 anni. Intervista al professor Michele Colledan dell’ospedale Giovanni XXIII

Eliana Astorri – Città del Vaticano

Un trapianto che è speranza per i tanti malati in lista d’attesa che, davanti all’emergenza coronavirus, sono stati presi dallo sconforto. Gli ospedali infatti, in questi momenti, sono stati travolti dall’elevato numero di pazienti che hanno fatto ricorso alle cure mediche. Eppure, all’ospedale Giovanni XXIII di Bergamo, è stato possibile effettuare un trapianto di polmoni.

Colledan: la rete dei trapianti sta funzionando

Negli ultimi tempi, si è registrato un minore aumento del numero di contagiati. Una tendenza che può dare un minimo di respiro ai medici soprattutto per riuscire a dimettere i pazienti guariti ed accogliere così in terapia intensiva quelli che arrivano? Risponde il professor Michele Colledan, direttore Dipartimento Funzionale Insufficienza d’Organo e Trapianto dell’Ospedale Giovanni XXIII di Bergamo:

R. – Intanto sappiamo che il numero di contagiati non è un numero valido perché i tamponi non vengono fatti in modo estensivo. Io stesso sono stato a casa malato e non sono stato tamponato, quindi, non so francamente cosa significhi quella tendenza. Quello che stiamo vedendo da pochi giorni non so se sia solo una fluttuazione su una linea di base che non si sa ancora in che direzione vada o se sia solo una tendenza, ma di certo vediamo una stabilizzazione del numero di accessi al Pronto Soccorso. Mi riferisco in particolare ai malati positivi al Covid con disturbi respiratori. Abbiamo ottenuto un ragionevole bilancio tra pazienti che escono dall’ospedale e quelli che vengono ricoverati. Quelli che escono dall’ospedale sono i pazienti dimessi perché guariti o in via di guarigione avanzata, ci sono poi i pazienti trasferiti in altre strutture che fortunatamente ci danno disponibilità e infine quelli che possono ancora accogliere. Esistono due tipi di trasferimenti: quelli di pazienti in via di guarigione ma che necessitano ancora di cure pertanto sono diretti in alcune strutture dalle quali vengono dimessi, quello è un flusso che si mantiene. Ci sono poi pochi pazienti che vengono trasferiti, è già successo e succederà ancora, ci sono intubati che vengono indirizzati ad altre rianimazioni di altri ospedali. E poi ci sono i pazienti, purtroppo, deceduti. In totale questi sono i pazienti in uscita. C’è un ragionevole bilancio medico tra quelli che entrano e quelli che escono che ci consente di liberare in parte il Pronto Soccorso, che era assolutamente sovrappopolato di pazienti. Pazienti che ora la rianimazione riesce a riassorbire giorno per giorno.

 

Qual è da voi la situazione per quanto riguarda i respiratori e i dispositivi di protezione individuale?

R. - I dispositivi di protezione individuali sono stati un grossissimo problema all’inizio, ma adesso i nostri punti di approvvigionamento riescono a fornirceli, quindi per le persone che si occupano dei pazienti Covid a contatto diretto, i dispositivi sono adeguati e riusciamo ad avere una fornitura costante. Sui respiratori non è solo l’unica questione, aggiungere respiratori vuole anche dire aggiungere del personale infermieristico e anche personale tecnico medico. Quindi, in questo momento, credo che anche aggiungere un certo numero di respiratori non sarebbe possibile per il personale medico anche se stiamo assumendo altro personale. In questo momento, abbiamo circa un’ottantina di pazienti intubati.

Nelle situazioni tragiche dobbiamo concentrarci sugli spiragli di luce. Da voi questa luce è stato il paziente al quale pochi giorni fa avete trapiantato entrambi i polmoni. Si tratta di un uomo di 54 anni, affetto da fibrosi polmonare che è tornato a vivere grazie a questo intervento. Innanzitutto, come sta?

R. – Sta progressivamente sempre meglio, ha tolto molto precocemente il supporto extra-corporeo, si è svegliato bene, gli scambi dei polmoni trapiantati sono buoni e progressivamente sempre migliori e siamo ottimisti. Naturalmente, è ancora in rianimazione. Bisogna tenere conto del fatto che era in rianimazione e che era un paziente che aveva davanti a sé, credo, pochi giorni di vita. Come ho già detto in altre circostanze, questa è stato, paradossalmente, anche la sua fortuna. Essendo in rianimazione aveva già il suo posto letto. Penso che oggi, non sia impossibile reperire gli organi in caso di disponibilità di un donatore, ma certo è molto difficile.

E significa anche che la rete dei trapianti sta funzionando anche in questo momento e che chi è in attesa di ricevere un organo per poter vivere, non ha motivo di sentirsi lasciato indietro…

R. – Esatto, la rete dei trapianti sta funzionando. La disponibilità di organi ha subìto un drammatico calo. La risorsa ‘donazione organi’ è molto limitata, ma diciamo che quella che si riesce a proporre non viene sprecata. La possibilità di trapiantare c’è. L’ospedale di Bergamo è probabilmente, era almeno prima dell’epidemia Covid, uno dei più potenti da questo punto di vista.  Ce ne sono altri che in questo momento di difficoltà riescono a farne più di noi.

Vuole lanciare un messaggio affinché si continui a restare in casa, per tutelarci e per aiutare voi medici e infermieri che state accanto a chi ha bisogno di essere curato e assistito?

R. – Assolutamente, bisogna restare in casa e cercare anche di limitare i contatti in casa perché, per quanto si resti in casa, comunque a far la spesa bisogna uscire. Bisogna evitare il più possibile che le persone abbiano contatti ravvicinati. In casa e fuori casa. Questa è l’unica cosa che possiamo fare in questo momento e questo dovrebbe consentire di contenere il fenomeno. Sicuramente questa è la cosa più importante che si possa fare in questo momento.

Professore, grazie per tutto ciò che state facendo, siete un esempio per tutti, voi medici, gli infermieri e tutti coloro che collaborano in tutti gli ospedali.

R. – Noi stiamo continuando a fare quello che abbiamo sempre fatto: curare i malati. Adesso lo facciamo in modo diverso, in una situazione diversa, oggi uscire di casa per andare a fare il proprio lavoro, da un certo punto di vista, a ben guardare, è quasi un privilegio.

Sì, però, c’è molto più rischio per voi….

R. – Ma, con i dispositivi di protezione adeguati, veramente no. Ormai l’attenzione è a tutti i livelli. Credo che le settimane scorse abbia rischiato di più chi lavorava con pazienti dei quali non si conosceva la positività o negatività, magari senza protezioni senza attenzioni, di chi ha lavorato con i pazienti sicuramente infetti Covid che è invece era protetto adeguatamente.

Ma certamente avete un regime lavorativo che non è quello che avevate prima di questa emergenza…

R. – Dipende dalle categorie, è diverso… perché sono impegnati nei reparti Covid medici che prima svolgevano attività ambulatoriali. Per molti il lavoro è cambiato radicalmente. Per altri è cambiato il volume, ma il tipo di lavoro è rimasto lo stesso. I rianimatori fanno i rianimatori, ma in modo più intenso. Nei reparti Covid abbiamo bisogno di qualunque medico con qualunque tipo di specializzazione. E’ una cosa veramente impressionante.

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28 marzo 2020, 08:30