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Stati vegetativi. Don Colombo: garantire sempre la cura dei pazienti

In Italia ricorre oggi la Giornata nazionale degli stati vegetativi. Migliaia sono i pazienti non terminali e con vigilanza minima, che sono spesso colpiti dalla cultura dello scarto denunciata da Papa Francesco. Don Colombo: somministrazione di cibo e acqua sono mezzi ordinari e proporzionati di conservazione della vita

Marco Guerra – Città del Vaticano

Pazienti che non sono né morenti né in uno stato terminale, caratterizzati da una vigilanza e con una respirazione autonoma, che, seppur gravati da una mancanza di relazionalità, mantengono uno stato di coscienza minima. Sono queste le condizioni in cui vivono le persone in stato vegetativo permanente che, secondo alcune stime, in Italia si aggirano tra i 3000 e 4000 casi.

La giornata istituita nel 2011

Per sensibilizzare relativamente alla cura e all’accompagnamento dignitoso di queste persone in Italia è stata istituita nel 2011 la Giornata nazionale degli stati vegetativi che si celebra ogni anno il 9 febbraio. L’iniziativa fu voluta dall’allora ministro della Salute Ferruccio Fazio si era fatto portavoce di una proposta avanzata dalla Federazione nazionale associazioni trauma cranico (F.N.A.T.C.), dalla Rete-Associazioni riunite per il trauma cranico e le gravi cerebrolesioni acquisite e dall’Associazione vita vegetativa (Vi.Ve.) che avevano proposto la data del 9 febbraio in ricordo della morte di Eluana Englaro il 9 febbraio del 2009.

Le iniziative legislative

Il tema delle condizioni di questi pazienti negli ultimi anni si è legato a quello del fine vita e alle iniziative legislative e giurisprudenziali che hanno aperto a forme di eutanasia passiva e al testamento biologico, che prevedono la possibilità di interrompere l’alimentazione e l’idratazione e altri sostegni primari, anche a seguito di una decisione presa da un tutor o da un parente del malato in grado di poter dimostrare le volontà di quest’ultimo.

Gli appelli del Papa

Numerosi casi di cronaca come quelli di Vincent Lambert in Francia - che non aveva lasciato alcun testamento biologico - e del piccolo Alfie Evans in Inghilterra hanno destato l’interesse dell’opinione pubblica mondiale che si è interrogata sulla possibilità da dare un morte programmata a dei disabili gravi.

Papa Francesco ha lanciato vari appelli per Vincent Lambert e nel maggio scorso, quando i medici avevano interrotto una prima volta l’alimentazione e l’idratazione, aveva lanciato questo tweet:

Preghiamo per quanti vivono in stato di grave infermità. Custodiamo sempre la vita, dono di Dio, dall’inizio alla fine naturale. Non cediamo alla cultura dello scarto

Prima ancora, il 15 aprile 2018, in occasione del Regina Caeli, Francesco aveva detto:

Preghiamo perché ogni malato sia sempre rispettato nella sua dignità e curato in modo adatto alla sua condizione, con l’apporto concorde dei familiari, dei medici e degli altri operatori sanitari, con grande rispetto per la vita.

L’intervento dell’Onu

Da parte sua, anche il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti delle persone con disabilità aveva chiesto alla Francia di non avviare le procedure per porre fine alla vita di Vincent, basandosi sui principi enunciati nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.

Gambino: legge consente decisioni dei parenti

“Gli interventi normativi sono quelli avvenuti sulla falsa riga del caso Englaro, ovvero i legislatori hanno consentito ad un tutore di poter prendere delle decisioni al posto del paziente”, così il presidente di Scienza e Vita e docente di diritto privato, Alberto Gambino, mette a fuoco per Vatican News le misure legislative e giurisprudenziali che, dal caso Englaro in poi, sono intervenute sul fine vita e i pazienti in stato vegetativo.

Ascolta l'intervista al presidente Gambino

Idratazione e alimentazione non sono accanimento

“In partenza parenti e tutori potevano prendere delle decisioni curative – prosegue Gambino - poi ci sono stati orientamento giurisprudenziali in linea con la legge 219 del 2017 che fanno intendere che possono esserci anche delle decisioni per l’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione,  ma è fondamentale che ci sia il vaglio della magistratura su queste richieste che devono dimostrare che ci sia una situazione che rasenta l’accanimento terapeutico, cosa che però è molto complessa da dimostrare, perché alimentazione e idratazione non sono configurabili come accanimento, cosa esclusa dalla sentenza sul caso Englaro che non le qualifica come accanimento”.

Non sono esistenze inutili

Gambino avverte poi circa i rischi di derive legislative pericolose: “Bisogna fare molta attenzione a non prendere una china che considera queste esistenze inutili, questo concetto non può entrare nel mondo giuridico quando si parla di vita umana quindi maggiore accortezza e preservare queste vite”. In questa cornice il presidente di Scienza e Vita ritiene fondamentale che il tema della cure palliative sia affrontato attentamente dall’ordinamento.

Don Colombo: stato vegetativo non è sempre irreversibile

Per comprendere meglio in quali condizioni versa una persona in stato vegetativo o di coscienza minima e le ragioni per le quali è sempre giusto continuare a curare anche quado il paziente non guaribile, abbiamo intervistato Don Roberto Colombo, della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma:

Ascolta l'intervista a don Colombo

R. I pazienti in stato vegetativo non sono né morenti né malati terminali negli ultimi stadi di una patologia ad esito infausto. Possiamo invece definirli come dei disabili dei pazienti affetti da una disabilità neurologica caratterizzata da un alto livello di cronicità. Lo stato vegetativo e lo stato di coscienza minima sono due condizioni in cui esita il coma dopo 6-8 settimane da un trauma cranico o da un evento di anossia cioè di mancanza di perfusione ematica di aree del cervello.  Questi pazienti sono caratterizzati da una vigilanza, cioè tengono gli occhi aperti, mantengono il ritmo sonno-veglia, il paziente non è connesso ad un ventilatore, la sua respirazione è autonoma e il battito del cuore è spontaneo, però sono caratterizzati dalla mancanza di una relazionalità. Tuttavia, numerosi studi hanno dimostrato attraverso sofisticate tecniche, come la risonanza magnetica funzionale, che questi pazienti, secondo alcune statistiche oltre il 40%, possiedono un grado di coscienza minima che non è però rilevabile dalla normale osservazione clinica.

È uno stato irreversibile quello vegetativo?

R. Non è assolutamente irreversibile sono noti dalla letteratura medica diverse decine di casi di cosiddetti risvegli, di pazienti in stato vegetativo anche dopo numerosi anni. Ricordiamo che, lo scorso anno, una paziente proveniente dagli Emirati Arabi in stato di coscienza minima dopo un percorso Riabilitativo in Germania ha racquistato una certa capacità comunicativa con il mondo esterno.

Quindi la risposta a bisogni fondamentali primari come idratazione e alimentazione non Configura accanimento terapeutico per questi pazienti…

R. Come ha ricordato la Congregazione per la Dottrina della Fede già nell'anno 2007 la somministrazione di cibo e acqua, anche per via artificiali come una fleboclisi o la PEC, è in linea di principio un mezzo ordinario e proporzionato di conservazione della vita di questi pazienti.  Essa è quindi moralmente obbligatoria però nella misura in cui e fino a quando dimostra di raggiungere la finalità propria, che consiste nel procurare idratazione e nutrimento del paziente, solo quando essa non risulta più efficace configura un caso di futilità e dunque di un atteggiamento che non è di vera cura del paziente ma di inappropriata ostinazione.  Ma questo non è solitamente il caso dei pazienti in stato vegetativo persistente né tanto meno di quelli in coscienza minima.

Dunque è eticamente giusto continuare a curare anche nel caso in cui non fosse guaribile il paziente?

R. Abbiamo numerosi pazienti, non solo quelli in stato vegetativo o di coscienza minima, che sono inguaribili. Le malattie di cui soffrono non hanno tutt’ora a disposizione un processo terapeutico clinico chirurgico in grado di ristabilire la salute del paziente ma in tutti questi casi noi non dobbiamo venire meno alla loro cura. Dobbiamo prenderci cura di questi malati pur non riuscendo a portarli alla guarigione ed è umanamente fondamentale che la medicina conservi la dimensione della cura.

Le varie legislazioni che stanno aprendo alla possibilità di interrompere le cure configurano quella società dello scarto denunciata da Papa Francesco?

R. Davvero Papa Francesco con una espressione incisiva ed efficace ha definito questa cultura la “cultura dello scarto”, cioè quando non ci si prende più cura delle persone a motivo delle loro condizioni particolarmente gravi in cui versano. Questo è frutto di un’idea distorta della qualità della vita. La vita umana è degna di essere vissuta sempre fino all'ultimo istante, l'idea della qualità della vita creerebbe una discriminazione inaccettabile tra coloro che sono sani o comunque ancora in grado determinate funzioni e coloro che invece hanno perso questa capacità ma non per questo hanno perso la loro dignità di esseri umani.

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09 febbraio 2020, 10:00