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Rapporto Cpj: 250 i giornalisti detenuti in carceri statali Rapporto Cpj: 250 i giornalisti detenuti in carceri statali 

Proteggere la stampa libera: 250 giornalisti incarcerati nel mondo

Pubblicato il rapporto 2019 del Cpj sui giornalisti detenuti nelle carceri statali: Cina e Turchia i Paesi più repressivi. Principali incriminazioni dovute alla critica politica di governi e partiti e alla denuncia di corruzione e violazioni dei diritti umani.

Roberta Gisotti – Radio Vaticana

I giornalisti nel mondo nel mirino di governi illiberali: 250 quelli imprigionati, al primo dicembre 2019, a causa del lavoro, in svariati Paesi del mondo, come documenta il rapporto del Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj), che annualmente monitora la situazione nelle carceri statali, escludendo dal conteggio gli operatori dell’informazione detenuti da gruppi o organizzazioni non governative.

I diritti lesi degli operatori dell’informazione: 250 in carcere

Il Cpj, organismo indipendente, con sede a New York, è stato fondato nel 1981 da un gruppo di giornalisti statunitensi, in risposta a vari tentativi di persecuzione subiti, allo scopo di difendere in tutto il mondo i diritti degli operatori dell’informazione pubblica con qualsiasi media, giornali, radio, tv, internet, con articoli, foto, video.

La lista nera dei Paesi carcerieri

In cima alla lista nera dei Paesi ostili alla libertà stampa sono risultati quest’anno la Cina (48), la Turchia (47), alla pari Arabia Saudita ed Egitto (26), seguiti da Eritrea (16), Vietnam (12), Iran (11), Russia e Camerun (7). Nella quasi totalità i giornalisti sono detenuti nelle carceri del proprio Paese e solo quattro gli stranieri dietro le sbarre, tre in Arabia Saudita ed uno in Cina. Venti sono donne. Metà dei giornalisti pubblicavano in rete. Le principali cause per gli arresti sono la critica politica, la denuncia della corruzione e delle violazioni dei diritti umani, rivolte contro autorità e istituzioni statali, ma in grande crescita sono le accuse di ‘fake news’, false notizie, riscontrate in special modo in Egitto. Cpj punta il dito contro i controlli sempre più stringenti sui media messi in campo da Pechino che non tollera critiche al Partito comunista cinese e contro la chiusura di oltre 100 agenzia stampa in Turchia, con accuse di terrorismo ai loro collaboratori, per cui decine giornalisti sono senza lavoro o costretti all’autocensura o all’esilio.

Una minaccia al sistema informativo globale

“L’incarcerazione di un solo giornalista è una terribile ingiustizia che ha conseguenze di vasta portata per le famiglie, gli amici e i colleghi - ha commentato Joel Simon, direttore esecutivo di Cpj -  ma l’incarcerazione di centinaia di giornalisti, anno dopo anno, è una minaccia per il sistema informativo globale da cui tutti dipendiamo. I governi repressivi stanno usando queste tattiche crudeli per privare le proprie società e l’intero mondo di informazioni essenziali”.

24 giornalisti uccisi nel 2019

Dall’inizio del suo lavoro di monitoraggio, Cpj ha documentato anche la morte di 1362 giornalisti dal 1992 ad oggi, di cui 24 quest’anno, tutti uccisi per cause legate alla loro professione. Grazie alla sua attività di denuncia e di patrocinio legale CpJ ha contribuito al rilascio anticipato di almeno 80 giornalisti imprigionati in tutto il mondo.

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12 dicembre 2019, 13:51