Il presidente afgano, Ashraf Ghani (Reuters, Mohammad Ismail) Il presidente afgano, Ashraf Ghani (Reuters, Mohammad Ismail)

Spiragli di pace in Afghanistan

Dopo l’accordo di Doha del 29 febbraio, approvato ieri all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, il governo di Kabul si è detto in queste ore pronto a rilasciare 5.000 talebani prigionieri. La violenza nel Paese dovrà però diminuire in maniera significativa

Andrea De Angelis – Città del Vaticano

In Afghanistan si torna a parlare di pace. In un Paese piegato da un conflitto lungo due decenni, l’accordo di Doha ha portato già lo scorso mese una piccola luce di speranza, che ora si ravviva dopo quanto detto dal Governo afgano. Il portavoce del presidente Ashraf Ghani ha affermato infatti che Kabul è pronta a rilasciare sin da questa settimana 5mila prigionieri talebani a patto che la violenza diminuirà in maniera significativa. Altri 3.500 saranno liberati dopo che saranno iniziati i negoziati di pace.

L’accordo di Doha 

L'accordo dello scorso 29 febbraio, arrivato dopo una settimana di tregua sul terreno, ha aperto la strada all'inizio dei negoziati tra le milizie ribelli ed il governo di Kabul. Gli Stati Uniti, dal canto loro, hanno annunciato il ritiro completo delle truppe, comprese quelle della Nato, entro l’aprile 2021, riducendole a meno della metà già nei prossimi 135 giorni. La trattativa diplomatica per arrivare a questo accordo è durata oltre un anno e mezzo. Si tratta in sostanza di una tappa per giungere al traguardo finale della pace nel Paese, il cui esito non può certo considerarsi scontato per almeno un duplice motivo: la lunghezza del conflitto - che ha caratterizzato la storia del Paese dall'inizio del secolo - e la molteplicità di attori in campo.

L’Onu approva all’unanimità

Nella giornata di ieri, come previsto alla viglia, il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha approvato all'unanimità una risoluzione in cui sostiene il recente accordo tra Stati Uniti e talebani siglato a Doha il 29 febbraio. Intanto sembra essere iniziato il ritiro delle truppe americane. Le forze Usa "manterranno gli strumenti militari e l'autorità per raggiungere i nostri obiettivi", ha dichiarato il colonnello Sonny Leggett, portavoce delle forze Usa in Afghanistan. La base di Lashkar Gah, una delle due da cui è iniziato il ritiro, si trova nella provincia di Helmand, una delle più travagliate insieme a quella meridionale di Kandahar. Entrambe roccaforti dei talebani, hanno visto negli ultimi anni  violente battaglie.

"Ghani ha cambiato atteggiamento"

"Sicuramente è una buona notizia, ma è ancora presto per cantare vittoria". Lo afferma nell'intervista a Vatican News Paolo Crippa, Analista del Desk Difesa & Sicurezza del Ce.S.I., Centro Studi Internazionali. Secondo Crippa, il rilascio di prigionieri mostra un cambiamento di rotta da parte di Ghani, che "non fa più muro di gomma sugli accordi di Doha". "Eppure - aggiunge - la frammentarietà degli attori in campo non permette di lasciarsi andare a facili illusioni". Secondo l'esporto di sicurezza, infine, il voto all'unanimità delle Nazioni Unite sull'accordo di Doha mostra che non vi è alcuna opposizione al ritiro delle truppe americane.  

Ascolta l'intervista a Paolo Crippa

Gli appelli del Papa 

In più occasioni Papa Francesco ha pregato per le vittime in Afghanistan e lanciato appelli per la fine dell’annoso conflitto. All’Angelus del 7 luglio 2019 Francesco pregò per le vittime della strage avvenuta con un’autobomba nella provincia centrale di Ghazni. Di “disumana violenza” per il popolo afgano Francesco parlò, sempre dopo la recita della preghiera mariana dell’Angelus, il 28 gennaio di due anni fa. "Fino a quando il popolo afghano dovrà sopportare questa disumana violenza?", si chiese il Papa . "Preghiamo - esortò rivolto alla folla di piazza San Pietro - per tutte le vittime e per le loro famiglie; e preghiamo per quanti, in quel Paese, continuano a lavorare per costruire la pace".
 

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11 marzo 2020, 11:55