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Bandiera britannica in sovrapposizione a quella europea Bandiera britannica in sovrapposizione a quella europea 

L’urgenza dell’accordo dopo la Brexit

Con l’uscita formale del Regno Unito dall’Ue si apre la fase di negoziazioni per le nuove intese commerciali. La sfida in realtà non è sul piano economico ma su quello politico. Intervista con lo studioso di relazioni internazionali Antonello Biagini

Fausta Speranza – Città del Vaticano

A mezzanotte del 31 gennaio arriva a compimento il mandato del referendum del 23 giugno del 2016, che aveva visto il 52 per cento dei britannici votare a favore della Brexit. Il percorso non è stato facile, con momenti di crisi e di paralisi per la politica britannica. Ci sono state le dimissioni di Theresa May, il premier che all’indomani del referendum era stata incaricata di attuarlo. La situazione si è sbloccata solo con le elezioni dello scorso dicembre, quando Boris Johnson ha ottenuto la maggioranza schiacciante all’interno dei Tory e un mandato chiaro da Westminster per portare a compimento l’uscita dalla Ue. 

L’incertezza sul negoziato

Le imprese britanniche chiedono a Boris Johnson di chiarire gli obiettivi del prossimo negoziato commerciale con l'Unione europea, lamentando che l'incertezza frena gli investimenti.  A preoccupare sono i tempi molto ristretti a disposizione di Londra e Bruxelles per raggiungere un nuovo accordo commerciale entro la fine del 2020. Il premier Johnson finora non ha escluso che si rimanga senza un nuovo accordo commerciale. Si tratta sostanzialmente di capire quali siano le priorità del governo per l'accesso al mercato europeo. Non è una questione solo economica: il braccio di ferro tra Londra e Bruxelles sarà tutto politico. Delle possibili implicazioni abbiamo parlato con Antonello Biagini, docente di Relazioni internazionali all’Università Sapienza:

Ascolta l'intervista con Antonello Biagini

R. - Un accordo economico nascerà solo da un grande accordo politico e, secondo me, non sarà una trattativa molto facile, non tanto per gli elementi da valutare perché noi europei siamo abituati agli accordi anche bilaterali: abbiamo una tradizione che risale all’Ottocento. Il problema è che si tratta di negoziati un po' particolari perché da una parte resta l’area di libero scambio europea e dall’altra c’è la Gran Bretagna che vorrebbe fare accordi appunto bilaterali. Gli Stati Ue però non possono muoversi come se non fossero parte dell'Europa continentale. Ogni paese che fa parte   dell'Unione Europea in qualche modo ha alcuni vincoli con gli altri Paesi membri.

Finora abbiamo visto un’Unione Europea compatta: i 27 nella fase decisiva sono stati molto uniti.  Adesso che si deve parlare di accordi commerciali lo saranno altrettanto?   

R. - E’ vero sono stati tutti sulla stessa linea. Ora dovrebbe essere lo stesso. Dipenderà da quali offerte potrebbe eventualmente fare il Regno Unito per spostare alcuni assi. Qualche timore lo avrei sui Paesi diciamo dell'Europa orientale. Sicuramente hanno avuto all’inizio grande entusiasmo nei confronti prima della comunità europea e poi dell'Unione Europea ma in questa fase sono più critici e potrebbero essere attratti da offerte vantaggiose che Londra potrebbe fare. Io però non credo che la Gran Bretagna abbia così tanto da offrire in realtà. Va detto che l’Europa come interlocutore forte - come avrebbe potuto essere - sicuramente non avvantaggiava la politica di Trump ma in qualche modo anche la politica della Russia che si è ritagliata un posto nuovo nel quadro internazionale. Vale anche per la Turchia. Anche per tutti questi elementi si tratta di un accordo politico e non prettamente economico.    

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31 gennaio 2020, 16:21