Il libro di Paolo Del Debbio sulla dipendenza digitale Il libro di Paolo Del Debbio sulla dipendenza digitale

Paolo Del Debbio: “Vi parlo di cosa rischiano i nostri figli”

“Cosa rischiano i nostri figli. L’incertezza di una generazione” getta uno sguardo su una nuova forma di dipendenza che colpisce soprattutto i giovani: la dipendenza digitale. Nel suo nuovo libro, Paolo Del Debbio ci invita ad aprire gli occhi sul mondo virtuale della rete, indicando anche i possibili campanelli d’allarme

Chiara Colotti – Città del Vaticano

È lo IAD (Internet Addiction Disorder), meglio conosciuto come “dipendenza da internet”, il nuovo disturbo di tipo ossessivo-compulsivo che colpisce soprattutto giovani e giovanissimi. Sempre connessi, a qualsiasi ora del giorno, con il bisogno costante di controllare l’ultima notifica di Instagram, il numero di like in facebook o la spunta del messaggio appena inviato in WhatsApp. L’abuso dello smartphone può portare all’insorgenza di disturbi del sonno, stati di panico o di ansia. Per non parlare poi del fatto che induce i ragazzi ad isolarsi dal mondo circostante con il rischio di allontanarli dai genitori, dagli amici e da qualsiasi attività che preveda un’interazione sociale diretta. Una vera e propria forma di dipendenza, definita senza mezzi termini come una “malattia” da Paolo Del Debbio, che ne parla nel suo nuovo libro edito da Piemme.

Lo IAD

Dal 2013 nel “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali”, l’Internet Addicion Disorder costituisce una forma di dipendenza legata all’uso eccessivo e inadeguato della rete. La sigla venne coniata nel 1995 dallo psichiatra americano Ivan Goldberg, colui che per primo indicò i criteri diagnostici per il riconoscimento di tale disturbo. “Dei 2 milioni e 800mila adolescenti italiani, 300.000 sono affetti dallo IAD”, afferma Paolo Del Debbio, giornalista, conduttore TV e docente universitario. Una vera e propria patologia che, se non presa in tempo e curata in modo adeguato, può lasciare un segno indelebile nella vita dei nativi digitali. Una vita talmente ricca di stimoli che, proprio per questo, rischia di divenire apatica, spingendoli a costruirsene una nuova e più avvincente online.

Ascolta l'intervista a Paolo Del Debbio

Si stava meglio prima?

Dati senza dubbio allarmanti, quelli presentati da Del Debbio, che spontaneamente fanno sorgere in noi una domanda: “Non si stava meglio prima?”, prima quando la rete non esisteva, quando per parlare ci si presentava sotto casa, quando avevamo il vecchio telefono fisso con il disco. Accanto alle trappole e alle insidie di internet, è importante anche riconoscere i vantaggi e i miglioramenti che ha apportato alla vita dell’uomo. “Senza internet - commenta Del Debbio – ci avrei messo quattro volte tanto a scrivere il mio libro, la comunità scientifica medica senza internet sarebbe molto più lenta, così come le comunità umanistiche. Internet consente una velocizzazione in territori molto importanti per lo sviluppo delle persone”. Tuttavia, per molti adolescenti il mondo del World Wide Web si trasforma in una vera e propria trappola.

Lo smartphone

“Lo smartphone - prosegue l’autore - rappresenta la via d’accesso privilegiata al mondo virtuale che rischia di separarci dalla vita reale”. Una vita priva di slanci e di interessi profondi che spinge a buttarsi a capofitto in un mondo “fantasmagorico” in cui si ha l’opportunità di essere chiunque e di fare qualsiasi cosa con un semplice click. “Molti degli adolescenti in questione - precisa Del Debbio - vedono la realtà che li circonda come insidiosa, pericolosa e faticosa”. E proprio questo li porta a rifugiarsi in una realtà parallela dominata da immagini ritoccate, profili falsi e sensazioni sbiadite. 

Esiste una cura?

In un mondo spesso privo di punti di riferimento, le nuove generazioni vengono travolte da una realtà così complessa e intricata, come quella odierna. “I giovani - commenta Del Debbio – si ritrovano catapultati in un mondo in cui c’è tutto, forse persino troppo, non riuscendo a fare distinzioni e a filtrare ciò che li circonda”. Ma nulla è perduto. Se da un lato i rimproveri e i divieti non funzionano, il dialogo e l’educazione sono i soli antibiotici efficaci contro questa malattia. “La famiglia, i genitori e la scuola” in primis, svolgendo efficacemente il loro ruolo di agenzie educative, possono prevenire e/o curare questo virus. Dobbiamo sforzarci di immergere i nostri figli nel mondo reale, esponendoli a sensazioni ed emozioni autentiche. Le farfalle nello stomaco per il primo amore, le gambe che tremano per il primo esame universitario, lacrime di gioia per i primi successi lavorativi e di delusione per i primi fallimenti. Una volta assaporata la bellezza e la pienezza della vita vera, non vorranno più abbandonarla, ma anzi non ne saranno mai sazi.
 

“Riscoprendo quotidianamente questo centro vitale che è l’incontro, questo 'inizio vivo', noi sapremo orientare il nostro rapporto con le tecnologie, invece che farci guidare da esse. Anche in questo campo, i genitori sono i primi educatori. (Papa Francesco)”

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08 novembre 2019, 07:00