Volontari portano il pranzo ai medici e agli infermieri dell'ospedale Spallanzani di Roma Volontari portano il pranzo ai medici e agli infermieri dell'ospedale Spallanzani di Roma

Pandemia. Zamagni: dare forza al Terzo Settore che ha grandi risorse

Per l’economista Stefano Zamagni, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, nella gestione della crisi legata al coronavirus, l’Italia non ha ancora chiesto sufficientemente il contributo degli enti “no profit” e del volontariato, fiore all’occhiello del Paese. A loro favore la grande conoscenza del territorio

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

Nella gestione della crisi legata alla pandemia di coronavirus, l’Italia, indicata pure come esempio dagli altri Paesi che si trovano ad affrontare l’emergenza, non ha cercato finora il contributo dei suoi enti di Terzo Settore e del suo volontariato, “che non temono confronto a livello internazionale”. Questo il parere dell'economista Stefano Zamagni, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali (Pass), convinto che organizzazioni “no-profit” come Ant, Ail, Vidas, Avis, Avo, Medici senza Frontiere e le Misericordie, avrebbero potuto e potrebbero ancora oggi contribuire molto a migliorare l’assistenza a livello socio-relazionale e spirituale di chi soffre a causa della diffusione del Covid-19. Vanno in questa direzione forse, ma ancora se ne attende l'applicazione, le parole del premier Conte nell'ultima conferenza stampa che ha presentato il decreto con la disposizione di 4,3 miliardi sul fondo di solidarietà dei Comuni.

Più attenzione a chi vive isolato l’emergenza e la malattia

La dimensione sanitaria e quella economico-finanziaria - seconod Zamagni -  hanno attratto, purtroppo, in modo quasi totale l'attenzione delle istituzioni, della politica e degli stessi cittadini. Per il presidente della Pass, è un grande errore non aver ancora sfruttato a pieno le conoscenze e le informazioni sul territorio che gli enti di Terzo Settore hanno. Potrebbero infatti sostituirsi in mansioni come il rilevamento della temperatura corporea, il prelievo dei tamponi e il trasporto dei malati. Il personale sanitario è ormai allo stremo mentre si potrebbe sfruttare la predisposizione del volontariato ad azioni di “pedagogia sanitaria ed educazione alla responsabilità” della popolazione.

L'economista Stefano Zamagni, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali
L'economista Stefano Zamagni, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali

Zamagni: il mondo invidia il nostro Terzo Settore

A Vatican News, Zamagni sottolinea che “in una emergenza come l’attuale, bisogna che l’intera comunità venga coinvolta, ogni componente secondo le proprie caratteristiche e capacità, nel soddisfacimento dei bisogni fondamentali”.

Ascolta l'intervista a Stefano Zamagni

R. - Noi abbiamo in Italia enti di Terzo Settore che il mondo intero ci invidia. Pensiamo al volontariato; abbiamo oltre 6 milioni di volontari. Pensiamo alle associazioni di promozione sociale, alle fondazioni, molte delle quali operano in ambito sanitario sociali. Questi soggetti non sono stati coinvolti né nel momento della progettazione degli interventi nè nel momento della loro esecuzione. Parliamo della fondazione Ant, che assiste anche a casa malati di tumore, dell’Ail (per i leucemici, n.d.r), della fondazione Vidas (per i malati inguaribili, n.d.r), che operano in ambito sanitario e che hanno tanti medici e tanti infermieri che lavorano al loro interno. Ci si chiede: perché non sono stati coinvolti finora? Loro dicono: “molto volentieri avremmo messo a disposizione queste persone che già fanno un lavoro di questo tipo con grande competenza”. Così avremmo evitato di sovraccaricare di un lavoro immane medici e infermieri degli ospedali. E’ inutile commuoversi, anche se va fatto, per i loro sforzi, quando sul fronte del Terzo Settore ci sono persone pronte ad offrire gratuitamente il proprio servizio e non vengono coinvolte. Infine, l'altro punto è che la persona umana non ha solo il corpo, ha anche uno spirito. Se noi dissociamo la cura del corpo dalla cura dello spirito delle persone (che vuol dire concretamente: la solitudine, il senso di abbandono, eccetera), sappiamo quali potrebbero essere i risultati. Se gli ospedali, i medici, gli infermieri fanno miracoli per curare il corpo, loro non riescono anche a occuparsi della dimensione relazionale delle persone e di quella spirituale. Né può pensare a questo la burocrazia.

Mentre il Terzo settore può essere utile anche per la pedagogia e l’educazione sanitaria della popolazione?

R. - Esatto. Fin dall'inizio avremmo dovuto utilizzare questo associazionismo che sarebbe potuto andare nei quartieri, nei paesi, nelle cittadine a spiegare. Perché nei primi 10 giorni dell’emergenza, la gente, non perché fosse in malafede, non capiva. Prima bisogna spiegare le cose alle persone, coinvolgerle nel progetto e, come adesso vediamo, le persone aderiscono. Tanto è vero che noi siamo il popolo più disciplinato, oggi, dopo un lavoro di spiegazione. Se questo lavoro di spiegazione, quello che io chiamo di 'pedagogia civile', fosse stato fatto all'inizio ovviamente avremmo recuperato tante energie e probabilmente avremmo ottenuto risultati migliori.

Ma c’è ancora tempo per rimediare, professore?

R. – Non è mai troppo tardi, infatti qualcosa sta succedendo. Mi risulta che al Senato c’è una proposta di modifica all’articolo 42 del “decretone” del Governo, nella quale si dice estendiamo anche ai progetti di Terzo Settore una serie di funzioni e di compiti. Io spero che il Parlamento lo approvi, così come sarebbe bene che prossimamente il Governo creasse un gruppo, un “think tank” di persone indipendenti da tutti i partiti, scelte solo sulla base della loro competenza e della loro onestà intellettuale, al quale chiedere di cominciare a pensare ad un piano di rinascita del Paese, perché non possiamo aspettare la fine della pandemia.

Fondi pubblici e privati a sostegno del Terzo Settore, la parte più organizzata della società civile, permetterebbero anche, secondo lei, a tutta la società di essere più partecipe nella lotta contro questa pandemia, passando dalla paura alla solidarietà?

R. – Soprattutto coinvolgendo la comunità degli affari, il mondo delle imprese. Le imprese, non tutte, ma buona parte di queste, i soldi li hanno, e sarebbero ben disposte ad offrirli. Ed infatti stiamo vedendo che non moltissime, ma un certo numero di queste, hanno fatto donazioni, spontaneamente. Se tu le coinvolgi, non solo per erogare soldi, ma anche per fornire consigli e soprattutto per capire come organizzare al meglio gli interventi, questo andrebbe a vantaggio di tutti, del bene comune. In conclusione: va applicato il principio di sussidiarietà, punto e basta!

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29 marzo 2020, 08:30