La sinagoga di Roma La sinagoga di Roma

Coronavirus, le comunità ebraiche vicine ai fedeli in isolamento

Nessuna cerimonia religiosa nelle sinagoghe italiane che, al pari delle chiese cristiane, devono rispettare la sospensione imposta dalle autorità. Intervista con Noemi Di Segni

Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano

Così come per le Messe nelle chiese cattoliche, anche per le cerimonie religiose nelle Sinagoghe è stato decretato lo stop, in ottemperanza alle disposizioni dei decreti della Presidenza del Consiglio italiana dell’8 e del 9 marzo scorsi. E’ necessario rispettare le regole imposte per evitare la diffusione del coronavirus, spiega la comunità ebraica, nonostante tutte le difficoltà che questo potrà comportare. “In sinagoga si va tre volte al giorno – precisa Noemi di Segni , presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane – si prega assieme, non solo il sabato, non solo una volta a settimana. Ora si crea una situazione di solitudine di fronte all’esigenza di sentirsi gruppo, di sentirsi comunità. Bisognerà, nei limiti del possibile per le regole religiose, reinventare questo momento collettivo”. Si è quindi cercato di creare una comunità virtuale perché “recitare le preghiere da soli è molto difficile”.

Ascolta l'intervista con Noemi Di Segni

La vicinanza a chi è ricoverato negli ospedali

Le comunità ebraiche cercano anche di essere il più possibile prossime alle persone contagiate che si trovano in ospedale e che non possono essere accudite. Il grande problema si pone quando si tratta di osservanti, con le loro esigenze, come il caso di un degente a Roma al quale si è riusciti a recapitare del cibo Kosher. “In questo momento di grande solitudine – continua la Di Segni –  è evidentemente più forte l’esigenza di richiamarsi ai propri momenti di cultura religiosa”.

Il dolore di dover vivere la Pesach in isolamento

Tra poche settimane si celebrerà la Pesach, la Pasqua ebraica, che cade ad aprile, esattamente come quella cristiana. E’ una festività molto sentita e le comunità ebraiche si interrogano su come sarà possibile viverla in isolamento. “Sarà una grande fatica – spiega ancora la Di Segni – i preparativi sono tanti,  così come i punti interrogativi. E’ la festa per eccellenza, vede le famiglie riunite in grandi numeri, in casa, il non poter stare insieme sarà doloroso”. “L’approvvigionamento dei prodotti particolari come le azzime della Pasqua – prosegue – o l’organizzare il tavolo della Pasqua con tutta la ritualità che chiede, sarà fattibile, anche come Unione ci stiamo adoperando per gestire questo rifornimento, ma dal punto di vista del festeggiamento della famiglia sarà molto difficile, non c’è dubbio”. Le feste delle Pasqua non potranno neanche essere trascorse in Israele, e questo sarà un altro forte dolore. “La tragedia che si sta vivendo in Italia è molto molto sentita  in Israele – conclude Noemi Di Segni – non solo per gli appelli delle comunità ebraiche italiane, ma anche perché ci sono connotati culturali che avvicinano molto i due Paesi, come l’esser famiglia e la tragedia della famiglia italiana, ora chiusa, dice molto”.

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25 marzo 2020, 07:58