La città di Bergamo alle prese con il coronavirus La città di Bergamo alle prese con il coronavirus 

Coronavirus: la testimonianza di suor Anna Maria a fianco degli ammalati

Alla Congregazione delle Suore di Maria SS.ma Bambina, appartiene suor Anna Maria Marconi, che vive ad Alzano Lombardo nel bergamasco, la provincia finora con il più alto numero di casi di contagi da coronavirus in Italia. Da circa quattro anni è volontaria nella Cappellania dell’ospedale locale e ha assistito malati affetti da quelle che all'inizio sembravano solo 'strane' polmoniti, alcuni fino al loro decesso

Antonella Palermo - Città del Vaticano

In Italia sono oltre 10 mila i casi di contagio da coronavirus, più di 600 i decessi. Ad essere particolarmente colpita dall'emergenza la regione Lombardia e in particolare la provincia di Bergamo. Ed è proprio qui che vive e lavora suor Anna Maria Marconi che nelle settimane scorse ha assistito i primi ammalati da Covid-19 ricoverati in ospedale. La sua testimonianza, ai microfoni di Radio Vaticana, è forte. Invita a partecipare con la preghiera e la vicinanza spirituale agli ammalati e ai familiari di quanti sono morti a causa del virus, per i quali, alla sofferenza per la perdita di un proprio caro, si aggiunge ora il dolore della mancata celebrazione dei funerali disposta da un decreto del governo. 

Ascolta l'intervista a suor Anna Maria Marconi

Ho presente davanti a me quegli occhi che scrutavano il mio sguardo mentre il viso andava a cercare quel poco di aria che sembrava loro indispensabile per poter continuare a vivere, alternando lo sguardo alla moglie piuttosto che al figlio, poi ai nipoti e uno sguardo a me per farmi capire che dovevo pregare. E allora queste persone veramente, io sono estremamente convinta di questo, hanno sperimentato l'incontro con l'amore paterno di un Dio che ci ha promesso che non ci avrebbe mai lasciato, mai… “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”, e il mondo per loro si è chiuso lì, e si è chiuso lontano da casa. Grazie a Dio in quei giorni ancora potevano stare vicini i parenti, poi, dopo che è subentrato il primo caso qui di coronavirus, i parenti non sono stati più tanto vicini, e anche questo è un grande dispiacere: sapere che una persona deve affrontare questa tappa così importante della vita, quella della morte, ma intesa come un abbraccio che deve ricevere da Gesù, e sapere che non può condividere neanche quella lacrima che solitamente al malato scende quando sta per morire...

Suor Anna, stamattina lei ha raccolto il pianto di una figlia a cui è appena deceduto il papà, sempre per coronavirus. In che modo si può consolare il dolore di chi adesso si trova a dover lasciare i propri cari senza un rito funebre adeguato?

R - Senza rito funebre, senza quella pietà popolare… Il corpo dei nostri cari è stato tempio dello Spirito Santo e quindi questo è un qualcosa che in qualche modo noi dobbiamo riscoprire. Questa ragazza appunto che mi ha detto “Il mio papà me l'hanno portato via e io non l'ho più visto, né io né la mamma non l'abbiamo più visto… siamo tutti e due in quarantena, e vedremo soltanto quando benediranno le ceneri, tra non so quanti giorni perché non ci può essere nessuna funzione…”. Ecco, questo mi invita a fare un grande richiamo alla necessità che noi ritorniamo a guardare la vita nella sua interezza, dalla nascita alla morte. Questo strappo così forte crea delle lacerazioni che, se sono abbastanza ben curate, avvicinate, accompagnate, possono diventare delle feritoie d'amore per altri, altrimenti possono essere dei grandi dolori e delle disperazioni.

Suor Anna, lei adesso come vive queste giornate? E’ in isolamento?

R - Sono stata in isolamento perché, vivendo in una comunità di 100 suore di cui 70 sono malate, non potevo esporre le mie consorelle tutte anziane alla malattia di questa infezione. Per cui siamo stati consigliati a metterci in quarantena. Ho fatto i miei 15 giorni di quarantena e sono state giornate di grande riflessione per me, perché innanzitutto la solitudine mi ha fatto aprire le porte del cuore a tante solitudini che ci sono nel mondo. Pensavo a chi vive nelle carceri; pensavo a chi vive in questi ghetti, pensavo agli extracomunitari là dove sono agglomerati. L'altra cosa che mi ha molto colpita è che solitamente quando parlo con i malati, mi dicono: “Sorella, ma io non riesco tanto a pregare, non ce la faccio…”. Io rispondo: “Non preoccuparti, dove sei tu adesso? Sul letto? Ecco sei sull'altare”. Che differenza però dire all'altro “sei sull’altare”, e “stare sull'altare…”. L'ho provato sulla mia pelle. In quello stesso momento avevo bisogno anch'io di ricorrere a questo, affidarmi con una preghiera semplice: Gesù confido in te, mi affido a te!

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12 marzo 2020, 09:00